Magari tornassero i tecnici. Ma la frittata è fatta, bisogna mangiarla
Come al solito, diremo poi, l’abbiamo sfangata: rimarremo una democrazia europea. Questi non saltano nel cerchio di fuoco, per fare il fascismo ci vuole una discreta dose di violenza diffusa, e anche un po’ di fantasia per quanto malata
Pare che Renzi abbia confidato a Vespa che alla fine del giro ritornano i tecnici. Non ci credo, ma ne sarei lieto. Non siamo fatti per l’autogoverno. Infatti abbiamo dato il 40 per cento a un Matteo, ora vogliamo dare la stessa percentuale al Matteo opposto, abbiamo respinto una riforma istituzionale che tutti volevano da quarant’anni, poi abbiamo conferito a Toninelli e compagnia un terzo e più del parlamento, siamo capaci di tutto, esperti di niente. Penso con malinconia ai bei tempi di Monti, tienimi-da-conto-Monti, quando la cosiddetta depoliticizzazione della democrazia pre-populista produceva riforme, rimetteva a posto le cose, vecchio sogno di noi comunisti (dico: comunisti) che negli anni Settanta, quando si portavano il partito armato, l’intellettuale militante, e una serie di governi deboli smagliavano il debito e compravano il tempo, producemmo un manifesto rimasto nella storia: “Metti le cose a posto”.
Scherzo. All’autogoverno non c’è alternativa. I sentimenti sono i sentimenti, e nessuno può sindacarli, è noto, ma la ragione dice che la sbornia passerà, ma deve passare seguendo regole di politica democratica e liberale. Confindustria deve scendere in strada con le sue Molotov, per dire. Le famiglie devono capire che Berlusconi era una cuoca al governo, ma con l’assistenza dei migliori cucinieri della Prima Repubblica, e unica finora, la tempesta che l’ha abbattuto fu una reazione di sistema, di cui il primo e il secondo ribaltone furono la prova, e non poteva che generare alla fine, nelle condizioni peggiori e con il contributo protervo di una coscienza nazionale imbizzarrita, un’ondata antisistema. Dal mi consenta al vaffanculo senza passare per il via, come nel gioco del monopoli.
I tecnici poi si sono dimostrati competenti, sotto la sorveglianza di politici di ferro, ma all’atto pratico hanno fatto scelte risibili, compromettendo l’insieme del loro lavoro, che ebbe il pregio di rimettere in piedi un paese prostrato da quasi vent’anni di antiberlusconismo e chiacchiere, ma lasciarono sul campo un intreccio di risentimenti, di rabbie, frustrazioni e paure degno di un’espressione geografica in cui il populismo si faceva erede dell’interclassismo democratico-cristiano. La frittata ora è fatta, bisogna mangiarla un boccone dopo l’altro, e sperare che l’indigestione non ci renda loschi e smaniosi come questa classe dirigente improvvisata, funesta. Come al solito, diremo poi, l’abbiamo sfangata. Niente Bolsonaro, e nemmeno Trump, con il governo Conte, assistente dei suoi vice Giggino e il Truce, e nemmeno Duterte o Putin o Xi o Erdogan: rimarremo una democrazia europea, il nostro destino è Giorgetti, c’è posto perfino per Fico, per i giornali sepolcri imbiancati che capiscono le cose il giorno dopo, ma si adeguano, e alla Rai la solita corsa nei sacchi che non spaventa nessuno. Questi non saltano nel cerchio di fuoco, per fare il fascismo ci vuole una discreta dose di violenza diffusa, ci vuole una guerra mondiale che viene e una che è andata, e anche un po’ di fantasia per quanto malata, il che non esclude che anche loro come Starace guardino un’arancia e dicano soddisfatti: pare che ci siano le vitamine, ma io la mangio lo stesso.