Il nuovo autoritarismo
Quando Luigi Di Maio insulta parlamentari e giornalisti in gioco c’è l’assetto democratico del paese
Al direttore
La partita che l’Italia sta drammaticamente giocando è ben diversa da quel che appare dalle notizie di cronaca sulla manovra economica, sui rapporti con la Commissione europea o su quant’altro. La posta in gioco di Salvini e Di Maio è l’assetto democratico del paese – del suo sistema politico e delle libertà personali di cui la Repubblica è stata garante sin dalla sua nascita, e del frutto di quella storia testimoniata dalla Ue, con la messa in campo di un sovranismo incolto che tanto ricorda il vecchio nazionalismo autarchico della prima parte del Novecento. Sbagliano quanti parlano di fascismo, perché quella diagnosi è facilmente confutabile da leghisti e pentastellati, e da quella stampa che tradizionalmente tarda a comprendere i rischi che corre il paese. L’autoritarismo cambia vestito in ogni stagione, e difficilmente si ripete con le stesse forme, ma resta pur sempre un autoritarismo. La nostra non è una opinione sorta d’improvviso o figlia di un risentimento. Il nostro giudizio nasce da fatti precisi, non ultimi gli attacchi sconsiderati di Di Maio e Grillo alla stampa. Da che mondo è mondo i primi obiettivi di un sistema autoritario sono i parlamentari e i giornalisti. La storia è piena di episodi simili. Naturalmente il contesto europeo impedisce azioni brutali nel nostro paese, ma la lenta sterilizzazione del Parlamento e la persistente riduzione delle libertà, prima economica e poi del pensiero, dei parlamentari è sotto gli occhi di tutti ed è la testimonianza di una democrazia sempre più formale e oligarchica.
Tacciare di sciacallagine tutta la stampa additandola come il male oscuro del paese è il segno preciso di una illiberalità che cresce e si diffonde. Non c’è giorno che il giovane Di Maio non intimidisca o minacci qualcuno. Dall’Europa che potrebbe non avere più il nostro contributo – peraltro definito dai trattati – ai dirigenti del ministero dell’Economia, dagli ispettori dell’Onu ai banchieri italiani che saranno oppressi da qui a poco da una permanente commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. E le minacce stanno diventando una prassi comune all’intero del Movimento 5 stelle, dal noto Casalino all’ispirato e confuso Beppe Grillo, e giù giù per li rami sino a germogliare in tutte le province e in tutte le città.
Vedremo adesso quale sarà l’atteggiamento degli oligarchi pentastellati verso quei senatori che con la propria uscita dall’Aula sul decreto di sicurezza, al di là del merito, hanno ricordato a tutti il valore costituzionale dell’assenza del vincolo di mandato dei parlamentari. Non ci sfugge la differenza tra il Movimento e la Lega, che ha venticinque anni di vita parlamentare democratica alle spalle e una classe dirigente periferica che rappresenta pur sempre un antidoto all’involuzione autoritaria del sistema politico. Il bullismo di Salvini nel linguaggio e finanche nell’abbigliamento da “descamisados”’ finisce per fare però da sponda all’autoritarismo in doppio petto, come si diceva una volta, del giovane Di Maio, che non esitò durante la fase di costruzione del governo di chiedere alla piazza, insieme al Che Guevara nostrano al secolo Alessandro Di Battista, l’impeachment del presidente della Repubblica, a testimonianza di un substrato culturale che poco ha a che fare con la storia democratica dell’Italia repubblicana e invece molto con la storia familiare sua e di Di Battista.
Potremmo citare tantissimi altri episodi di stampo autoritario, compreso qualcuno intriso di isterismo che spesso caratterizza la storia delle personalità autoritarie, come quando annunciò in diretta televisiva da Vespa che avrebbe portato alla procura della Repubblica il testo di una bozza di legge per scoprire chi l’avesse manipolata. Per comprendere sino in fondo il cuore del nostro giudizio sulla illiberalità prevalente del Movimento 5 stelle è sufficiente guardare il modello di partito adottato che ha riscoperto parole desuete (il capo politico) o funzioni di “garante”. Parole intrise di religiosità e di autoritarismo, funzioni sconosciute in tutti i partiti della Repubblica. Per mettere in allerta le classi dirigenti e le masse popolari la stampa televisiva dovrebbe mandare in video più volte al giorno l’ultimo comizio al Circo Massimo di Beppe Grillo, per comprendere quale intruglio di banalità e di visioni oniriche sia portatore il sommo pontefice del Movimento 5 stelle. L’autoritarismo dittatoriale del Novecento aveva dietro di sé un pensiero e una filosofia perversi e feroci, mentre dietro quello di oggi c’è la banalità dell’ignoranza, che si trasforma in una sorta di caporalato di giornata stupido e minaccioso, oggi con i giornali e i parlamentari, domani con l’intero paese, dopo aver messo in brache di tela l’economia italiana dando la responsabilità ai soliti plutocrati di ogni specie. Il tempo scorre veloce e le male piante dell’autoritarismo straccione crescono rapidamente. Da oggi in poi nessuno potrà dire di non aver compreso per tempo.