La fuga dalla realtà non si può condonare
Dove ci porta la manovra della post verità? Il rischio patrimoniale. Le promesse che non tornano. La simmetria tra Salvini e Di Maio oltre le chiacchiere. Perché il dramma del governo non è l’equilibrio tra alleati ma l’inconciliabilità con la realtà
Vogliono contare di più in Europa, ma costruiscono alleanze con paesi che in Europa vogliono far contare di meno l’Italia. Vogliono aumentare i posti di lavoro, ma portano in Parlamento riforme che promettono di far diminuire i posti di lavoro. Vogliono attrarre investimenti dall’estero, ma costruiscono manovre che puntano a far fuggire dall’Italia gli investitori. Vogliono combattere l’evasione fiscale, ma partoriscono provvedimenti architettati per ingrossare il lavoro nero. Vogliono abbassare le tasse, ma scrivono nella legge di Stabilità che non hanno alcuna intenzione di abbassarle. Vogliono combattere gli sprechi facendo risparmiare allo stato 40 milioni all’anno con una revisione dei vitalizi ma poi giocano con lo spread e fanno perdere 3,6 miliardi di euro all’anno in interessi sui titoli di stato. Vogliono far risparmiare gli italiani tagliando l’aereo di stato presidenziale ma poi comprano tutta l’Alitalia. Vogliono violare le regole del deficit per far ritrovare all’Italia una nuova sovranità, ma non si rendono conto che far aumentare il deficit senza rispettare le regole espone il proprio paese agli attacchi degli speculatori.
Che cos’è questa se non la fuga dalla realtà? Negli ultimi giorni, il vivace battibecco relativo alle reali dimensioni del condono fiscale ha avuto l’effetto di mettere per qualche ora l’uno contro l’altro i due vicepremier del governo del cambiamento e ha contribuito ad alimentare una storia che più falsa non si può e che suona più o meno così: se mai questo governo cadrà, la ragione sarà legata all’evidente incompatibilità di programmi tra la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 stelle di Luigi Di Maio. E’ dall’inizio della legislatura che molti osservatori tentano in tutti i modi di dimostrare che l’incontro tra Salvini e Di Maio non potrà durare a lungo perché in fondo il contratto di governo è frutto di un compromesso impuro tra due forze politiche che stanno insieme solo per questioni di potere. L’adesione acritica a questa tesi tende ad accreditare uno schema pericoloso in base al quale il governo del cambiamento è insieme sia maggioranza sia opposizione: nulla di più falso. Finora, la traiettoria scelta da Salvini e Di Maio ci dice invece che il leader della Lega e quello del Movimento 5 stelle litigano sui piccoli dettagli ma si trovano in perfetta sintonia quando devono dare una direzione di marcia al proprio paese. E se vogliamo, la legge di Stabilità – ieri il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha confermato alla Commissione europea che rimarrà così com’è – è una dimostrazione plastica del fatto che più passa il tempo e più Salvini e Di Maio sembrano destinati a mettere in campo due progetti non alternativi ma perfettamente complementari.
Negli ultimi giorni abbiamo visto molte e appassionate discussioni sulle soglie di punibilità dei condoni ma non abbiamo visto alcuna discussione sui punti salienti della manovra dove la sintonia tra Salvini e Di Maio è semplicemente perfetta: stessa visione sulle pensioni da scassare, stessa visione sullo spread da ignorare, stessa visione sull’Europa da calpestare, stessa visione sulla globalizzazione da superare, stessa visione sul declassamento da non considerare, stessa visione sulla Commissione da non rispettare. E per quanto possa essere incoraggiante sentire un presidente del Consiglio e un vicepresidente del Consiglio o un ministro dell’Economia ricordare che l’Italia non ha intenzione di uscire dall’euro la verità è che il contratto fuori dal mondo firmato da Salvini e Di Maio oggi può essere sostenibile a due condizioni. O avvicinandosi lentamente all’uscita dall’euro, facendo saltare l’Europa con l’idea di giocare finalmente facile con gli strumenti dell’inflazione. O facendo quello che la prima agenzia di rating che ha portato il nostro debito pubblico a un passo dal livello spazzatura ha previsto che verrà fatto nel caso in cui la manovra populista dovesse tradire le sue promesse di crescita. “L’alto livello di ricchezza delle famiglie italiane – ha scritto venerdì sera Moody’s – è potenzialmente un’importante valvola di sicurezza per lo Stato e potenzialmente una sostanziale fonte di finanziamento per il governo”. E tradire le proprie promesse di crescita purtroppo rischia di essere più semplice del previsto.
La manovra populista, come sapete, si basa su una stima di crescita degna del festival dell’ottimismo – più 1,5 nel 2019 contro una crescita tendenziale prevista dello 0,9 – e il fatto che venerdì scorso il bollettino di Bankitalia abbia certificato che la crescita è stata solo dello 0,1 nel terzo trimestre del 2018 ci dovrebbe suggerire di leggere con attenzione un passaggio particolare della lettera inviata ieri da Tria alla Commissione europea: “Al riguardo, qualora i rapporti debito/pil e deficit/pil non dovessero evolvere in linea con quanto programmato, il governo si impegna a intervenire adottando tutte le necessarie misure affinché gli obiettivi indicati siano rigorosamente rispettati”. Nel migliore dei casi, dunque, le false promesse dei populisti porteranno a una manovra correttiva, se non a una patrimoniale. Nel peggiore dei casi, invece, porteranno con una galoppata veloce l’Italia fuori dalla zona euro. Sui piccoli dettagli, Salvini e Di Maio possono anche litigare e continueranno a farlo. Sulle grandi visioni, però, Salvini e Di Maio la pensano allo stesso modo. E per questo l’incompatibilità al governo che vale la pena monitorare nei prossimi mesi purtroppo non è quella tra gli alleati ma è semplicemente quella con la realtà.