Manifesto per la buona destra
Davvero Matteo Salvini ha il diritto di intestarsi politicamente una storia, un sistema di valori, riducendoli al suo perenne urlare contro gli ultimi delle Terra, contro i reietti, contro i diversi? Suggerimenti per ripartire
Una sensazione. Nulla di più. Nulla di meno. Una fortissima sensazione di estraneità rispetto a una destra (destra?) sempre più caricaturale. Sempre più cattiva. Sempre più estrema in ogni sua espressione. Come se l’urlo fosse l’unico modo di vivere la politica. Come se l’odio fosse l’unico sentimento possibile. Una sensazione che, però, si accompagna alla razionale consapevolezza di una grande verità: esistono due modi, due approcci distinti e distanti per declinare i valori della destra politica. Destra non è un retaggio di esclusivo appannaggio di certi apprendisti stregoni, campioni dell’odierno consenso. Loro, i nuovi Masanielli in felpa che roteano la bacchetta della semplificazione e incantano con il piffero magico del cosiddetto buonsenso. Loro, che non perdono occasione per evocare il superamento delle vecchie ideologie, salvo poi farsi incoronare e incensare quali eredi dell'“unica vera destra”. Come se la destra fosse davvero solo quella: la loro. Una destra retrograda, chiusa, illiberale, plebiscitaria, semplicistica, ispiratrice di remote derive razziste. Per la quale chiunque dissenta debba essere automaticamente etichettato come “nemico”.
Questa sensazione di disagio esprime la necessità di trovare un punto di ripartenza. La necessità di molti che non vogliono piegarsi al ricatto di chi, proprio da destra, li bolla come “traditori”. Molti che intendono levare alta la loro voce per non far trionfare mister Hyde, l’assassino, il pazzo, il lupo mannaro. Dottor Jekyll, la destra sana, moderna, laica, realista, concreta, affidabile deve reagire per riprendersi il suo posto nella storia. Nell’odierna temperie si avverte il forte bisogno di un richiamo a quei molti. E non tanto all’interno di una generica società civile, quanto proprio nella prospettiva ideale della destra. Già, perché non c’è più spazio per gli attendismi: è giunto il momento, per ciascuno, di decidere con quale destra stare. Perché la frontiera è lì. La trincea è lì. Astenersi significherà fare il gioco di chi oggi sta monopolizzando quello spazio politico grazie a un prevedibilissimo vuoto di potere che nessuno ha saputo occupare. Il salvinismo è la soluzione finale del berlusconismo. E nemmeno ci si illuda che quella attuale sia una mera parentesi dominata da un vago e in fondo inoffensivo “populismo”.
L'Hyde, il lato oscuro, sta seducendo intere generazioni e risvegliando pulsioni che ingenuamente credevamo relegate tra le pagine sbiadite dei libri di storia. Contagia con la narrazione di un popolo che vuole ritrovare la grandezza e intanto, a poco a poco, avvelena le vite, asservendole ai sentimenti più meschini, impoverendo i nostri cuori e le nostre menti. Tra le sue fila, assolda i Bernardo Gui della contemporaneità, fonda un nuovo ordine di inquisitori sempre all'opera per erodere i diritti civili conquistati dalla laicità. Ma l’Hyde è andato perfino oltre. Perché, laddove tornano i Savonarola, si riaccendono presto gli autodafé e riecheggiano i proclami contro le nuove streghe di Salem: gli “ultimi” del nostro tempo. O almeno, tutti quegli ultimi che risultino elettoralmente isolati. Insomma, che sia facile trasformare in nemici della maggioranza, gettandoli in pasto all’ennesimo pogrom d’indignazione popolare. Perché uno dei capolavori di questa destra di rabbia e di sangue è proprio quello di poter contare, a ogni chiamata alle armi, su reti di complicità annidate nella società cosiddetta civile. È capitato e capita con le orde di quelli che Enrico Mentana ha efficacemente definito gli “webeti”. Ma è capitato e capita anche con il fenomeno squadrista delle “ronde”, velatamente incoraggiate come sana espressione di buon cittadino che difende i sacri recinti del suo quartiere, eppure segno indelebile di uno Stato che cessa di fare lo Stato per tornare a essere Far West.
Ma è questo il tipo di destra che serve all’Italia? Davvero pensiamo di poterci voltare dall'altra parte? Davvero ci illudiamo che tutto questo sia accidentale e non rientri in un clima conforme ai desiderata dell’Hyde? È con scientifico disegno che certa sedicente “destra” alimenta con assoluta maestria i temi di una squallida propaganda: la destra diventa estrema (e pericolosa) quando inizia a fare di un disagio reale, come è nei fatti l’immigrazione irregolare, l’unico problema concreto dell’Italia. Trasformare un problema nell’unico problema: è questo il trucco retorico al quale si può porre solo un’altra destra, realista e concreta. Che non distragga l’attenzione da mancata crescita economica, disoccupazione, corruzione, migrazione della nostra migliore gioventù: tutti temi di enorme portata che andrebbero invece affrontati con la forza e lo spessore di una politica capace di dare risposte efficaci. È forse questa la destra autorevole che tanti di noi hanno sognato? Una destra così ipocrita e bavosa? Davvero Matteo Salvini ha il diritto di intestarsi politicamente una storia, un sistema di valori, riducendoli al suo perenne urlare contro gli ultimi delle Terra, contro i reietti, contro i diversi? Davvero siamo obbligati a subite questa “riduzione a uno” senza nessun tentativo di ribellione? Davvero l'Hyde ha esiliato per sempre il dottor Jekyll? Davvero non è più possibile un'altra destra?
Una destra inumana che sceglie di fare appello alla volontà popolare per scardinare le fondamenta costituzionali dello Stato civile, non può essere una destra conciliabile con la democrazia. Non può essere la destra di quelli, molti, bollati dai populisti campioni della propaganda come “traditori”. E chi adesso inneggia a essa, credendo che stia facendo i suoi interessi, nemmeno si accorge che sta mettendo con le sue stesse mani il cappio attorno alla propria libertà. Ma almeno coloro che a destra se ne rendono conto, o che lo sospettano, hanno il dovere di porsi il problema e di agire per mostrare all’opinione pubblica come esista un’alternativa. Insomma, una scelta altra rispetto a quella dell'Hyde vampiro, che vive solo assorbendo energie positive alla migliore parte della società trasformandole in odio! Ebbene, di fronte a questa deriva avvilente, non vale forse la pena di percorrere un altro cammino rispetto a quello di una destra non-politica che vive solo grazie all’infelicità e all’insicurezza, vera o indotta, della società?
Sarà una sfida difficile. Magari, agli occhi dei più pessimisti, ardimentosa al punto di rasentare la follia di Don Chisciotte quando caricò i mulini a vento. Eppure, se sapremo fare appello alle nostre migliori energie, questa non sarà una lotta dannata come quella del capitano Achab contro il mostro Moby Dick. Nella storia della destra, infatti, si celano già tutte le risposte di cui abbisogna chi, oggi, vuole ritrovare le ragioni di una buona battaglia contro l’Hyde. Ma parliamo qui di una destra diversa, di cuore e di testa, animata dalla forza pragmatica della ragione e guidata dalla stella polare dei suoi miti più autentici. Dove è finita la destra che credeva nell'ideale cavalleresco? Possibile che si sia lasciata alla mercé dell’odierna dabbenaggine l’eredità consegnataci dalla figura eroica del Cavaliere di Dürer? Davvero si è riusciti a passare, con così disarmante disinvoltura, dal mito evoliano dei nobili cavalieri capaci di perdere la vita pur di aiutare il più debole, a quello della plebe stracciona in rivolta contro chi sta peggio di lei?
Dal verticale all’orizzontale. Dalle élite alla plebe. Dal mitologico Re Artù alla realissima Barbara D’Urso. Dalla destra eroica e guerriera (e futurista) di chi getta il cuore oltre gli ostacoli della storia alla destra che soffia sulle paure delle società per abbeverarsene elettoralmente. Ogni pulsione generosa a creare le basi di uno Stato che, attenzione, non sia paternalistico, ma capace di dare a ciascuno gli strumenti per elevarsi e comprendere la realtà, semplicemente, viene bollata come elitismo radical-chic. Il presente non appare rassicurante. E non lo è perché, per l'appunto, questa è l'epoca in cui si preferisce nutrire e accarezzare la bestia, anziché emendarla.
È l’eterno ritorno dell’eguale biografia di una (certa) destra. Una destra (deteriore) che cerca di riempire la pancia dei poveri con l’odio verso altri poveri, invece di imboccare la strada faticosissima e difficilissima di riscrivere ogni santo giorno il romanzo collettivo di una comunità in cammino. Una destra (deteriore) per cui la politica senza ricerca continua di un nemico è sciocca prospettiva rivoluzionaria e scialba lentezza conservatrice.
Manganello e merda. Ecco, il nodo è tutto qua: è possibile in Italia eliminare il manganello dalla declinazione culturale della destra politica? È possibile eliminare quelle facce bavosamente rabbiose? Quelle semplificazioni propagandistiche degne delle peggiori discussioni da bar? È possibile superare finalmente una destra pre-politica, tribale, identitaria e reazionaria, capace solo di creare nemici da abbattere come se tutto fosse davvero così semplice? Se non sono gli ebrei, infatti, sono gli immigrati; se non sono gli immigrati, sono gli omosessuali; se non sono gli omosessuali, sono le coppie non sposate, oppure i banchieri, l’Europa, i poteri occulti di ogni risma e forma... in una corsa verso l’uniformità che, a ben vedere, nulla ha a che fare con uno dei capisaldi di un’altra destra possibile: la salvaguardia delle diversità come valore e, quindi, la difesa senza se e senza ma della libertà che le dovrebbe garantire. È possibile questa destra? Non abbiamo la risposta. Ma sentiamo l’obbligo di porci la domanda. Di metterci in viaggio alla ricerca di questa possibile via traversa.
Gli uomini non sono alberi, hanno le gambe per camminare: pronti ad accogliere nuovi compagni di viaggio, nuovi colori, nuove identità; pronti a farsi influenzare, pronti a scegliere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, pronti a costruire ponti, a fondare nuove città, nuove patrie, nuova storia. Unire le forze. Ecco, forse è questo il punto dal quale è possibile ripartire. E proprio da un’idea di Patria che non può essere quella divisoria, muscolare e totalitaria dell’estrema destra. “Quando penso ‘Patria’ esprimo me stesso, affondo le mie radici, è voce del cuore, frontiera segreta che da me si dirama verso gli altri, per abbracciare tutti, fino al passato più antico di ognuno” ha detto san Giovanni Paolo II. Perché la Patria, per essere davvero “Patria per tutti”, non può che essere inclusiva, non può che essere tollerante, non può che essere libertaria.
“Gandalf è vivo e lotta insieme a noi”. Questo era il motto sposato nei Campi Hobbit da tanti ragazzi e ragazze di una destra che tentava di uscire dal tunnel del neofascismo. La strada è ancora quella. E questa è tuttora convinzione di molti. Vale la pena intraprendere il cammino verso una nuova destra, antitetica all'Hyde e capace di disegnare i tratti di un mondo più umano. Forse, addirittura poetico. Un mondo in cui guardarsi allo specchio con la sicurezza di non avere né capitani né padroni al di fuori dei propri sogni e valori. Finalmente liberi dalla tirannia della paura, saldi sui pilastri della nostra storia ma aperti, aperti, alla ricchezza del mondo. Al mosaico policromo delle altre culture.
Pertanto, per recuperare noi stessi, in nome di una società e di un mondo più giusti, più equi e più ricchi, bisogna trasformare l'odierna sensazione di disagio in forza liberatrice. Se la politica è, in definitiva, scrivere il romanzo collettivo di una comunità chiamata Patria, la speranza di una destra alternativa è che si tratti non di un horror ma di un racconto a lieto fine. Meno Stephen King e più Frank Capra. Cerchiamo, perciò, di rendere possibile un’altra destra. Una destra che, ricordando quanto e quale rispetto ha saputo decretare a Paolo Borsellino, non si schieri oggi con chi, dagli scranni della politica, si faccia scudo del proprio consenso elettorale per attaccare i magistrati. Una destra autorevole, non autoritaria, capace di dimostrarsi pragmatica ma sempre rispettando le fondamenta dello Stato di diritto, riconoscendosi nell'ideale del patriottismo costituzionale di cui parlava Jurgen Habermas. Una destra capace di prendere decisioni efficaci senza legarle all’appartenenza ideologica. Una destra che sancisca il primato della politica come arte di costruire il futuro senza subirlo.
“Sicurezza, serietà e responsabilità non sono valori da estremisti di destra. La migliore cura per i razzisti e per chi campa elettoralmente con la paura sarebbe una destra civilizzata. Ma purtroppo per adesso non c’è”, ha scritto Salvatore Merlo su queste pagine. Ha ragione. Non c’è. Ma dovrebbe esserci. Una destra che abbia il coraggio di mettere in discussione se stessa e i propri errori. Una destra che riscopra in sé la forza della bontà. La buona destra.