Così le imprese del Veneto spingono Luca Zaia contro il governo
Industriali, artigiani, manager. Ma Salvini quando molla Di Maio? Girotondo tra gli azionisti forti dell’elettorato leghista
Roma. “Per molto tempo ci eravamo chiesti dove fossero finite le persone perbene, uomini e donne che vivono la modernità ma non si fanno incantare dai social, che non abboccano agli slogan e magari leggono ancora libri e giornali. Beh, la piazza di Torino mi ha restituito la speranza. Ora però c’è il tema del che cosa nascerà di nuovo, se nascerà, da questi movimenti”. A parlare con il Foglio è Maria Cristina Piovesana, presidente vicario di Assindustria Veneto Centro, l’organismo confindustriale di Padova e Treviso, cioè la terza associazione aderente a Confindustria con 3.300 imprese iscritte, 160 mila dipendenti in un territorio da 51,8 miliardi di pil e 33,5 di export. Giovedì 15 è stata tra quanti nell’Aula magna del Bo, l’Università di Padova, ha fatto a fette, personalmente e con eleganza, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che difendeva la manovra economica. Lei, come molti altri esponenti dell’imprenditoria del nord-est, ce l’ha con il governo e le sue due misure simbolo: reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni.
E nel suo caso anche con il pensiero sottostante all’intera azione gialloverde: “Si sta vendendo una realtà illusoria. Si rinvia a un contratto che non ha alcun valore, né giuridico né etico, la cui base è che esistano solo diritti e mai doveri. E’ un’operazione partita con le frottole sui vaccini e con la delegittimazione del progresso realizzato dall’Italia in tutti questi decenni. La mistica del cambiamento stabilisce che va cancellata tutta una storia, e nessun futuro è da costruire, vale solo il consenso istantaneo dei like”. Piovesana, che guida l’azienda di famiglia Alf Uno, mobili di design con 79 milioni di fatturato (80 per cento export) e 320 dipendenti, rappresenta il filone che nell’imprenditoria veneta ha sempre guardato al sociale, anche con contratti aziendali illuminati.
Agostino Bonomo, presidente della Confartigianato (60 mila iscritti), incarna invece la rabbia immediata, quella di chi su uno dei due soci della maggioranza, la Lega, aveva puntato tutte le fiches, ed ora è il riferimento di chi si sente doppiamente tradito. “La rivolta delle imprese contro questo governo” grida “è in atto da sei mesi. Qui crediamo che lo sviluppo non passi per l’assistenzialismo e per l’assunzione di 500 mila dipendenti pubblici”. Il fenomeno civico di Piazza Castello a Torino, che vuol ripetersi a Genova e già si era palesato a Milano nelle durissime accuse del presidente di Assolombarda Carlo Bonomi, potrà estendersi al Veneto leghista? Roberto Papetti, che da 12 anni dirige Il Gazzettino e dunque conosce il nord-est come pochi, è piuttosto scettico: “Non credo che avremo qui manifestazioni come a Torino. E neppure proteste tipo Assolombarda, dove in platea ad ascoltare Bonomi c’erano il governatore leghista Attilio Fontana e il sindaco Beppe Sala del Pd.
Gli imprenditori continueranno ad alzare la voce nelle loro assemblee e a sfogarsi in privato, ma continueranno come il resto della popolazione a distinguere tra la Lega di Zaia e quella di Salvini”. Uno sdoppiamento, insomma. “Qualcosa di più. Un mese fa a Portogruaro ho moderato un incontro tra Carlo Cottarelli e Gianluca Forcolin, vicepresidente leghista della regione, in platea 500 persone. Forcolin ha detto: ‘Deve essere chiara una cosa, che noi il reddito di cittadinanza non lo vogliamo!’. Parlava a nome del Veneto o del partito che sta a palazzo Chigi? Probabilmente interpretava tutti e due, e se gli chiedi quando cade il governo, risponde: ‘Ieri’.
Nel frattempo Zaia non va in platea dagli industriali, neppure a Padova con Tria, ma difende a muso duro la Pedemontana veneta dalle grinfie di Toninelli, che finora si è messo la coda tra le gambe. Ecco, finché la regione leghista fa il suo lavoro non avremo piazze civiche contro Salvini”. Papetti cita come sempre le alternative che mancano, l’occasione persa da Matteo Renzi. Alle Europee 2014 il Pd in Veneto prese il 37,5 per cento, i 5S il 19,9, la Lega il 15,2. Alle Politiche del 4 marzo la Lega ha ottenuto nel proporzionale il 32,2, i 5S il 24,4, il Pd il 16,7. “Ma se i grillini sono adesso visti come la peste in Veneto sarà la Lega a rafforzarsi, altro per ora non c’è”.
Lo scenario potrebbe cambiare in caso di choc economico. Enrico Carraro, presidente di Carraro Group, leader mondiale nei macchinari ad alta potenza, che per la Lega non ha mai simpatizzato, dichiara il proprio sconforto: “Sono veramente preoccupato, il governo non si rende conto dei rischi che corriamo in Europa e nel mondo. Non si tratta dei decimali di deficit ma di un nazionalismo che l’Italia non si può permettere. Si festeggia la battuta d’arresto della Germania, ma qui c’è un’intera filiera che dipende dall’industria tedesca; l’altro nostro cliente è la Francia dell’odiato Macron. Non si dice con chiarezza se vogliamo stare dentro o fuori l’euro e la Ue. Ma stiamo scherzando?”.
Conferma il direttore del Gazzettino: “Si è sviluppata una filiera dell’auto ad altissimo valore aggiunto che fornisce, per esempio, sensori e meccatronica alla Mercedes. Se si tenesse un referendum sull’euro, il 90 per cento dei veneti voterebbe sì”. Ma al momento il presente è rappresentato dall’argine Zaia; il quale non vede l’ora che Salvini scarichi Di Maio e riporti al governo il centrodestra. “Né bisogna dimenticare che la Lega è ormai l’unico partito-partito, con sezioni, iscritti, livelli territoriali e struttura federale” osserva Papetti. Carraro conferma: “Luca Zaia è nel nord-est il vero erede della stabilità e del benessere democristiano. Certo, se poi il 2019 portasse instabilità, recessione e disoccupazione, allora presenterebbe il conto”. Nel gran sobbollimento del Dio Po l’argine di Rovigo trema ma regge. Per ora.