Processo a Salvini
L’incompatibilità con le imprese, i cedimenti alla linea pentastellata, le promesse elettorali non mantenute. Si può ancora pensare a una svolta moderata e a un’emancipazione dal grillismo del Truce? Girotondo sul leader della Lega
C’è il contratto di governo, d’accordo, ma poi c’è il governo, anzi l’arte del buon governo. La lista dei temi su cui leghisti e pentastellati fanno a cazzotti – metaforicamente, s’intende – si allunga di giorno in giorno. Prescrizione, sicurezza, condoni, tasse piatte, redditi per tutti, Ilva, Tav, Tap, Terzo valico e chi più ne ha più ne metta. Luigi Di Maio annuncia di voler “abolire la povertà” per decreto, e Matteo Salvini replica: “Magari anche i pareggi del Milan, ma non si può”. All’apice della crisi sul decreto fiscale il leader leghista sbotta in uno sfogo quasi liberatorio: “Non esistono manine, né regie occulte, invasioni degli alieni o scie chimiche”. Insomma, basta cazzate. Proprio tra i leghisti si rincorre una battuta: “Ormai vivono da separati in casa, in attesa di comunicarlo ai familiari a giugno”, dopo il rinnovo del Parlamento europeo. Ma davvero il leader del Carroccio si emanciperà dal grillismo? E’ ipotizzabile la “svolta moderata” dell’uomo che con ogni probabilità sarà chiamato a guidare l’Internazionale populista alle prossime elezioni europee? Se sì, in quali termini e con quali tempi?
Mauro: “La natura dei suprematismi populisti li porterà a una ordalia finale. Assisteremo alla terza incarnazione di Salvini”
“Nel breve periodo la vita di Matteo Salvini è comoda com’è”, dichiara al Foglio Ezio Mauro. “Il leader leghista è vicepremier di un governo d’impronta sovranista sebbene i Cinque stelle non siano venuti al mondo con una linea sovranista, piuttosto la stanno gregariamente accettando, con lo stupore di una parte del loro stesso elettorato, soprattutto di quello acquisito. La destra pentastellata è diversa da quella salviniana: ha una marca anti-istituzionale. Per citare Benedetto Croce, incarna la ‘feroce gioia contro le istituzioni’. Salvini invece è terra, sangue e pelle. La scoloritura identitaria grillina è sotto gli occhi di tutti, l’impronta dello stivale salviniano è tale che i grillini lo seguono ovunque: costoro si accontentano degli slogan, lui passa ai fatti. La gestione dei flussi migratori ne è l’emblema”.
Quanto potrà durare la convivenza al governo? “Dopo il voto del 4 marzo, i due populismi non potevano che stare insieme o all’opposizione o al governo; il fatto stesso che abbiano siglato un ‘contratto’ denota la natura diffidente di una non-alleanza. Giuseppe Conte, che si autodefinisce ‘avvocato del popolo’, è in realtà un notaio, anzi un ‘terzo ministro’, al seguito dei due vicepremier”.
Come andrà a finire? “La natura stessa dei suprematismi populisti li porterà a una ordalia finale. Quando, non si può dire. Salvini ha una strada di ricambio, quella del centrodestra: una volta terminata la digestione lenta di Forza Italia, egli potrà portare a compimento la mutazione dello schieramento centrista; il suo non sarà un semplice passaggio di leadership ma la costruzione di un nuovo centrodestra radicale e sovranista, non più popolare e moderato, come lo abbiamo conosciuto in questi anni”. In questa fase però il leader del Carroccio vive uno stato di grazia: a livello locale, può contare sulla coalizione con Fi, a Roma governa con i grillini. “E’ un equilibrio che non può durare a lungo. Nel momento della inevitabile rottura, assisteremo alla terza incarnazione di Salvini, già passato dal livello secessionista e regionalista a quello nazionale e populista. L’uomo è disinvolto e disinibito”.
Nel caso di una crisi di governo, non è un mistero che una parte del Pd sia disposta a subentrare nel governo con il M5s. “Chi teorizza l’alleanza tra democratici e pentastellati non sa quel che dice. Il M5s ha una natura di destra profondamente conclamata. Un’alleanza con il Pd era immaginabile solo a patto di percorrere le vie maestre della politica: il M5s avrebbe dovuto convocare un congresso, per quanto obsoleto esso sia ritenuto, e aprire una discussione vera e partecipata sulle ragioni di una collaborazione con il Pd piuttosto che con la Lega, tenendo in debita considerazione le aspettative dell’elettorato di riferimento. Invece nulla di ciò è accaduto, abbiamo assistito a una sequela di incontri con emissari leghisti e dem, come se gli uni e gli altri fossero interscambiabili. Fin quando qualcuno del Pd ha dichiarato incredibilmente: ’Vediamo, magari si può fare’. E’ proprio vero che chi non ha nessuna coscienza di sé è capace di tutto”.
“Chi teorizza l’alleanza tra democratici e pentastellati non sa quel che dice. Il M5s ha una natura di destra conclamata”
Per il professor Luca Ricolfi, che insegna Analisi dei dati all’Università di Torino e presiede la Fondazione Hume, “la svolta moderata, se mai ci sarà, dipenderà esclusivamente dal successo o dall’insuccesso dell’esecutivo gialloverde. Credo che in questo momento neanche Salvini abbia ben chiaro l’orizzonte di governo, insomma quando staccherà la spina. Se la compagine governativa otterrà buoni risultati e manterrà la popolarità di cui attualmente gode, il contratto Lega-M5s si trasformerà in un’alleanza organica, come quella fra Dc e Psi ai tempi del Pentapartito (magari con Fratelli d’Italia nel ruolo che fu dei ‘fricioletti’ Pri-Psdi-Pli). Se invece le cose si metteranno per storto, entrambi gli alleati cercheranno di smarcarsi accusandosi reciprocamente di aver sabotato il contratto di governo. Con una differenza: se a smarcarsi è Salvini si va al voto (e lui reimbarca Berlusconi), se invece è Di Maio nulla e nessuno ci risparmieranno un bel governo M5s-Pd, senza passaggio elettorale”. A giudicare dai sondaggi, a oggi l’alleanza di governo ha giovato sopratutto alla Lega. “Bisogna valutare due aspetti. In termini di consenso: ha stravinto Salvini che ha raddoppiato i voti, mentre ha perso Di Maio che è sceso sotto il 30 per cento. In termini di risultati, ovvero di benefici per la propria base elettorale, ha perso Salvini, che ha messo in soffitta la flat tax pur di smontare la legge Fornero (un obiettivo che si è intestato, ma che in origine era comune)”.
Picconare l’Europa. E poi? La strategia. L’opa sul centrodestra in sostanza è compiuta. Ma Salvini cerca ancora voti dal fronte della protesta in Italia per guidare l’offensiva sovranista contro Bruxelles
Ricolfi: “Salvini soffre nella stagione fredda, perché c’è la finanziaria e non ci sono gli sbarchi. Il Pd è messo male in tutte le stagioni”
A sentire il sottosegretario di Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti, “il centrodestra del passato non esiste più. Il cambiamento è populista e sovranista”. Professore, la “svolta moderata” di Salvini potrebbe avvenire su queste basi? “Una svolta moderata, come dice lei, è immaginabile ma mi riesce difficile pensare che a guidarla possa essere un centrodestra vecchio stile, con Berlusconi-Salvini-Meloni. Una eventuale (e a mio parere improbabile) svolta moderata potrebbe profilarsi se dovessero verificarsi alcune condizioni, al momento assai ipotetiche: per esempio, se i ceti medi si accorgono di quanti soldi stanno perdendo e danno vita a una nuova ‘marcia dei 40 mila’; se l’universo politico si frammenta e si ristruttura, con la ridenominazione di Forza Italia, la scissione del Pd, la nascita di formazioni di centro, più o meno moderate o liberaldemocratiche, ecc. In queste condizioni nuove elezioni potrebbero anche consegnare una maggioranza a un ‘fronte’ non populista. Un altro scenario, che non mi auguro affatto, è quello di un ritorno dell’Italia alla lira, non voluto e non cercato dal governo gialloverde, ma reso inevitabile dal precipitare della situazione: in quel caso sarebbe il caos, e i partiti moderati, vecchi e nuovi, potrebbero tornare al governo in un battibaleno. Non è probabile ma non è neppure impossibile: se mandi in sala operatoria l’idraulico, il paziente può morire anche solo per un’appendicite”.
Su quali temi potrebbe consumarsi la spaccatura tra i due partner di governo? “Eventuali rotture potranno nascere da questioni come il moltiplicarsi dei casi di abuso del reddito di cittadinanza, o l’incapacità del governo di attuare la promessa riduzione delle tasse. Tutti scenari verosimili, ma che diverranno riconoscibili solo fra un paio di anni”.
La forza di Salvini dipende dalle sorti del governo o dalla comparsa, prima o poi, di un’alternativa? “Salvini soffre nella stagione fredda, perché c’è la finanziaria e non ci sono gli sbarchi. Il Pd è messo male in tutte le stagioni, perché non ha ancora accettato il fatto che è l’elettorato progressista a essere profondamente diviso, e continua a muoversi come se il problema fosse la ricomposizione del gruppo dirigente. Quando leggo il programma di Nicola Zingaretti, e constato che le parole criminalità e immigrazione non compaiono neanche una volta, non posso che concludere che il Pd non intende prendere atto della realtà. Più che scalarlo, forse Marco Minniti farebbe bene ad abbandonarlo, e a fondare il suo partito rivolto a quella parte dell’elettorato progressista che pensa che, oltre ai diritti, esistano i doveri”.
In questo valzer di opinioni, una voce eccentrica è quella del direttore di HuffPost Italia Lucia Annunziata: “La manovra è il momento decisivo nella vita di ogni governo, nel resto dell’anno non accade nulla con un impatto paragonabile. Io all’orizzonte non vedo nessuna svolta moderata per Salvini, piuttosto una tendenza alla radicalizzazione e la messa in atto di un progetto preciso, vale a dire la costruzione di un soggetto politico terzo, nato dalla fusione dei governisti grillini e leghisti. La tentazione è nell’aria, lo dimostrano le parole di Giorgetti sul centrodestra che verrà, il resto è morto e non risorgerà. Le elezioni europee potrebbero essere il banco di prova per testare in dieci città simbolo le liste unitarie di grillini e leghisti, una cosa gialloverde targata Salvini e Di Maio”.
Eppure, per ammissione dello stesso Giorgetti, sul condono inserito nel decreto fiscale si è rischiata la crisi di governo. “La manovra, in realtà, ha comportato una contaminazione tra i due leader che ormai si somigliano sempre di più. L’uno ha interiorizzato qualcosa dell’altro: Di Maio non è più governista come agli inizi; Salvini, dopo aver criticato la scenetta del balcone stile Venezuela, al termine di un Consiglio dei ministri particolarmente teso è sceso in piazza accanto a Di Maio mentre nelle polverose sale di Palazzo Chigi restava un solitario Giovanni Tria, simbolo dell’élite rigorista al governo. Come a dire, noi siamo con il popolo, gli altri vogliono metterci i bastoni tra le ruote”.
In ogni manovra c’è chi vince e chi perde. “La legge di bilancio obbliga a misurare i rispettivi rapporti di forza. Matteo Renzi, nella sua prima volta da premier, volle distribuire gli 80 euro, e quale luogo scelse per l’annuncio? Il salotto di Barbara D’Urso dove persino Di Maio è a suo agio. Salvini ha ottenuto le norme sul condono (seppure depotenziato), il superamento della Fornero e la salvaguardia dell’alleanza con Di Maio il quale, dal canto suo, deve fare i conti con l’ala interna più radicale, quella dei Fico e dei Di Battista”.
Una “cosa gialloverde”. Annunziata: “Oggi Lega e M5s raccolgano il 60 percento dei suffragi: è solo frutto di un’alleanza elettorale o si è compiuta una mutazione nel dna dell’intero elettorato?”
Una “cosa gialloverde” da sondare alle europee: sembra uno scenario fantasioso. “Il progressivo cambiamento che ha investito i due leader nella propria immagine pubblica e nel rapporto con le rispettive basi apre la possibilità di questa terza opzione. Oggi Lega e M5s raccolgano il 60 percento dei suffragi: è solo frutto di un’alleanza elettorale o si è compiuta una mutazione nel dna dell’intero elettorato? Salvini è un leghista ma la Lega è un partito vecchio, il M5s non esiste più da quando si è fatto partito, i contenitori tradizionali attraversano una crisi profonda in tutta Europa. Non a caso, all’ultima Leopolda Renzi ha lanciato i comitati d’azione civile, il baccello del partito che verrà. L’ex premier è il principale artefice della morte del Pd, obiettivo che persegue con determinazione, lo dimostra il numero dei candidati al congresso. La frammentazione mira ad annacquare la contesa elettorale. Del resto, se non muore il nonno, non incassi l’eredità: è una legge della vita”.
Non vuol sentir parlare di “emancipazione” – salviniana, s’intende – il direttore del Tg La7 Enrico Mentana: “Salvini non deve emanciparsi da alcunché, è già socio almeno paritario di questa maggioranza di governo che raccoglie l’intero elettorato del centrodestra in un non facile accordo con i Cinque stelle. La situazione resterà identica fin quando il Pd non costituirà una alternativa credibile. Salvini e Di Maio somigliano a una coppia di amanti su un’isola deserta: come possono tradirsi se non c’è nessun altro abitante? Salvini non è schiacciato sui Cinque stelle: ha ribadito a più riprese il proprio no alla decrescita felice e alla sospensione della prescrizione dopo il giudizio di primo grado, continua a dichiararsi a favore delle opere pubbliche, presidia stabilmente il centro del quadrato finché non emergerà un’alternativa”.
Mentana: “Le due forze di governo si spartiscono l’elettorato.
Al momento Salvini, come sta, sta bene”
E’ impresa ardua spiegare al nord produttivo il decreto dignità o una manovra che per due terzi comprende provvedimenti di carattere assistenziale. “Non ci si può stupire a rate per questo programma. Il contratto di governo, messo nero su bianco cinque mesi fa, combina flat tax e reddito di cittadinanza, riforma della Fornero e tagli alle pensioni d’oro. Il problema non è Salvini che sta al governo ma l’opposizione che non c’è. Quando comparirà un anti Salvini, gli toccherà confrontarsi con un uomo forte e popolare. Ricordiamoci che solo cinque anni fa la Lega viaggiava intorno al 5 per cento, lo scorso 4 marzo ha raccolto il 17 percento dei consensi e adesso, stando ai sondaggi, supera il 30. Le europee segneranno un passaggio importante: i Bagnai e i Borghi, gli esponenti anti euro più vigorosi, sono schierati al fianco di Salvini, non dei Cinque stelle, e sempre Salvini ha siglato un’alleanza con il premier ungherese Orbán. Fintantoché il vento non cambia, le due forze di governo si spartiscono l’elettorato. La politica è fatta di lealtà e convenienza ma anche di coincidenze. Al momento Salvini, come sta, sta bene”.
Per Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera, la “svolta salviniana” è uno sbocco inevitabile: “Lega e M5s sono due movimenti con basi sociali e cultura politica incompatibili, al punto che si sono presentati alle elezioni l’uno contro l’altro. Quella al governo è tecnicamente una sorta di grande coalizione del populismo, sulla falsariga della Grosse Koalition tedesca. Il semplice quesito se il condono dovesse coprire o meno i soldi trasferiti all’estero ha determinato uno scontro durissimo, il che la dice lunga sulla stabilità interna alla coalizione. Nel medio periodo le strade dei due azionisti sono destinate a dividersi. E’ innegabile però che in questa fase Salvini sia in una specie di El Dorado della politica: egli comanda al governo e cresce nei sondaggi assai più dei Cinque stelle che invece registrano un calo.
Sentirsi a casa a Mosca e non a Parigi o a Berlino. I riferimenti Le Pen e Orbán. Salvini ha compiuto scelte precise: rindossare la cravatta è impossibile. La sua forza dipende dalla debolezza dei grillini e dall’assenza dell'opposizione . Una personalità rocciosa che non ha bisogno di emanciparsi. La tentazione di rompere
Il leader leghista rappresenta la parte produttiva del paese con la testa sulle spalle e con i piedi saldi per terra, è l’interprete degli interessi concreti della nazione, dal punto di vista politico ha pure il centrodestra dalla sua parte. Nelle elezioni regionali in Trentino ha compiuto un capolavoro di cinismo politico: si è presentato da solo a Bolzano, e in coalizione con il centrodestra italianissimo e antiaustriaco a Trento. Risultato: ha vinto in entrambe le contese. Di Maio invece è un tipo politico inquadrabile in qualsivoglia partito: nella Prima Repubblica sarebbe stato un giovane brillante Dc o Pci, nel M5s veste abilmente i panni del moderato in campagna elettorale e poi, quando i suoi lo richiamano all’ordine, si fa di nuovo rivoltoso, minaccia l’impeachment nei confronti del presidente della Repubblica ed evoca una ‘manina’ nel salotto di Bruno Vespa. E’ un politico che non ha nulla dietro di sé, neanche il suo movimento”.
Polito: “Nelle elezioni regionali in Trentino ha compiuto un capolavoro di cinismo politico”. Feltri: “Non gli va tutto liscio: il nord produttivo rifiuta la logica del reddito di cittadinanza”
Una svolta moderata di Salvini aiuterebbe a completare l’opa sul centrodestra? “L’opa è sostanzialmente compiuta, Fi e Fdi ne sono usciti svuotati. Io credo che Salvini non debba fare molto altro, al suo posto starei attento a non provocare la sparizione totale dei due alleati: con un tetto elettorale intorno al 32-33 percento, la Lega ha bisogno di un paio di sigle che restituiscano l’idea di una coalizione. Per Salvini sarebbe assai più facile governare con il centrodestra: i grillini continuano a comportarsi come una banda di lunatici, pericolosi e inaffidabili. Stando ai sondaggi, il reddito di cittadinanza ha più contrari che sostenitori mentre il condono fiscale piace agli italiani. Si comprende allora perché Salvini abbia il vento in poppa; se poi l’ipotesi alternativa è il ritorno di Berlusconi o di Renzi, l’attuale vicepremier può ritenersi al riparo da ogni rischio”.
Per il direttore di Libero Vittorio Feltri “il governo in carica era l’unico possibile all’indomani del voto del 4 marzo. Non ne farei una questione ideologica, questo governo si basa su una collaborazione. Sennonché, strada facendo, si è rivelato che Salvini e la Lega sono più in palla rispetto agli atteggiamenti paracomunisti dei grillini. Mentre Salvini le poche questioni che sfiora le risolve pure, a partire dalla lotta all’immigrazione selvaggia, i grillini non possono dire altrettanto. La piaga dell’immigrazione fuori controllo non la avverti se vivi ai Parioli a Roma o in corso Venezia a Milano; se invece abiti in periferia l’impatto lo vivi eccome. La resa dei conti coinciderà con le elezioni europee: il leader leghista capirà a quel punto se sia il caso di restare al governo con quattro sciamannati o se non sia venuto il momento di tentare le elezioni politiche per confermare i risultati e diventare presidente del Consiglio. La sua scommessa è questa”.
E la manovra finanziaria, direttore? “A ben vedere, si è approvato il Def ma nessuno ha capito come funzioni, nemmeno io che ho superato abbondantemente la quinta elementare. In base a un conto della serva, per assicurare 780 euro a circa sei milioni e mezzo di disoccupati, insomma a gente che non lavora o lavora in nero, servirebbero almeno 70 miliardi di euro. I grillini sono abituati a fare i conti senza l’oste: se non garantiscono il reddito di cittadinanza a tutti quelli cui l’hanno promesso, e non aumentano le pensioni minime, subiranno un crollo verticale di popolarità. Naturalmente anche per Salvini non va tutto liscio: il nord produttivo rifiuta la logica del reddito di cittadinanza, del resto non si capisce perché qualcuno dovrebbe percepire dei soldi per non lavorare. Il leader del Carroccio spera nel fallimento grillino, confida nel fatto che tutte le proposte pentastellate si mostreranno inattuabili, il resto l’ha già incamerato. Fi non esiste più né è in grado di recuperare un consenso ridotto ai minimi storici. Giorgia Meloni è in una situazione minoritaria: lei insegue Salvini, non viceversa. Il Pd inscena la protesta ma in modo sciapo”.
Qualche consiglio per il leader leghista? “Non ritengo di poter dispensare consigli, riesco a malapena a consigliare me stesso. Valuterei bene la posizione sulla legge Fornero che è utilissima, il suo eventuale superamento metterebbe in seria difficoltà il bilancio pubblico. Quanto al linguaggio, la guerra al vocabolario è ormai archiviata né mi pare che lui si abbandoni al gratuito turpiloquio; una certa vis retorica lo ha aiutato nell’ascesa, la gente così lo capisce”.
“Questo matrimonio d’interesse non è destinato a durare – dichiara al Foglio il direttore di Repubblica Mario Calabresi – Non è un matrimonio di legislatura: dal punto di vista dei programmi e delle necessità, Lega e M5s hanno due elettorati di riferimento completamente diversi. L’unico tratto comune è l’essersi presentati come anti sistema, in opposizione alle élite e all’Europa. Tuttavia, l’ostilità verso l’Unione europea e il mercato comune è già foriera di problemi non indifferenti per Salvini in rapporto a una parte del suo elettorato: per i ceti produttivi e industriali tra Verona, Bergamo e Milano, la Germania rappresenta il primo sbocco per l’export”.
Calabresi: “Il futuro vedrà un partito maggioritario salviniano in coalizione con piccoli pezzi del centrodestra che fu”
Con la manovra, già bocciata dalla Commissione europea, leghisti e pentastellati tentano di trovare la quadra. “Senza successo: uno solo dei due programmi, considerato isolatamente, potrebbe essere sostenibile, non entrambi insieme. Quota cento, taglio fiscale, reddito e pensione di cittadinanza… questo pacchetto non sta in piedi”.
I nodi, prima o poi, vengono al pettine. “Rinviano la resa dei conti alla primavera. E’ già emerso plasticamente sul condono fiscale: i due sono mossi da pulsioni radicalmente diverse. Non riesco a immaginare Salvini che tiene in piedi l’alleanza oltre le europee, a meno che non si assista alla capitolazione totale dei Cinque stelle che pur di tenere in piedi l’esecutivo sarebbero disposti ad accettare ogni sorta di compromesso”.
Al leader della Lega conviene il ritorno alle urne? “Salvini può sperare di raddoppiare i consensi ottenuti alle ultime politiche, a quel punto è in grado di governare da solo con il centrodestra. La tentazione in Salvini esiste, è nelle cose, se rompesse adesso però il capo dello stato tenterebbe probabilmente di individuare una maggioranza parlamentare alternativa, magari con l’ala grillina che fa riferimento al presidente della Camera Roberto Fico e con il fronte dialogante del Pd”.
Tali previsioni valgono se si esclude l’ipotesi di disastro finanziario. “Lo spread misura la fiducia degli investitori esteri verso l’Italia: quando tocca i 340 punti, vuol dire che la maggiore spesa per interessi assorbe ogni risorsa aggiuntiva. Vi è una specie di abbaglio della speranza: esiste un vasto mondo, soprattutto nel nord del paese, che è letteralmente disperato dall’andazzo dei Cinque stelle, privi come sono di un progetto di futuro e sviluppo”.
Il numero uno di Assolombarda Carlo Bonomi ha criticato aspramente la manovra che “punta al dividendo elettorale, non alla crescita”. “Gli imprenditori ripongono fiducia nella Lega: Salvini, liberato dai Cinque stelle, è considerato un moderato ragionevole; tale visione però mi sembra frutto di un abbaglio dal momento che la moderazione non fa parte del dna salviniano. Il leader leghista è uno che dichiara di sentirsi a casa quando è ospite a Mosca, non a Parigi o a Berlino. E’ uno che ha come riferimenti Marine Le Pen e Viktor Orbán, due esponenti politici che affermano pubblicamente che la democrazia liberale sarebbe passata di moda. Le piattaforme politiche di Salvini sono sovraniste, non moderate. Il suo stile trumpiano gli fa gioco, lo premia nel consenso, perciò non ha motivo di cambiare. Quando sali sul tetto del Viminale e annunci in una diretta Facebook che caccerai a calci in c… chi non paga il biglietto sull’autobus oppure fai della banale ironia sulle paludi pontine bonificate dal fascismo, quando comunichi agli alleati di governo che non parteciperai al Consiglio dei ministri perché sei in clima pre derby, hai ormai compiuto una scelta contenutistica e semantica ben precisa. Rindossare la cravatta poi è impossibile. Salvini è, a tutti gli effetti, il grande picconatore dell’Europa, e il futuro vedrà un partito maggioritario salviniano in coalizione con i piccoli pezzi del centrodestra che fu. Da una posizione di assoluta superiorità numerica, Salvini non dovrà più sedersi al tavolo con Berlusconi per definire un programma comune. Mai però dimenticare la lezione renziana: nel giro di tre anni, l’ex segretario Pd è passato dal 40 al 18 percento. Il tempo che viviamo brucia le leadership assai in fretta”.
Secondo il direttore della Stampa Maurizio Molinari, l’emancipazione salviniana dal grillismo è di là da venire: “Il vicepremier leghista cresce di popolarità e conquista sostegni fra i Cinque stelle grazie ai quali governa. E’ in una situazione ottimale, con un vantaggio tattico netto. Se la coalizione andasse in frantumi, i Cinque stelle ridiventerebbero rivali, aprendo un nuovo scenario, carico di incognite. Dunque: Salvini ha interesse a non far cadere il governo fino a quando non avrà attirato sulla Lega il maggior numero di voti grillini. Trasformando i Cinque stelle da partito della protesta in forza politica rivale, ovvero il più possibile di sinistra. Solo quando tale trasformazione del M5s sarà avvenuta, Salvini avrà un vantaggio oggettivo a rompere l’accordo. Dal punto di vista di Salvini, la chiave è nell’identità dei pentastellati: fino a quando incarnano la protesta anti establishment sono un importante serbatoio di voti per la Lega, se e quando si trasformeranno in una fazione di sinistra diventeranno assai più utili come rivale”.
Chi si avvantaggia di più dell’alleanza di governo? “Salvini, senza dubbio. Lui ha un piano strategico: raccogliere quanti più voti possibili dal fronte della protesta in Italia per puntare a guidare l’offensiva sovranista europea contro le istituzioni di Bruxelles e cambiare volto all’Ue. Il piano dei grillini è assai diverso: cavalcare la protesta delle urne con un governo capace di demolire l’establishment italiano dall’interno. Rispetto a Di Maio, Salvini ha un orizzonte più rivoluzionario, anche perché il suo cavallo di battaglia – sicurezza contro i migranti – è più immediato da spiegare, comprendere e realizzare; quello grillino – reddito di cittadinanza contro la povertà – avrà bisogno di più tempo per produrre frutti concreti”.
Intanto su crescita, fisco, sicurezza e infrastrutture si profila una crepa profonda tra l’anima leghista e quella pentastellata. “E’ un gap assai evidente per chi vive tra Torino e Genova: i Cinque stelle si oppongono a Tav e Gronda così come si sono detti contrari alle Olimpiadi, estive a Roma e invernali a Torino. In un angolo d’Italia dove l’operosità è un valore condiviso, i grillini si distinguono soprattutto per tagliare, ridurre e decrescere. E’ un approccio che spinge i voti della protesta verso la Lega. Basta passeggiare per le vie del capoluogo piemontese per accorgersi del palpabile calo di popolarità di una sindaca come Chiara Appendino”.
Le elezioni europee saranno un tornante decisivo. “La sorte di Salvini è legata alla capacità di raccogliere voti in Italia e di far parte di una coalizione di successo in Europa. Ciò significa che in Italia ha bisogno di un governo stabile e in Europa di alleati credibili. Lo scenario di una tempesta finanziaria sull’Italia – causata dalla procedura d’infrazione Ue sulla manovra – può causargli qualche preoccupazione sul fronte interno così come la capacità dei Verdi di raccogliere voti contro i sovranisti, dall’Olanda alla Baviera, può complicargli la strada europea”.
Al netto della propaganda, Salvini mira effettivamente a modificare il ruolo geopolitico dell’Italia? “Il vicepremier punta ad avere un solido rapporto con la Russia al fianco del legame di alleanza con Washington. Non è molto distante dall’approccio che ebbe Berlusconi fra Putin e George W. Bush. La differenza però è in quanto avvenuto a Mosca: oggi il Cremlino persegue una strategia di indebolimento dell’occidente che nel 2001 non era neanche accennata. Dunque, trovare un equilibrio fra Mosca e Washington è assai più difficile. Sul fronte europeo, Salvini è portatore di un cambiamento più profondo: i duelli, personali e politici, con Parigi, creano una situazione senza precedenti con la Francia”.
Non abbiamo ancora accennato alle possibili alternative alla centralità salviniana. “La forza di Salvini dipende dalla convergenza tra debolezza dei grillini e assenza dell’opposizione. Ciò che più sorprende è questo secondo aspetto, perché la scelta di Pd e Fi di avere un basso profilo davanti alla maggioranza gialloverde priva la democrazia italiana di un confronto schietto, vibrante. Ed avvalora quanto diceva Marco Pannella quando affermava che ‘in Italia c’è molta conflittualità e ci sono pochi conflitti’ perché la litigiosità prevale sui veri scontri politici tra posizioni differenti”.
E poiché i sondaggi contano (sebbene il leader leghista affermi di non tenerli in alcun conto), vale la pena ascoltare l’opinione del professor Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera: “In questa fase i sondaggi non hanno alcun valore per la semplice ragione che la gente non dice per chi vota. Fino alle elezioni europee nulla è destinato a cambiare, non si sposterà una foglia, a meno che il rapporto con l’Europa non precipiti e lo spread voli oltre l’immaginario. Se in occasione del voto si registrasse un calo sensibile del consenso per i Cinque stelle, si aprirebbe una crepa profonda nel governo”.
Molinari: “Salvini cresce di popolarità e conquista sostegni fra i Cinque stelle grazie ai quali governa. E’ in una situazione ottimale”. In Europa “una situazione senza precedenti con la Francia”. Cusenza: con i grillini “redde rationem inevitabile quando toccherà spartirsi i pochi soldi disponibili”
Secondo una rilevazione dell’Eurobarometro, soltanto il 43 percento degli italiani sarebbe a favore della permanenza nell’Ue, la percentuale più bassa tra i 28 paesi membri, Regno Unito incluso. “Non attribuisco alcun valore a questo dato perché registra un’opinione, di per sé volatile, non gli orientamenti di fondo dell’elettorato. Le opinioni sono strumenti di lotta politica. Il popolo segue tendenzialmente gli orientamenti delle élite: quando l’establishment era compattamente europeista, le persone interpellate si dichiaravano a favore dell’Europa. Gli orientamenti di fondo invece interpellano una consapevolezza più radicata che perdura nel tempo e richiedono questionari articolati, non a quesito unico. Sarebbe interessante sondare gli umori degli imprenditori varesotti, bresciani, bergamaschi: le posizioni di Salvini sull’immigrazione riusciranno a compensare gli effetti di redditi di cittadinanza e di altre misure assistenzialiste?”.
“E’ un matrimonio contro natura”, risponde tranchant Virman Cusenza, direttore del Messaggero. “Il contratto di governo è la fusione di due programmi oggettivamente alternativi, fusi in una manovra economica che ha raddoppiato i costi, a forte caratura sociale, con provvedimenti essenzialmente assistenzialisti. Vedo un’alleanza tattica, non strategica: nel paese esiste un’area politica che, pur non essendo maggioritaria, deve rivolgersi al governo gialloverde per provare a veder soddisfatte le proprie aspettative. Il bacino di utenza elettorale di Salvini è maggiore di quello propriamente leghista. Il leader del Carroccio ha saputo attrarre a sé una parte dell’elettorato di appartenenza Pd, per esempio sul tema dell’immigrazione e della legalità, lo dimostrano i flussi elettorali. Egli ha la capacità di attrarre il cosiddetto ‘elettorato di centro’, con i social network è riuscito a sintonizzarsi con i giovani con risultati notevoli sul piano dei consensi. Adesso la sfida è riscuotere il dividendo di questa scommessa: una manovra che deludesse i rispettivi elettorati sarebbe un autogol”.
Salvini deve “moderarsi”? “Io direi di no, deve piuttosto accrescere la propria credibilità sul piano istituzionale, facendo apparire sempre più eversivi i Cinque stelle. E’ vero che i grillini esprimono un’opinione pubblica euroscettica ma a Strasburgo non hanno una collocazione politica: o vanno a rimorchio di Salvini e Orbán oppure sono irrilevanti dal punto di vista numerico. I temi su cui Salvini può marcare la propria alterità sono: infrastrutture, fisco, giustizia. Salvini mira a diventare l’unico punto di riferimento del centrodestra italiano, perciò non accetterà compromessi al ribasso che possano danneggiare i suoi cavalli di battaglia, a partire dalla flat tax e dalla legge Fornero. Quando si passerà al dettaglio delle risorse effettive e toccherà spartirsi i pochi soldi disponibili, magari togliendoli al reddito di cittadinanza, il redde rationem sarà inevitabile. Salvini sa che il tempo gioca dalla sua parte”.
A proposito di leghismo, sicurezza e immigrazione, Carlo Nordio, già procuratore aggiunto di Venezia ed editorialista del Messaggero, la pensa così: “Non credo che una personalità rocciosa come quella di Salvini abbia bisogno di emanciparsi. Ma se questo significasse risolvere il contratto, laddove fosse impossibile realizzarne l’obiettivo, ebbene sì, credo che Salvini non avrebbe esitazioni. Un tale esito converrebbe certamente alla Lega che aveva il vantaggio di un programma meno oneroso finanziariamente e molto più popolare. La strategia su sicurezza e immigrazione di Salvini è ampiamente condivisa dai cittadini; inoltre, le provocazioni di Macron e le contraddizioni dell’Europa che ha chiuso i confini ma vuol farci la morale hanno coagulato un consenso aggiuntivo: qualsiasi paese reagirebbe così, per un minimo senso di amor di patria. Al contrario, il reddito di cittadinanza, le esitazioni sulle grandi opere, le contraddizioni nel movimento grillino e le continue gaffe di alcuni suoi esponenti ne hanno eroso parte delle simpatie, soprattutto al nord”.
Che fine ha fatto il centrodestra? “Quello a guida berlusconiana non esiste più, anche per ragioni anagrafiche. Ma il suo bacino elettorale è ancora vasto, e forse maggioritario. Per assumerne la guida Salvini dovrebbe moderare alcune richieste. In Veneto, buona parte degli imprenditori, grandi piccoli e medi, vive con disagio, o addirittura con ostilità, alcune scelte della Lega, in generale è allarmata dalla politica economica del governo. E’ ovvio che questi imprenditori tornino a guardare a un centrodestra moderato, o a un centrosinistra ‘renziano’ che aveva suscitato tra loro speranze. L’unico elemento favorevole sarebbe il miglioramento dei rapporti con la Russia con la fine delle sanzioni che hanno provocato molti danni. Personalmente, da modesto studioso di storia, ricordo che le sanzioni non hanno mai funzionato, neanche con Benito Mussolini. Per il resto, i mugugni sono molti: non c’è solo il reddito assistenziale. Se l’intera manovra economica fa fibrillare i mercati, le imprese e i piccoli risparmiatori ne risentono. La frase di Salvini che ‘i mercati se ne faranno una ragione’ è stata infelice. Sarebbe come se un malato di cancro dicesse che ‘il cancro se ne farà una ragione’, mentre la logica ti suggerisce il contrario. E poi c’è la storia dei complotti: i mercati sono agnostici, guardano solo alle convenienze ed è utopistico pensare di cambiarli, a meno di rinchiudersi in un’economia autarchica e comunista. Quanto alla speculazione, ovvio che c’è: ma anch’essa è fisiologica ai mercati liberi, come lo sono gli avvoltoi e gli sciacalli nella savana, che non attaccano i leoni forti ma gli animali malati e moribondi. L’unico modo per difendersi dalla speculazione è avere un’economia forte e una finanza credibile”. Salvini, prima o poi, staccherà la spina. “Una volta ottenuti risultati su immigrazione e legittima difesa, Salvini lavorerà in perdita. A quel punto, potrebbe prevalere la tentazione di rompere. Gli sviluppi successivi dipenderanno anche dall’esistenza o meno di un’alternativa credibile”.