I finti eroi del giornalismo senza puttane
I cronisti riflettano su cosa hanno combinato con le maratone, le interviste senza contraddittorio, gli occhiolini all’onestà. Opporsi a Truce e Mr Ping, sì. Ma quella facilità del vittimismo della libera stampa in un paese che non ne conosce l’abc, no
I giornalisti italiani hanno trattato Craxi come cani intorno a un cinghiale ferito, hanno bollato di puttane le entraîneuses di Villa San Martino, Arcore, e santificato la Boccassini e Di Pietro. Ora si offendono se la classe dirigente che meritano, e che hanno aiutato e aiutano piegando la loro schiena dritta fino alla lombaggine, mettendola in palchetto ogni giorno senza contraddittorio, perché così conveniva ai loro “editori puri”, gli ritorce contro l’appellativo per me encomiastico di “puttane” e aggiunge, “infime”. Via, non esageriamo con il narcisismo. “Siamo tutti puttane” era il titolo di una manifestazione fogliante dei tempi in cui garantisti e berlusconiani pop erano assediati dal comune senso del pudore, letteralmente in mutande, e mi toccò anche mettermi il rossetto abbondante e clownesco sul palco per essere più chiaro. Confermo la diagnosi, anche se ora i colleghi dell’anticasta fanno gli eroi “civili senza odio”, ma che borghesucci, ha ragione Gribbels, uno che meritano, uno che gli si acconcia.
A parte questo sfogo, e altri che potrebbero seguire a ruota, fa una certa impressione la facilità del vittimismo della libera stampa in un paese che non ne conosce l’abc. Sono sempre convinti di essere un contropotere, quelli che brindarono alla condanna di Tortora e altre amenità, e invece è un fischio di Banca Intesa e di Mario Draghi che li richiama all’ordine, dopo le ammucchiate, anzi le orge, degli anni trascorsi. Si devono mettere bene in testa che sono lavoratori dipendenti, con un padrone o più padroni, e il conformismo sociale padrone ultimo, i giornalisti italiani nella media grossolana del loro stile, altro che “il nostro unico padrone è il lettore” e frescacce consimili. Ora un paio di teppisti che hanno promosso al ruolo di vice li castiga, e c’è perfino un demente latinoamericano che li pesta tra una schitarrata e l’altra in Nicaragua, ben gli sta. Non sono vittime, sono guerrieri riluttanti, anzi vili, sono puttane rispettose, deontologi accaniti, e credono che la libertà di stampa sia la loro libertà di parteggiare contro ogni potere, dunque di servirli tutti a turno, invece che dire le cose come le pensano e raccontare i fatti come più o meno sono, senza sopracciò.
C’è da essere contenti per via del fatto che ora resistono, sono embedded in una guerra giusta, finalmente, e li fiancheggiamo volentieri, ma sempre senza perdere il senso delle proporzioni. Se i vice, il Truce e Mr Ping, li insultano, badino bene a ritorcere con grazia la loro rabbia e frustrazione, non si abbandonino alla compiacenza di sé, riflettano su quello che hanno combinato con le loro maratone, con le interviste senza contraddittorio, con il voto elettorale espresso per quelli che adesso li bollano di infamia, strizzando l’occhiolino all’onestà. Questa storia che sono sempre dalla parte giusta, che sono degli intoccabili, che fanno da baluardo della Costituzione più bella del mondo, loro che hanno impedito per tre volte di riformarla e ora si accorgono quanto sia fragile, bè, è una storia che sa di farlocco e di cattiva retorica. Hanno pubblicato tutte le intercettazioni unfit to print, come direbbe il New York Times che non le pubblica, e al momento mettono in scena la rivolta all’anglosassone dei latinos del giornalismo mondiale, quella carovana di fuggitivi tra le nuvole dell’irrealtà, quelli che hanno consentito e promosso l’esperimento più ribaldo della storia politica europea dopo l’avvento del Cavalier Benito Mussolini. Che era un buon giornalista, e non faceva la vittima.
Ci sono eccezioni alla regola, e vorrei vedere, ma la regola ha avuto qui una sua regolarità, una sua pesantezza ed efficacia, come si vede dai risultati. Ai quali ha portato acqua la decomposizione delle cosiddette élite, l’incapacità di esercitare una leadership persuasiva, in un contesto che sembrava fatto apposta per demolire anche solo il nucleo di esperimenti costruttivi, a maggior gloria e fortuna del giornalismo d’opposizione, così si voleva. Che il finale sia l’autocelebrazione narcisistica, questo poi no. Non è decente.