La sceneggiata della precrisi dei guappi
Il Truce è di cartone, Giggino è panna montata, la competizione è sempre più squilibrata ma la crisi vera è improbabile
Il Truce in genere irrita, fa arrabbiare, fa piangere quando va a Mosca a recitare la parte dell’eroe del Donbass o a sostenere le balle dell’autocrate sul veleno a Salisbury. Giggino in genere fa ridere, e fa sganasciare dal ridere quando denuncia come torcheculatif, diciamo cartaccia, il decreto da lui verbalizzato e firmato. Uno ha quarant’anni più o meno e gioca a destra. L’altro ha trent’anni più o meno e gioca antisistema, un po’ a destra e un po’ a sinistra, ma sempre con i clienti di Pomigliano e gli abusivi di Ischia. Insieme hanno deciso di scassare i conti italiani, di premiare evasori e riciclatori più e meglio di quanto accaduto nel nostro passato condonante tombale, insieme lanciano improperi contro l’Europa che li respinge, loro, con perdite, nostre. Perdite di cittadinanza, non compensate da reddito e affrettate pensioncine per il pubblico elettorale di riferimento. I due si sono montati la testa, ma l’uno ritiene inevitabile candidarsi alla guida dell’Unione alla testa di un fronte sovranista avviato a una splendida performance a Strasburgo, così spera, l’altro non sa che pesci pigliare e festeggia l’orgoglio grillino dell’onestà-tà-tà in condizioni francamente pietose. Intanto il presidente del Consiglio, per quanto sbeffeggiato a Bruxelles, dice che comanda lui.
Questa precrisi è grottesca, come tutto quel che ha prodotto il voto legittimo e bestiale del 4 marzo scorso. Ma il confronto con il 2011 del collasso politico e finanziario di Berlusconi e della Lega di governo è nulla, a parte l’orizzonte dello sbrocco del credito e della recessione, che non è male, a paragone dei problemi che apre il futuro prossimo. Il governo per contratto tra privati è una buggeratura. Mancano una visione pubblica e una verifica politica e tecnica degli obiettivi e degli strumenti sostenibili, abbonano le maschere, è assente anche solo il barlume di un personale di stato, regna il complesso della manina e una diffidenza reciproca non detta, che è la peggiore delle ambiguità.
Tuttavia il Truce ha la sua immagine, ormai contraddetta dal suo blocco sociale di riferimento, e anche per questo sempre più strabordante, una spavalderia corrispondente soltanto alla notoria ruffianeria del paese più scaltro del mondo, testimoniata da sondaggi euforici e sensalerie varie anche nel meridione grillino fino a ieri al cinquanta per cento. Giggino invece sta combinato maluccio, e non si può consolare pensando che la carta sovranista dell’alleato infido è anche quella torcheculative, perché Orbán va con Weber, il cancelliere Kurz non vuole pagare i debiti fatti dal governo italiano, e i polacchi, per quanto solidali con l’ultimo arrivato delle democrazie illiberali, sono pur sempre abbastanza antirussi, mentre a Marine Le Pen non piace l’invadenza di Bannon. Non parliamo dei bavaresi, che si dibattono tra conservatorismo solido e Verdi proeuropei, affluenti, globalizzatori.
Va bene. Su scala europea il Truce sembra un guappo di cartone, ma Giggino sembra un guappo di panna montata. La competizione è squilibrata. Il Truce vuole riequilibrarla dopo aver preso qualcosa o molto di più di quel che aveva raccolto il 4 marzo, per investirlo in modo eccessivamente redditizio per lui e i suoi, ma a Giggino arrivano voci da Grillo e della Casaleggio: guarda che ti frega, il riequilibrio lo devi fare subito, non quando avrai perso peso a suo favore, e lo devi fare senza sputtanare le nostre bandiere e la nostra demagogia. Dalla precrisi alla crisi è difficile che si passi, tuttavia, perché bisogna mettersi nei panni di due giovanotti senza troppa arte né parte, legati da un destino comune chiamato contratto, e da un’aura di dominanza che l’Italia è sempre capace di regalare senza far troppe storie a chi comanda pro tempore.