Salvini e Di Battista, i destini incrociati dei gemelli populisti
Il leader della Lega parla della possibilità essere il candidato alla guida della Commissione europea per conto dei sovranisti. Dibba sarà il suo avversario?
Roma. Magari sono solo tattiche per gestire mediaticamente meglio il prossimo voto europeo, ma l’intenzione per ora c’è: Matteo Salvini potrebbe essere il candidato alla guida della Commissione europea per conto dei sovranisti. Lo ha confermato nei giorni scorsi in un’intervista a Repubblica: “E’ vero, amici di vari paesi europei me lo stanno chiedendo, me lo stanno proponendo... In questo periodo tra manovra, Europa, immigrati, non ho avuto tempo e modo per valutare la proposta. Maggio è ancora lontano. Vediamo, ci penso”. La candidatura di Salvini ha naturalmente senso, visto che il capo della Lega intende presentare le prossime elezioni europee come lo scontro finale fra élite e popolo (del quale il segretario sarebbe naturalmente il portavoce). In più, così sorprenderebbe il fronte antieuropeista di cui fanno parte i Cinque stelle, che per il momento non hanno un frontman da presentare. Anche se naturalmente il nome giusto è pronto: Alessandro Di Battista, ex deputato showman del M5s, oggi reporter dalla penna infelice disperso in America latina. Di Battista ha il profilo giusto: statuto alla mano, ha ancora un mandato da spendere, è rimasto fuori dal mischione dei felpastellati, gli hanno offerto di fare il ministro degli Esteri ma avrebbe rifiutato per partire con la famiglia alla volta del cazzeggio perfetto, un po’ diari della motocicletta, un po’ “vita in vacanza” dello Stato sociale.
Tra un po’ Dibba d’altronde tornerà in patria e dovrà decidere che fare. Già nei mesi scorsi, quando si era affacciata l’ipotesi di un ritorno alle urne, l’ex deputato a Cinque stelle aveva manifestato l’intenzione di ripresentarsi per il parlamento. Ma c’è anche un’altra ipotesi. Qualora fosse condannata (il 10 novembre è attesa la sentenza del processo che la vede imputata per falso), Virginia Raggi si dovrebbe dimettere da sindaca di Roma. Così impongono le severissime regole del M5s e così iniziano già a dire gli storici avversari della Raggi, come Roberta Lombardi. A quel punto Dibba potrebbe presentarsi come candidato sindaco di Roma. Come avversario più ostico avrebbe non il Pd ma la Lega, che negli ultimi mesi ha iniziato a prelevare da Fratelli d’Italia consiglieri comunali e di municipio, per un totale di undici persone, per formare i primi gruppi salviniani. Non è un caso che la Lega sia ripartita dalla destra di Giorgia Meloni, visto che Fratelli d’Italia è in crisi d’identità (Salvini semplicemente fa adesso, meglio, ciò che gli eredi della tradizione della destra italiana sognano di realizzare). Oltretutto, con quel mondo la “nuova” Lega ha sempre avuto un feeling. Negli ultimi giorni è tornata a circolare su Internet una vecchia foto del 2015, quando la LegaPound era in fervente attività, di una cena fra Salvini e i vertici di CasaPound. Poi quel rapporto si è interrotto, ma di recente il leader Simone Di Stefano ha elogiato il ministro dell’Interno dicendo che “sta facendo un ottimo lavoro”. La storia della Lega a Roma è fatta non da milanesi che hanno varcato il confine per rinunciare all’indipendenza padana, ma da post-fascisti che hanno lasciato la casa del padre per passare con i salviniani. Il coordinatore regionale Francesco Zicchieri viene per l’appunto da An.
Se la Lega punta a ottenere la candidatura a sindaco per il centrodestra, se non a correre da sola, non può che cercare di intercettare il voto della destra, che a Roma ha una sua storia e ha avuto anche spazio, come già ha dimostrato la vittoria di Gianni Alemanno (che, non a caso, con il suo “Movimento nazionale per la sovranità” è alleato di Salvini). Questo dunque potrebbe essere il senso della possibile sfida con i Cinque stelle.