Per abolire la povertà il popolo compri i Buoni Patriottici Ordinari del Tesoro
Altro che reddito di cittadinanza. Per risolvere i problemi dell'Italia si deve essere più creativi del governo del cambiamento
Tante volte una situazione che sembra problematica, o addirittura irrisolvibile, guardata da una nuova prospettiva di colpo si rivela semplice e chiara. Il nodo immediatamente si scioglie. Il negativo in un attimo si trasforma in positivo. Detto in altre parole, basta trovare l’idea geniale e tutto si aggiusta.
A questo punto qualcuno mi chiederà: ma di che cosa stiamo parlando, che non si è ancora capito? Rispondo subito. Ovviamente, visto il preciso momento dell’anno in cui siamo, parliamo di Finanziaria. Dov’è il problema? Il problema è che vogliamo giustamente dare dei soldi ai poveri perché, come è giusto, riescano a vivere meglio. Possano fumare, possano bersi una bottiglia di birra da 66 cl, possano comprare, come i ricchi e i benestanti, qualche bustina di figurine ai figli, e una collanina di plastica alle figlie, e così via (l’uomo come sappiamo non è soltanto bisogni ma anche lusso fin da quando ancora viveva nelle caverne). Tutto questo, dicono i più, comporterà la creazione di nuovo debito cioè, detto in altre parole, l’emissione di nuovi titoli di stato. Chi li comprerà questi nuovi titoli di stato che servono a finanziare quello che a me piacerebbe chiamare il sussidio all’esistenza? Sugli stranieri, secondo qualcuno, non possiamo contare perché tante volte sono stupidi e cattivi. Ed ecco perciò un appello a un popolo, il nostro, in modo che questo popolo, unito e gagliardo, si comporti in modo fortemente patriottico e corra a comprare i titoli emessi dalla sua patria. Per rendere più chiara la cosa si potrebbe addirittura chiamarli non più BOT ma BPOT (Buoni Patriottici Ordinari del Tesoro) cosicché quando il tipico patriota italiano corre in banca per esercitare il suo patriottismo e un infame bancario, magari esterofilo, sta per rifilargli un BUND, il patriota italiano possa dirgli: No, ho detto BPOT e voglio il BPOT, cioè i miei soldi li metto nel buono patriottico.
Tutto questo ovviamente sarebbe molto bello, farebbe sentire la nazione molto coesa, ci ricorderebbe che siamo tutti ex-cattolici e sentiamo ancora attiva la nostra propensione alla carità, che per un terzo siamo ex-comunisti e sentiamo ancora attiva la nostra propensione alla solidarietà e alla fine che siamo tutti italiani e amiamo la penisola.
Ma c’è bisogno di tutto questo?
Secondo me grazie alla mia idea geniale non c’è n’è più bisogno. L’idea geniale è questa: basta dare il sussidio ai poveri in titoli di stato bloccati a dieci anni, e la situazione di colpo è risolta. E fra dieci anni il povero può andare in banca a ritirarsi il suo gruzzoletto, tra l’altro con il 3,5 per cento di interessi. E se il sussidio sono 700 euro al mese, fra dieci anni, alla scadenza dei buoni, il nostro povero si troverà a intascarsi tutto in un colpo 84.000 euro più gli interessi, trasformandosi di colpo in quasi benestante. Per di più, grazie a questa proposta, sarebbe lui, il povero, il vero patriota della situazione, essendosi fatto dare il sussidio in buoni patriottici.
Capisco che qualcuno potrebbe dirmi: Ma in questi dieci anni il povero come fa a campare? Non lo so, dico io, ci sono tante possibilità: può continuare a vivere come ha fatto fino a ieri, che non c’era il sussidio, sapendo però che fra dieci anni tira gli 84.000 euro; può continuare a stringere un po’ la cinghia, sempre aspettando gli 84.000 euro; può alternare lavoretti in nero a piccoli furti, che non alterano il rapporto deficit pil più di tanto, anche se comportano una piccola evasione dell’Iva, e farsi prestare qualche soldino da vecchie prozie pensionate offrendo in garanzia i suoi buoni; volendo può addirittura morire, ma sempre sapendo che i suoi figli, se restano poveri, dopo qualche anno vanno a tirarsi gli 84.000 euro. Ed ecco che il problema è di colpo risolto senza bisogno di capitali stranieri, senza bisogno di patrioti italiani, ma soltanto grazie alla creatività e all’intelligenza.
Equilibri istituzionali