Il nuovo codice di Rocco Casalino per i talk show
Perché la pressione della Lega e la paura delle europee costringono il M5s ad accettare il contraddittorio in tv
Il governo ha promesso di cambiare entro novembre il Codice degli appalti, ma prima di questo dalle parti della maggioranza si va più rapidamente verso una revisione del “Codice Rocco”. Ovvero l’insieme di direttive che Rocco Casalino, il capo comunicazione del M5s e portavoce del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha imposto alle trasmissioni televisive per regolare le ospitate dei “portavoce” del M5s. La linea generale predominante negli ultimi 5 anni, in parte subita e in parte accettata dai talk show, è stata quella dell’intervista del conduttore, al massimo affiancato da altri giornalisti, ma senza competitor politici. Al massimo, se erano previsti esponenti di altri partiti, il deputato grillino poteva apparire in collegamento dalla piazza, preferibilmente insieme alla “gente”, ma senza interlocuzione con gli avversari.
Ora pare che qualcosa è cambiato. Ma non per decisione dei media, che hanno cercato sempre di trovare un compromesso pur di avere la prima forza politica del paese. A diverse trasmissioni televisive è arrivata la comunicazione di un aggiornamento del “Codice Rocco”: si cambia, da adesso in poi il M5s apre al contraddittorio ed è disponibile a partecipare a talk show insieme agli altri partiti. Naturalmente restano alcuni vincoli che sono perlopiù di tipo tecnico, ad esempio resta la storica indisponibilità a partecipare a dibattiti con 5-6 partecipanti perché si crea l’effetto “pollaio”, ma il tabù del confronto è rotto.
D’ora in poi dovrebbe essere possibile avere trasmissioni con un contraddittorio vero, evitando anche così la spiacevole situazione che costringeva in una certa misura – in assenza di avversari – i conduttori a prendere quel ruolo. La distorsione era doppia: non solo il M5s riceveva un trattamento di favore, ma con i conduttori costretti a fare il controcanto a gran parte del pubblico di fan sembrava addirittura che i grillini venissero penalizzati e maltrattati.
A cosa è dovuto questo cambio di strategia comunicativa del M5s? Non certo per amore del pluralismo, ma essenzialmente per due motivazioni concomitanti, una interna e una esterna. Da un lato, vista l’enorme crescita nei consensi di Salvini e il sorpasso della Lega nei sondaggi, il M5s sente l’esigenza di consolidare la sua presenza sui media per conservare il proprio elettorato in vista delle europee. Se c’è Di Maio si riescono ad ottenere determinate condizioni e regole d’ingaggio, ma per occupare più spazi televisivi bisogna scendere nell’arena. L’altra spinta nella medesima direzione arriva dalla Lega, ma per motivi opposti: non per prendere gli applausi, ma per condividere i fischi. I leghisti non ci stanno ad andare in televisione a difendere proposte grilline come il “reddito di cittadinanza”, su cui sono in profondo imbarazzo.
Ieri a “Omnibus” su La7 il sottosegretario all’Economia Massimo Bitonci ha perso le staffe e ha cominciato a insultare Lara Comi di Forza Italia che gli chiedeva se il governo intendesse realizzare la Tav. Di questa situazione lo stato maggiore della Lega si è lamentato con il M5s, chiamato a condividere gli oneri mediatici della manovra. “La sciagura è che in tv ci andiamo noi – diceva qualche settimana fa il capogruppo leghista Riccardo Molinari – i grillini non ci vanno, e così tocca alla Lega difendere provvedimenti indefiniti e vaghi”. Ora, a parti invertite, il M5s dovrà farsi carico di difendere il condono fiscale voluto dalla Lega.