Oltre il populismo
Uno dei più grandi studiosi del tema spiega come si è annidato l’estremismo in occidente, e come salvarci
Non dimenticherò mai il giorno in cui ho inviato la bozza finale dell’edizione inglese di “On Extremism and Democracy in Europe”, una collezione di interviste ed editoriali su quattro temi (l’estrema destra, il populismo, l’euroscetticismo e la democrazia liberale) pubblicata da Routledge nel 2016. Era il 13 novembre del 2015 e, sollevato dal fatto di aver finito un lavoro che m’immaginavo molto meno lungo, sono tornato a casa per festeggiare con mia moglie. Non ero nemmeno entrato in casa, e lei mi disse: “Hai sentito di Parigi?”. Non avevo sentito nulla, ero totalmente dedicato alla chiusura del libro, ma sapevo che non era una bella notizia.
L’ultima volta che Parigi era stata una grande notizia era l’inizio di quell’anno, quando due fratelli attaccarono la redazione del magazine satirico Charlie Hebdo e uccisero dodici persone, molti giornalisti e anche due vignettisti famosi, Jean Cabut (Cabu) e Stéphane Charbonnier (Charb). Questa volta era perfino peggio. Un piccolo gruppo di jihadisti cresciuti in Europa aveva organizzato una serie di attentati coordinati in tre diversi posti di Parigi, uccidendo 130 persone e ferendone 413. Fu uno dei giorni più bui per l’Europa in questo secolo.
Anche se gli attacchi terroristi sono in qualche modo diminuiti di recente, in Europa intendo, il continente sta affrontando minacce quasi più grandi alla democrazia liberale oggi di quanto non fosse allora. La democrazia illiberale si è del tutto realizzata in Ungheria, nel cuore del più grande progetto liberaldemocratico della storia: l’Unione europea. L’Ue non soltanto non è riuscita a fermarla, ma l’ha attivamente resa possibile, attraverso sussidi generosi e attraverso un’opportunistica protezione politica del regime di Viktor Orbán da parte del Partito popolare europeo, il gruppo più grande al Parlamento europeo.
L’esempio ungherese è diventato un’ispirazione per i politici autoritari di tutt’Europa, in particolare nell’Europa centrale e dell’est, dove molti leader nei paesi che aspirano a diventare membri dell’Ue (come la Macedonia) o che ci sono già (come la Polonia) hanno seguito la guida di Orbán.
Alla fine del XX secolo, se le voci di estrema destra ricevevano copertura da parte dei media era sempre in un contesto negativo
Allo stesso tempo l’Europa è una parte di un mondo che è sempre meno prevedibile e sempre più autoritario. Quattro dei paesi più grandi hanno assistito a una svolta autoritaria negli ultimi anni, dalla Cina all’India, dal Brasile agli Stati Uniti. Anche in Indonesia le forze autoritarie sono prominenti, pure se arrivano alle elezioni “soltanto” al secondo posto. E l’Ue sta ancora zoppicando da una crisi a un’altra crisi, aspettando con ansia i dettagli finali della Brexit, mentre si prepara per un altro “backlash populista” alle elezioni europee del 2019. Comunque vada, le questioni discusse in questo libro – l’estrema destra, il populismo, l’euroscetticismo e la democrazia liberale – saranno in prima linea negli scontri politici.
Ho iniziato a studiare l’estrema destra quando ero studente all’Università di Leiden, in Olanda, all’inizio degli anni Novanta. Era ancora una forza marginale dentro al mio paese, e a parte qualche paese specifico – soprattutto Austria e Francia – lo era anche a livello europeo. Gli studi sull’estrema destra erano ancora in una fase embrionale e normativi: chi li frequentava lo faceva da un punto di vista esplicitamente “antifascista”. Persino le facoltà “neutrali” non erano molto apprezzate. Oggi, l’estrema destra si è piazzata nel centro delle politiche europee, pure se le facoltà sono tendenzialmente neutrali e gli studenti sono ostili alle sue politiche (anche se sempre più vicini ai suoi elettori).
Il dibattito sull’estrema destra è estremamente cambiato negli ultimi anni. Alla fine del XX secolo le voci di estrema destra erano o marginalizzate o escluse, e quando ricevevano un’ampia copertura da parte dei media era sempre in un contesto fortemente negativo. Per di più spesso i media raccontavano fatti relativi all’estrema destra, ma non davano agli interlocutori voce diretta. In Belgio, Germania e Olanda, per esempio, gli editoriali di esponenti di estrema destra erano costantemente rifiutati dai media mainstream, al punto che pochi arrivavano ormai a proporli. Provate a paragonarlo con quel che accade oggi, con leader come Geert Wilders e Marine Le Pen che scrivono sul New York Times e il Wall Street Journal, persino il coleader dell’AfD Alexander Gauland ha pubblicato un suo articolo sulla Frankfurter Allgemeine.
L’Ue zoppica da una crisi a un’altra crisi, aspettando i dettagli finali della Brexit, e preparandosi a un altro “backlash populista”
La normalizzazione della destra radicale è in larga parte una conseguenza del “Rechtsruck” [sterzata a destra, ndt] delle politiche europee, che è in parte una risposta calcolata e spesso opportunistica da parte del centrodestra, e per qualche verso persino del centrosinistra, al successo elettorale dell’estrema destra. Il XXI secolo è per ora la stagione delle questioni cultural-sociali, con molte tornate elettorali dominate da temi non economici ma centrati sull’idea di identità – con la notevole eccezione di quei paesi che sono stati colpiti dalla Grande Recessione, come Grecia e Spagna. In qualche modo, la destra radicale sta determinando l’agenda politica dell’Europa, imponendo quello di cui parlare, e come parlarne. Ma questo è possibile soltanto grazie al tacito consenso dei media mainstream e naturalmente della politica.
Una delle conseguenze più importanti della normalizzazione della destra estrema è che le sue politiche non sono più confinate ai partiti di estrema destra. L’autoritarismo, il nativismo, il populismo sono manifestati, in modi più o meno espliciti, da una grande varietà di partiti politici. Alcuni si sono spostati così tanto a destra che non si capisce più se sono mainstream o di estrema destra. E’ sicuramente questo il caso del Fidesz ungherese e del Legge e Giustizia polacco, ma le stesse preoccupazioni sono state sollevate anche dalla New Flamish Alliance belga, dal Partito conservatore inglese, dai Républicains francesi, dai cristiano sociali tedeschi e anche dal Partito popolare spagnolo.
Se questo “Rechtsruck” ha dato ai partiti radicali di destra maggiore influenza politica e ha reso alcuni di loro “Koalitionsfähig” (di nuovo) [adatti a formare una coalizione, ndt], e ha anche creato una sfida elettorale per loro. In alcuni paesi, ha spinto la destra radicale ancora più a destra, per rimanere distinta dal mainstream di destra e riconquistare la posizione “radicale” su temi come l’integrazione e l’immigrazione in Europa (come dimostrano gli scivolamenti verso la Frexit e la Nexit, l’uscita dall’Ue di Francia e Germania, della Le Pen e di Wilders). Ma in alcuni paesi, la destra mainstream è andata talmente a destra, che la destra radicale non ha visto altra possibilità se non riportarsi verso il manistream: è quel che è avvenuto in Ungheria, dove Fidesz e Jobbick hanno di fatto invertito le loro posizioni, e ora l’estremista Jobbick si batte contro il governo “non democratico e anti europeo” di Fidesz.
La normalizzazione della destra estrema ha fatto sì che le sue politiche non siano più confinate solamente ai partiti di estrema destra
Un altro fenomeno nuovo, o per lo meno considerato a lungo impossibile nel mondo accademico, è il successo di partiti di destra apertamente estremi. Alba Dorata in Grecia e Kotleba-Partito Popolare Nostra Slovacchia in Slovacchia sono due partiti neofascisti che ora sono rappresentati in Parlamenti nazionali di stati membri dell’Ue. Allo stesso tempo, persone appartenenti all’estrema destra del Movimento nazionale sono stati eletti nel Parlamento polacco nella lista di destra radicale Kukiz’15 e il Partito nazionaldemocratico tedesco fa parte del Parlamento europeo. Fuori dalla politica elettorale, organizzazioni apertamente fasciste come Casa Pound in Italia, e o il più sorvegliato Generazione identitaria, stanno rialzando la testa, costruendo infrastrutture e catturando l’attenzione dei media con mosse studiate con attenzione.
Cavalcando l’ondata senza precedenti di euroscetticismo, il governo italiano gialloverde combina le lamentele greche e quelle ungheresi
Quella che viene chiamata “l’ascesa del populismo”, intanto, è sempre più limitata alla destra radicale populista. Dopo aver ignorato le sue promesse elettorali e il suo stesso referendum, accettando le politiche di austerità associate con un altro bailout, il partito greco del governo, Syriza, è diventato un imbarazzo più che un’ispirazione per la sinistra populista europea. Podemos, in Spagna, ha un po’ smarrito il suo momentum elettorale, e ha qualche problema con la corruzione, con l’indipendenza catalana, e ha un disaccordo strategico e ideologico sul proprio corso di sinistra populista. Le ultime speranze sono legate a movimenti guidati da politici di carriera, come la France insoumise di Jean-Luc Mélenchon e il nuovo movimento In piedi in Germania, creati da Oscar Lafontaine e Sarah Wagenknecht.
“Populismo” è la parola più chiacchierata di questo secolo, ma i sistemi politici non sono stati rivisti né rivoluzionati
Pur non facendo altro che parlare di populismo – senza dubbio è la parola più chiacchierata del 21esimo secolo finora – le implicazioni dal punto di vista politico non sono molte. I sistemi politici non sono stati fondamentalmente rivisti, né a livello nazionale né a livello europeo, e i referendum sono più criticati adesso di quanto non lo fossero prima dell’ascesa dei partiti populisti. Se alcuni politici della destra tradizionale, come il primo ministro olandese Mark Rutte, dicono che il cattivo populismo può essere battuto soltanto dal buon populismo, di fatto finiscono al limite per imporre politiche nativiste. E dall’altra parte dello spettro politico, il populismo di sinistra ha ricevuto un nuovo slancio dal lavoro della filosofa belga Chantal Mouffe, vedova di Ernesto Laclau, ma il suo programma è “populista” soltanto per loro stessa definizione.
Con questo non voglio dire che il populismo sia irrilevante, o che non lo sia più. Gli istinti populisti si sono sparsi in tutti gli elettorati europei, e sono stati alimentati e rafforzati da una copertura mediatica sensazionalistica. Costituiscono una minaccia crescente per la democrazia liberale in Europa e in giro per il mondo in quanto sviliscono il consenso politico e allo stesso tempo rafforzano posizioni intolleranti anti populisti. In più, pure se il populismo in sé non è antidemocratico, è logico che chi è insoddisfatto del funzionamento della democrazia negli anni inizierà a chiedersi se la democrazia è davvero una cosa che vale la pena difendere. Anche se non sono un grande fan della retorica “fine della democrazia”, che sta creando un’industria crescente e fruttuosa tra gli accademici e i commentatori, sarebbe difficile sostenere che la democrazia liberale è in forma e sta bene.
Combattere il populismo con l’anti populismo delegittima gli avversari politici, polarizza e semplifica le differenze
Tra le minacce maggiori alla democrazia liberale in Europa c’è l’ascesa dei partiti populisti, ci sono le risposte sempre più autoritarie nei confronti dell’immigrazione e c’è la reazione opportunistica verso la democrazia illiberale dentro all’establishment europeo. Come hanno documentato molti studiosi negli anni Trenta, compresi Giovanni Capoccia e Daniel Ziblatt, le democrazie europee morirono per mano di fascisti venuti da fuori con l’aiuto decisivo di insider conservatori. Uno sviluppo simile è in corso nell’Europa contemporanea, nella quale il Partito popolare europeo ha giocato un ruolo rilevante nel facilitare la creazione, per esempio, dell’Ungheria illiberale di Viktor Orbán. E pure se altri gruppi politici criticano Orbán e il Ppe, rimangono in larga parte silenziosi o poco espliciti sulle tendenze autoritarie dentro ai loro partiti (come SD-Smer o GERB).
Prendere posizioni di principio al Parlamento europeo può generare molti like sui social media, ma quando poi non ci sono le azioni, le democrazie illiberali finiscono per rafforzarsi, in modo diretto o indiretto. Così hanno la possibilità di costruire i loro regimi democratici illiberali e allo stesso tempo denunciare l’inefficacia e l’ipocrisia della democrazia liberale. Di più: combattere il populismo con l’anti populismo indebolisce invece che rafforzare la democrazia liberale. Delegittima gli avversari politici, polarizza e semplifica le differenze e i diversi gruppi, e promuove una politica a somma zero, che svilisce l’essenza stessa del sistema: il compromesso tra avversari politici legittimi.
E’ in questo contesto che l’Italia diventa particolarmente rilevante. Il nuovo governo con Lega e Movimento 5 stelle è l’ultima sfida populista all’establishment europeo. Dopo che Syriza ha ceduto alle pressioni europee, pur avendo vinto il referendum contro il memorandum nel 2015, e pure se Orbán deve infine affrontare le sfide dentro alla sua coalizione politica, è la coalizione populista italiana – con il leader della Lega Matteo Salvino, più che quello dei 5 stelle Luigi Di Maio, per non parlare della figura sfortunata del premier Giuseppe Conte – che mette sotto pressione l’Unione europea. Cavalcando l’ondata senza precedenti di euroscetticismo, per lo più legata alla mancata volontà europea di affrontare la crisi dei rifugiati, il governo italiano combina le lamentele greche e ungheresi, opponendosi alle politiche economiche europee e a quelle sull’immigrazione. Poiché l’Italia ha potere politico e una rilevanza economica ben più grandi di quelli della Grecia e dell’Ungheria, l’Unione europea deve trattare questo caso con la massima attenzione. La solita posizione inflessibile, spesso espressa con una retorica orgogliosamente anti populista, può portare questa coalizione inesperta (in particolare i 5 stelle) a insistere e a trascinare il paese in una crisi economica che ha grandi ripercussioni sul resto dell’Europa. Allo stesso tempo, una posizione troppo accomodante, che è stata esposta da alcuni leader europei, può essere vista come un premio alle politiche populiste radicali, una lezione che può essere presa da altri partiti nel continente che possono pensare che sia più utile spostarsi su posizioni molto euroscettiche. E questo avviene in questa fase preparatoria delle elezioni europee del 2019, che sia Di Maio sia Salvini vogliono utilizzare per creare un nuovo gruppo politico al Parlamento europeo fortemente euroscettico.
Dire “fine del liberalismo” è prematuro e sensazionalistico. La politica europea si sta trasformando, ma questa non è una cosa negativa
Vorrei però finire con una nota ottimista. Se il mondo non è diventato un posto migliore dopo il 2015, ci sono delle eccezioni positive. In Grecia, per esempio, la situazione economica non soltanto è migliorata, anche se ancora non è buona, ma la situazione politica è molto meno precaria. Syriza è diventato più moderato e Alba Dorata non è diventato il maggior partito di opposizione come invece sosteneva l’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. Allo stesso modo, l’Unione europea sta sopravvivendo alla Brexit in modo più agevole rispetto a quanto si immaginava e anzi sta sperimentando un “Brexit bump” che aumenta la sua popolarità. E lentamente ma con continuità, il Ppe sta iniziando ad affrontare i problemi dati dalla presenza in famiglia di Fiesz, mentre l’Ue sta mettendo sotto pressione Polonia e Ungheria, pure con diversa intensità.
La storia non si ripete, ma nemmeno procede su un percorso sempre lineare. La democrazia liberale è di fronte alla sua sfida più grande dalla fine della Seconda guerra mondiale. Quanto la “fine della storia” di Francis Fukuyama si è rivelata non dimostrabile e sbagliata, tanto la “fine del liberalismo” è perlomeno un annuncio prematuro e sensazionalistico. La politica europea si sta trasformando, ma questa non è per forza una cosa negativa. Se finirà per uccidere o per rivitalizzare la democrazia liberale sta a noi, dove per noi si intende sia la vociante minoranza populista sia la maggioranza silenziosa di democratici liberali.
* Cas Mudde è professore alla Scuola di affari pubblici e internazionali dell’Università della Georgia (Stati Uniti) e professore al Centro di ricerca sull’estremismo all’Università di Oslo (Norvegia). Tra le sue pubblicazioni recenti: “The Far Right in America” (2018), “Syriza: The Failure of the Populist Promise” (2017), “The Populist Radical Right: A Reader” (2017), e (con Cristóbal Rovira Kaltwasser) “Populism: A Very Short Introduction” (2017), che è stato tradotto in dieci paesi. Questo articolo è una versione rivista, con un occhio alla situazione italiana, dell’introduzione all’edizione greca di “On Extremism and Democracy in Europe”, uscito nel 2016.