Se un governo è poco credibile non basteranno le fake news a salvarlo
Cosa ci dice il dato sugli italiani che si informano ancora dai tg
Un tweet del direttore Cerasa di qualche giorno fa, preso dal 15mo rapporto Censis sulla Comunicazione, mi fa ritornare all’annoso problema delle fake news e della post-verità, il capro espiatorio di molte débâcle della classe dirigente occidentale. Lo studio mostra che il 65 per cento degli italiani usa i telegiornali come fonte d’informazione e il 20 per cento usa i radio-giornali, mentre tra Facebook (25) e Twitter (1,8) non si raggiunge il 30. Certo, se si sommano tutti gli strumenti elettronici e digitali si ottiene più o meno la stessa cifra dei telegiornali, ma i risultati sono comunque sorprendenti. I mezzi tradizionali resistono. L’osservazione diventa ancora più interessante se si pensa che il quasi il 70 per cento degli italiani ritiene radio-giornali e telegiornali attendibili mentre la fiducia su ciò che si trova in rete è molto più bassa (30-40 per cento).
Siamo proprio sicuri, ma sicuri sicuri, che la colpa della disinformazione italiana sia della rete e dei social? E siamo proprio sicuri che per comprendere la vittoria della percezione sulla realtà sia prioritario concentrarsi sui troll? pic.twitter.com/1t2hVYOewZ
— Claudio Cerasa (@claudiocerasa) 10 ottobre 2018
Il direttore si chiede ironicamente se, visti questi dati, siamo proprio sicuri che la disinformazione sia colpa della rete e dei social? Dopo tutto questo parlare, inchieste e controinchieste americane, possibile che la colpa sia dei mezzi tradizionali? La risposta coinvolge alcune basi della comunicazione. Innanzi tutto è certamente vero che i grandi maestri di fake news sono i mezzi tradizionali. Chi ha insegnato a tutti a tagliare le immagini, a riprendere in campo lungo o corto a seconda della convenienza della notizia, a esaltare chiunque per motivi insulsi o addirittura socialmente pericolosi? Chi ha spiegato a tutti la legge per cui non importa se qualcosa è vero o falso, ma ciò che conta è che sia nuovo? Chi ha illustrato che ciò che importa è che se ne parli, a costo di mostrare orrori o perversioni di ogni genere? E’ stata la comunicazione tradizionale, in particolare la televisione, bene anticipata da giornali, radio-giornali e cinegiornali. Tutti oggi possono fare sul loro smartphone quanto hanno visto e imparato da ottimi maestri.
Lo si dice ovviamente senza scandalo e, al contrario, si vorrebbe che finisse lo scandalo su questa presunta emergenza. Del resto, basta aprire il capolavoro di Walter Benjamin su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936!) per
capire che il problema non è la cattiveria delle persone, che pure esiste, ma il mezzo. Da quando esiste la possibilità di registrare e poi tagliare, montare, ricombinare immagini e suoni questo destino di falsificazione estrema era segnato. E’ Benjamin negli anni Trenta, e non Warhol negli anni Settanta, a dire che ciascuno avrà i suoi minuti di celebrità. Il mezzo modifica il messaggio, non c’è niente da fare. Ciò non toglie che poi gli esseri umani siano liberi di usare la conoscenza del mezzo per una modificazione di un tipo piuttosto che di un altro, ma l’elevata possibilità delle fake news è nella natura del mezzo.
La seconda osservazione va proprio nel- la direzione della curiosa forza della libertà umana. Se è vero che alla fine le informazioni si prendono dai Tg, perché ci sono movimenti che prendono voti anche quando la comunicazione mainstream è contro di loro? La solita domanda che attanaglia tutti negli Stati Uniti, dove più o meno le cose stanno nello stesso modo: perché Trump ha vinto avendo il 98 per cento della comunicazione mainstream contro? Forse, bisogna rassegnarsi al fatto che il voto popolare, informato o disinformato com’è, vota non perché pensa che quelli che vota siano migliori di come la comunicazione mainstream li dipinga, ma perché pensa di mandarne a casa degli altri che ha già provato. In altre parole, informato o disinformato com’è, vota contro qualcuno, su cui è informato e disinformato allo stesso modo dai media ma di cui ha esperienza diretta.
Non è quindi che la comunicazione non sia efficace, ma essa non riesce a cancellare l’esperienza diretta delle persone, almeno se non c’è potere ideologico-totalitario. Quest’ultimo si differenzia proprio perché riesce a dominare la percezione dell’esperienza della maggioranza delle persone. In democrazia, invece, chi è al potere tende a perdere consenso perché non può impedire che la gente parli della propria esperienza diretta. Anche qui c’è poco da scandalizzarsi e molto da interrogarsi sul fatto che la prima comunicazione e la prima credibilità si vedano nelle decisioni che impattano direttamente la vita delle persone. E su questo, anche l’attuale governo italiano giocherà a breve la sua credibilità.