Il prigioniero Tria
Il governo ostaggio di se stesso. Che succede se lo spread va a 400?
Roma. Si smarrisce nei numeri, nelle percentuali, e sostanzialmente nega i guai. Il tono è dimesso, da prefica, da orfano, da condannato al patibolo del governare i conti sballati, le scelte non sue. “Siamo impegnati a far convergere lo spread verso i fondamentali”. dice allora il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Poi: “L’incertezza è legata al dubbio sul cosiddetto piano B. E stiamo ripetendo che non c’è”, aggiunge, ammettendo quindi che lo spread è colpa della maggioranza che ha straparlato. E ancora: “Abbiamo deciso di non fare una manovra particolarmente restrittiva”. Intanto però, in Aula, i parlamentari delle commissioni economiche che lo ascoltano riuniti alla Camera, mormorano. Nessuno ridacchia. Al contrario si fanno discorsi dall’aria drammatica e vagabonda, in un clima teso, con lo spread che sale, supera i 300 punti, e poi si assesta, seguendo le parole del ministro, proprio come un elettroencefalogramma sul letto d’ospedale. I parlamentari dell’opposizione sono garbati nei confronti di Tria, persino comprensivi. Come avessero di fronte un prigioniero, un ostaggio, uno al quale non si possono dare colpe.
Ogni tanto dalla sala della commissione Bilancio di Montecitorio qualcuno esce per andare in bagno, per fumare una sigaretta. D’altra parte la seduta è lunghissima, quasi sei ore: c’è Tria, poi il vicedirettore generale della Banca d’Italia che di fatto smentisce tutte le previsioni di crescita del governo, e infine l’Istat. “Le scelte del governo stanno generando incertezza”, dice Pier Carlo Padoan, in un soffio. E come finisce? “Spero non tirino dritto perché altrimenti vanno a sbattere, e tutti noi italiani con loro”. Il tono è quello della incredulità. “Si stanno avvitando in una spirale estremista”, dice Beatrice Lorenzin, l’ex ministro della Salute. “Ma devono uscirne, per il bene di tutti”.
Ed ecco ancora la domanda che, rivolta al ministro Tria, però riecheggia nei corridoi, nelle stanze, su su fino ai ministeri e a Palazzo Chigi dove a sera si riuniscono Matteo Salvini e Luigi Di Maio: che succede se lo spread arriva a 400 punti? “Il governo farà quello che deve”, risponde Tria. E le parole e il tono del professore si sforzano di parer calmi, ma le contrazioni del volto, una certa aria malinconica che in lui è la maschera del senso d’ufficio, e la liquidità degli occhi, rivelano invece nervosismo, incertezza, e chissà forse persino timore. A un certo punto il presidente della commissione, il leghista Claudio Borghi, chiude il microfono di Tria, impegnato in un confronto verbale con il suo vecchio amico Renato Brunetta, a seduta conclusa. Sembra un tragico apologo, o una gag satirica. Era già successo nella conferenza stampa di presentazione della manovra, quando Iva Garibaldi, portavoce di Matteo Salvini, aveva trascinato via il ministro dell’Economia per sottrarlo alle domande dei giornalisti.
E se lo spread arriva a 400 punti, o più? Ciascuno ascolta l’audizione e ne ricava un’idea diversa. Il ministro Paolo Savona dice a “Porta a Porta”, da Bruno Vespa, che “in caso cambierà la manovra”. E alcuni leghisti lasciano intendere che tutto dipende da Di Maio, dal reddito di cittadinanza: “In fondo al cuore Salvini si augura che in caso di guai Di Maio faccia come sull’Ilva”. Che insomma si rimangi tutto. Ma c’è anche la controriforma delle pensioni, la quota 100, che non costa molto di meno e su cui la Lega insiste. Il problema è proprio questo. Nessuno vuole mollare da solo, ma se mollano entrambi nella manovra non c’è più niente. Però se non molla nessuno si rischia il botto. E’ il dilemma del prigioniero.