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Storia politica di David Ermini, un renziano ordinario al Csm

David Allegranti

Sopravvissuto allo schianto del Partito democratico, basso profilo, voleva fare il segretario del partito in Toscana

Roma. Il renzismo vive di superlativi, tutto è bellissimo o bruttissimo. Vale anche per la selezione del personale politico, simile ai sentimenti della curva da stadio: si è fenomeni o bidoni nell’arco di poche settimane. David Ermini, ex deputato del Pd, neo vice-presidente del Csm, dunque vice di Sergio Mattarella, è sempre riuscito a sfuggire a questi sentimenti polarizzanti, che poi sono parte della politica, per cui un leader si ama o si odia e mai deve suscitare indifferenza. Membro del Giglio Magico ma un po’ sull’uscio (sarà che del renzismo gli manca la tipica cattiveria), pur essendo con Matteo Renzi fin dai tempi del Partito Popolare e della Margherita, insieme all’amico Nicola Danti, oggi europarlamentare ed ex segretario provinciale della Margherita. Sempre in coppia, i due Sussi e Biribissi della politica fiorentina, pure nelle dichiarazioni in difesa di Renzi quando ancora c’erano i Ds, che a Firenze spadroneggiavano, specie nei comuni della provincia. C’era un odio cordiale per i post-comunisti che si è mantenuto intatto negli anni e a rileggere alcuni di quegli scontri si scopre che poco è cambiato. L’allora capogruppo in Provincia Riccardo Gori dopo il siluramento di alcuni assessori diessini, un classico del renzismo d’antan, scrisse una lettera a Renzi – era il 2005, tutto ancora doveva accadere – descrivendolo come un un presidente “insofferente alle critiche anche costruttive”, dedito “a una cura un po’ ossessiva dell’immagine di sé”, a scapito dei rapporti con il consiglio e la giunta, insomma un presidente a cui raccomandare “più umiltà”. Ermini, un copione ripetuto molte volte negli anni successivi, si frappose in difesa del giovane presidente della provincia di Firenze: “Siamo sereni perché abbiamo capito il problema: Renzi ha troppa visibilità”.

 

Il renzismo vive di superlativi, tutto è bellissimo o bruttissimo. Vale anche per la selezione del personale politico, simile ai sentimenti della curva da stadio: si è fenomeni o bidoni nell’arco di poche settimane. Ermini è sempre riuscito a sfuggire a questi sentimenti polarizzanti

Nella renziana guerra dei superlativi – un giorno sei un genio, quello dopo uno sfigato – Ermini, avvocato di Figline Valdarno, è rimasto sempre sulla linea mediana. Non una parola di troppo, non un bercio, mai una parola contro il Capo, neanche quando ci rimase male perché nel 2017 Renzi fece un rimpasto della segreteria e lui rimase fuori. Sempre basso profilo, anche sui social dove basta un “ciaone” a far deragliare. Giusto un assolo con un tweet interrotto finito sulla social top ten di Gazebo, un “Panico tra” appeso a mezzanotte e un minuto nell’egosfera dell’Internet. Presenza assidua nei talk show mattutini, dove le notizie frullano e si duella ma dove si può anche restare sulla solita linea mediana. E mentre gli altri, sottoposti al logoramento di governo, sono finiti su Maxim o a fare il senatore di Scandicci, l’Ermini è un sopravvissuto. Sempre per volere renziano, naturalmente. Anzi, Ermini è qualcosa di più, visto che ha raggiunto il gradino del Consiglio Superiore della Magistratura appena sotto il presidente della Repubblica. Un saggio di attesa democristiana, da figlio della Prima Repubblica. Certo, fino a tre mesi prima sembrava fosse destinato ad altro incarico, decisamente più politico: segretario regionale del Pd toscano. Aveva anche iniziato a tastare il suo consenso dentro il partito, di cui peraltro è stato responsabile nazionale giustizia nella segreteria Renzi. Poi però prima dell’estate ha deciso di lasciar perdere, anche per evitare un duello interno ai renziani, visto che pure l’amico Danti avrebbe voluto correre per la segreteria del Pd toscano. Un cambio di rotta non da poco, visto che Ermini era stato prenotato per fare il giro delle (superstiti) feste del partito e invece pur di togliersi di dossi i panni dell’uomo di partito ha cancellato gli appuntamenti, ha smesso di twittare. Entrare in sonno però non è sbagliato. La sua elezione a vicepresidente, arrivata grazie al triangolo Luca Lotti-Gianni Letta-Cosimo Ferri, ha disorientato i Cinque stelle, che prima hanno contribuito votandolo al Csm come membro laico scelto dal Parlamento e poi hanno gridato allo scandalo attraverso il “fiorentino” Alfonso Bonafede, che un tempo mandava in streaming il consiglio comunale di Firenze e ora fa il ministro della Giustizia. Non sono mancate le spaccature all’interno dei Cinque stelle; i puristi infatti avrebbero preferito non votarlo neanche in Parlamento. “La colpa dell’elezione di Ermini quale vicepresidente del Csm non è dei togati e laici che lo hanno votato”, ha detto il deputato Andrea Colletti. “E’ nostra, come M5s, la colpa di averlo votato, nonostante fosse un politico vicinissimo a Renzi. Abbiamo sbagliato – io mi sono rifiutato di votarlo – prendiamone atto e facciamo tesoro dei nostri sbagli”. Tradotto: insomma, caro Bonafede è inutile che ti agiti, Ermini l’abbiamo messo noi.

 

Avvocato cassazionista, sulle cronache dei giornali locali del 2003 si trovano articoli sui suoi lavori di penalista. A rileggerle oggi c’è chi sorriderà: “L’ex sindaco di Rignano, Massimo Settimelli, è stato rinviato a giudizio dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Firenze, Anna Maria Sacco, per il reato di rifiuto d’atti d’ufficio. Settimelli, difeso dall’avvocato Gaetano Viciconte, era stato coinvolto nell’inchiesta sul canile delle Corti, per la quale invece il pensionato proprietario della stessa struttura, G.C., assistito dall’avvocato David Ermini, ha patteggiato una pena di duecento euro. La storia del canile ‘Amici del cane e del gatto’ era nata nel 1994 con le prime segnalazioni arrivate ai carabinieri da parte di alcuni cittadini, che lamentavano disagi per la presenza di quella struttura…”. Ermini non ama le correnti della magistratura, lo ha detto in privato agli amici, senza però spingersi come Raffaele Cantone a definirle “un cancro”. In un’intervista a Panorama del 2015 spiegò che se le correnti della magistratura “prendono esempio dalla politica perdono la loro funzione. Questo poi si riflette sul Csm, dove l’attuale sistema elettorale premia la divisione in correnti”. Un sistema basato sulla conoscenza territoriale, spiegava, permetterebbe ai magistrati di “scegliere le persone più autorevoli e meritevoli dei vari distretti”, aiutando a “ridurre il potere” delle correnti e a far “emergere i migliori”. Un problema atavico anche nei partiti, specie il Pd, che ha un enorme problema di classe dirigente ma dove alla fine è sempre il senatore di Scandicci a dare le carte.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.