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Il ritorno dell'uomo-massa: quando la gente applaude se stessa

Francesco Petrelli

I partiti sono oramai ridotti a semplice cornice del politico-governante e assieme ai partiti si è vaporizzato tutto ciò che mediava intellettualmente i rapporti fra l’elettore e la politica

“Quando la gente ci applaude, applaude se stessa”, diceva Saverio Borrelli in piena Tangentopoli, affermando ingenuamente l’idea che, nel momento del sovvertimento, ciò che conta non è la mediazione del magistrato, ma l’immedesimazione. Quello che non poteva prevedere il dottor Borrelli è che la furia dell’immedesimazione avrebbe potuto travolgere tutto ciò che si sarebbe trovato davanti. Non poteva immaginare che anche la magistratura sarebbe risultata, così, un ostacolo alla immedesimazione con il potere di cambiare il mondo. Troppo legata a formule, troppo lenta e troppo sottoposta alla legge, per rispondere all’incontenibile onda del cambiamento. Meglio identificarsi con chi ha invece il potere di sbarazzarsi delle norme e dei giudici stessi, identificarsi con chi offre direttamente benessere e sicurezza al popolo, e che non agisce solo “nel nome” del popolo.

 

“Potenza”, “benessere”, e “sicurezza” sono tuttavia ideali che, come scriveva Huizinga nella prima metà del secolo scorso, preoccupato dalle “ombre del domani”, l’abitante delle caverne già conosceva molto bene, e non è su tali ideali che può fondarsi oggi una moderna democrazia. Se fossimo disposti infatti a barattare sicurezza e benessere in cambio della nostra libertà, dei nostri diritti e delle nostre garanzie, non potremmo certo dirci democratici e saremmo nuovamente schiavi come lo furono i nostri antenati.

 

Ma far riflettere sul proprio destino politico di uomini liberi e da uomini liberi è come pretendere che ci si interroghi sul principio di Archimede, mentre pare di affogare e pare che ci sia già lì, a pochi metri, un approdo sicuro. Perché soffermarsi sulla complessità del reale, porre questioni, domandarsi di diritti dimenticati, se la salvezza è a portata di mano. Nella nostra realtà politica psico-morfa è “venuta meno - come ricorda Giovanni Orsina - la mediazione di identità collettive stabili e robuste”, si è definitivamente verificata quella progressiva “disintermediazione” che ha consentito ed ha provocato al tempo stesso, la nascita (o ri-nascita) di una politica a “presa diretta” fra governante e governato, nella quale – come acutamente preconizzava Ortega y Gasset - i “luoghi comuni da caffè” chiedono di essere mutati in norma.

 

I partiti sono oramai ridotti a semplice cornice del politico-governante, e assieme ai partiti si è eclissata la memoria come “dispositivo sociale”, e si è vaporizzato tutto ciò che mediava intellettualmente i rapporti fra l’elettore e la politica: cultura, ideologia, il valore stesso del pensiero e della parola. L’identità - nella metafora dell’applauso a se stessi - rende superflui sia il pensiero che la verità, perché l’identità del singolo con il politico che promette di debellare il mondo, è essa stessa l’espressione diretta della verità. Tutte le forme, le strutture e gli organismi di garanzia che le costituzioni del dopoguerra avevano forgiato, proprio al fine di evitare il ritorno alle degenerazioni delle iper-democrazie e al precipitare dell’uomo-massa verso le esperienze dei totalitarismi, sono tornate in odio al popolo e ai nuovi partiti populisti, che hanno assunto la parole d’ordine dello smantellamento di tutto ciò che si frappone all’avanzata del cambiamento, che dovrebbe consentire al cittadino di riappropriarsi di ciò che gli è stato tolto (dall’Europa, dagli stranieri, dalla globalizzazione, dalle élite politico finanziarie, dai poteri forti), attraverso strumenti vecchi e nuovi di ricostruzione della democrazia diretta, dal referendum propositivo senza quorum, alla deliberazione in rete, alla politica che ingloba le virtù giurisdizionali.

 

Il ritorno dell’uomo-massa non presuppone un nuovo avvento dei totalitarismi, ma certamente implica un pericoloso azzeramento valoriale che mette a rischio le basi della nostra stessa libertà di giudizio, e della conseguente capacità di operare nel mondo. Venute meno queste due categorie, nulla più consente di comprendere quali diverse e contraddittorie strade possa percorrere la storia del Paese, di percepire quali pericoli si corrano, e quale siano i destini del processo e della democrazia nelle mani di ingenui luddisti della politica che pensano di poter demolire le mura della città senza aver costruito nulla di diverso che possa proteggere le nostre vite e le loro vite, così come sino a oggi ha fatto quel nucleo di diritti, di garanzie e di libertà civili che le democrazie occidentali hanno sino a oggi, a ogni modo, ragionevolmente preservato. Processo e democrazia sono nate insieme e il nesso che le unisce, piuttosto che allentarsi nel tempo, si è sempre più rafforzato. Smantellare l’uno, significa demolire l’altra. Tuttavia mentre la politica si nutre di ingenuità, né la democrazia né il processo sono questioni adatte agli ingenui. E dalle azioni degli ingenui dovrebbero essere messe al riparo.

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