Alessandro di Battista stringe la mano a Luigi Di Maio (Foto LaPresse)

Così la Lega mette in difficoltà Di Maio, mentre Dibba ha un doppio piano

Valerio Valentini

Salvini esaspera il dualismo tra i due. M5s in subbuglio. E ora sul dl sicurezza il governo scazzotta

Roma. Siccome sanno che potrebbe andare peggio, un po’ si sforzano di coccolarselo. “Di Maio? Con lui vado d’accordo”, ripete Matteo Salvini. Ma siccome sperano che possa andare meglio di così, i leghisti di maggior spessore, in Parlamento e nel governo, non rinunciano a metterlo sotto pressione, il capo grillino, a rendergli la vita difficile. E infatti quando il ministro dell’Interno ripete ai suoi, con malcelata furbizia, “guardate che se salta Di Maio arriva Di Battista, e sarebbe un disastro”, ecco che implicitamente è lui stesso, nel momento in cui finge di proteggere il collega vicepremier, a legittimare in verità il suo antagonista interno, a fomentare le ambizioni del barricadero giramondo pronto a rimpatriare prima di Natale.

E il gioco del segretario del Carroccio sembra che stia riuscendo, se è vero che sabato, tra gli attivisti e i portavoce di vario ordine e grado radunati al Circo Massimo, subito dopo il video da oltreoceano del subcomandante Dibba, in tanti si davano di gomito: “Lui sì che saprebbe rimettere Salvini al suo posto”. Quel che è certo, in ogni caso, è che il ritorno di Di Battista costituirà una rogna non da poco, per Di Maio: che sul suo “amico fraterno” spende solo parole mielose, ma con la stessa credibilità di cui sono capaci i dirigenti del Pd mentre tra loro si rinnovano attestati di stima reciproci.

 

Nel Carroccio lo sanno, e forse anche per questo ieri mattina erano tutti contenti nello scambiarsi per messaggio l’esito di un sondaggio sul gradimento dei leader all’interno del M5s. I due stavano lì, appaiati: Di Maio al 21,6 per cento, Di Battista al 21,4, appena avanti rispetto a Roberto Fico (19,2). Una concorrenza interna che di certo non giova al lustro dell’astro di Pomigliano, piuttosto appannato nelle ultime settimane. “Luigi è in difficoltà: ci sta facendo inabissare, ne è consapevole e per questo si muove in maniera azzardata”, ammetteva un uomo di governo del M5s, nel commentare la sceneggiata sulla “manina” negli studi di Porta a Porta.

 

Segno di nervosismo del capo, di fronte a un gruppo parlamentare sempre più disunito. La prova, l’ennesima, è arrivata sul decreto sicurezza, minacciato dall’opposizione dell’ala sinistra del M5s a Palazzo Madama. “Presentare 81 emendamenti, non concordati, a un progetto di legge di un alleato? Non si fa così tra compagni di governo”, è sbottato Salvini. Di Maio ha garantito una soluzione immediata, ma nel farlo si è illuso di poterla trovare con eccessiva facilità.

 

“Ritirare gli emendamenti? E perché?”. Paola Nugnes, senatrice vicinissima al presidente della Camera, fiera oppositrice del decreto salviniano, a fare un passo indietro non ci pensa neppure. “Noi quel provvedimento lo contestiamo nel merito, per quello proponiamo di correggerlo. Come ci siamo sempre ripromessi di fare, del resto: valutare proposta per proposta, documento per documento. Senza ideologie e calcoli”.

 

Neppure di fronte all’evocazione di un possibile incidente di governo la senatrice napoletana si scompone. “Non è nostra la responsabilità, ma di chi ha fatto arrivare quel provvedimento in Parlamento, di chi ci ha messo in questa condizione”. E si spiega allora perché l’insofferenza tra i leghisti cresca: “Oltre agli 81 sul decreto sicurezza, anche i 7 emendamenti sulla legittima difesa. Se non li ritirano, qua salta il governo”, si ripetevano tra loro, ieri sera, leghisti e sottosegretari del Carroccio, forse drammatizzando oltremodo una tensione che però è reale. 

 

“E’ una questione di rispetto reciproco: noi abbiamo fatto un passo verso M5s sul condono, ora tocca a Di Maio fare un passo verso di noi”, dice al Foglio Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato. Sì, perché dopo sicurezza e legittima difesa sarà la volta del piano sulle Ferrovie e dell’autonomia di Lombardia e Veneto, su cui lo scontro è già acceso. I due vicepremier ne hanno parlato anche ieri sera, a cena. Ma la soluzione è stata prospettata con una certa vaghezza, dal grillino. “Di Maio deve tenere le redini del M5s, sennò non si va avanti”, ripete Giancarlo Giorgetti.

 

E proprio sul dl sicurezza, spiegano i leghisti, si comincerà a saggiare la sua nobilitade di capo. E’ evidente che, nel chiedergli la prova di forza, nello spingerlo a ridurre all’obbedienza i parlamentari riottosi, Salvini punti ad allargare la crepa tra l’ala pragmatica del M5s e quella più vicina a Roberto Fico: se davvero si arrivasse all’ordine perentorio (“Ritirate gli emendamenti, punto e basta”), allora le contraddizioni interne al M5s esploderebbero. E’ così che i leghisti preparano, con zelo preventivo, il terreno della nuova sfida, in vista di rimescolamenti e cambi di maggioranze.

 

E Dibba, in tutto ciò? Al momento il combattente è combattuto: sa bene che un insuccesso alle Europee metterebbe definitivamente in crisi la leadership di Di Maio. “E allora – ragionano i suoi seguaci in Transatlantico – perché dovrebbe accettare di candidarsi a maggio 2019?”. Meglio aspettare sulla riva del fiume. E però alle Europee pare ci stia pensando davvero, Di Battista. “In fondo è da Strasburgo che Salvini ha iniziato la sua scalata alla Lega, no? Senza contare che mai, come in questo passaggio, l’Europa finirà al centro del racconto dei media”, osservavano i grillini vicini a Roberta Lombardi, a sua volta pronta a schierarsi al fianco del Dibba redivivo. Salvini osserva, intanto: e a suoi ministri, spazientiti di fronte alle bizze a cinque stelle, predica pazienza. Raccontando, pare, la storia dei due galli nel pollaio.