La sinistra del Medioevo ha un inconfessabile eroe: si chiama Salvini
Lo statalismo al governo. Le battaglie sulle pensioni. La lotta contro la flessibilità. La politica industriale. La sinistra che Salvini vuole combattere è diventata parte del dna leghista. E’ ora di smascherare il governo estremista
Matteo Salvini lo ripete spesso. Lo ha ripetuto il 13 novembre, dicendo che “da sinistra mi dicono che sono troppo cattivo”. Lo ha ripetuto il 12 novembre, dicendo che se “da sinistra mi attaccano con cortei e insulti è segno che siamo sulla strada giusta”. Lo ha ripetuto il 10 novembre, dicendo che mentre “sinistri e centri a-sociali sanno solo odiare e insultare, le persone normali mi dicono di andare avanti!”. E poi lo ha ripetuto negli ultimi mesi, solo sui social, il 7 novembre, il 6 novembre, il 4 novembre, il primo novembre, il 29 ottobre, il 28 ottobre, il 23 ottobre, il 22 ottobre, il 6 ottobre, il 7 ottobre, il 6 ottobre. “Come rosicano a sinistra per la fiducia degli italiani in me”. “Cari criticoni, professoroni e giornalisti di sinistra, me ne frego dei vostri insulti, penso agli italiani e continuo a lavorare!”. “Gli italiani non si bevono più le panzane della sinistra”. “Ma quanto rosicano a sinistra?”. “Dopo le chiacchiere della sinistra, il nostro è il governo che aiuta davvero gli imprenditori”. E così via. Sinistra, sinistra, sinistra, sinistra. Matteo Salvini, lo avrete capito, agita la parola “sinistra” non per criticare semplicemente il Pd, ma per rafforzare l’idea che la presenza della Lega al governo sia in fondo l’unico argine esistente in Italia per evitare un possibile ritorno dei neo comunisti al governo.
In verità la sinistra veterocomunista di cui parla Salvini fatica a dare grandi prove di vitalità – nei sondaggi Leu è stato superato anche da Potere al popolo – ma il ragionamento che vi vogliamo offrire oggi prende spunto da un problema che riguarda un paradosso inconfessabile di cui è protagonista il leader della Lega: la dissimulazione di un tratto importante della sua identità, che al fondo è un’identità in cui è presente in modo copioso quella sinistra che vorrebbe combattere. Spesso l’abbinamento tra la parola “Salvini” e la parola “sinistra” viene utilizzato per ricordare i trascorsi del Truce al Leoncavallo di Milano. Ma in verità il tema è più sottile e la narrazione salviniana relativa all’urgenza di bloccare la sinistra in Italia presenta un punto di debolezza che riguarda un dato difficile da ammettere sia per chi si sente oggi rappresentato dalla parola “Lega” sia per chi si sente oggi rappresentato dalla parola “Sinistra”. Il dato è questo: per quanto possa sembrare difficile da credere, se mettiamo da parte il tema dell’immigrazione e della sicurezza, il nemico giurato della sinistra che non c’è, ovvero il nostro Truce, è diventato il politico che in Italia è riuscito a far proprie alcune delle battaglie più importanti portate avanti nel passato dalla sinistra incapace di uscire dal Novecento. E non è un caso che quel piccolo pezzo di sinistra ancora legato alla cultura sindacale, compresa Susanna Camusso, compreso Maurizio Landini, oggi sia incapace di criticare la Lega quando parla di economia.
C’è un nuovo bipolarismo in Italia. Gli sciocchi pensano che sia quello che esiste tra i due azionisti del governo. I meno sciocchi capiscono invece che è quello che può nascere tra le idee di chi oggi si trova al governo e quelle di chi un domani riuscirà a trasformare dall’opposizione la nuova divisione del mondo non in un punto di debolezza ma finalmente in un punto di forza
In fondo pensateci bene. Può davvero la sinistra sindacale rimproverare Salvini per aver fatto saltare i conti dell’Italia intervenendo sull’età pensionabile? Impossibile: quando la Cgil presentò le sue firme per abrogare la legge Fornero lo fece andando a braccetto proprio con Matteo Salvini. Può davvero la sinistra sindacale rimproverare per aver dato il via a una legge sul lavoro che ha cominciato a distruggere posti di lavoro? Impossibile: l’abolizione del Jobs Act è da anni una priorità tanto della Lega quanto della Cgil e basta ricordare cosa successe nel gennaio del 2017 quando la Corte costituzionale dichiarò inammissibile il quesito del referendum sull’articolo 18. Ricordate? Vi rinfreschiamo la memoria. Prima dichiarazione: “Dalla Consulta una sentenza politica, gradita ai poteri forti e al governo, come quando bocciò il referendum sulla legge Fornero”. Seconda dichiarazione: “E’ stato dato per scontato l’intervento del governo e dell’Avvocatura dello stato, non era dovuto, è stata una scelta politica”. La prima dichiarazione è di Matteo Salvini, la seconda dichiarazione è di Susanna Camusso, ma il fatto che le parole dei due siano in sostanza intercambiabili ci fa capire bene la dimensione della questione e della svolta della Lega se pensate per esempio al semplice fatto che quando l’ex segretario della Cgil Sergio Cofferati riempì il Circo Massimo in difesa dell’articolo 18 il ministro del Lavoro all’epoca era il leghista Roberto Maroni. Le pensioni e il lavoro non sono però gli unici temi sui quali esistono sovrapposizioni tra la sinistra medievale, che Salvini sostiene di combattere, e lo stesso Salvini, che la sinistra medievale sostiene di combattere.
C’è davvero una differenza tra la linea della Lega e quella della Cgil quando si parla di delocalizzazioni? C’è davvero una differenza tra la linea della Lega e quella della Cgil quando si parla di nazionalizzazioni? C’è davvero una differenza tra la linea della Lega e quella della Cgil quando si parla di assistenzialismo? C’è davvero una differenza tra la linea della Lega e quella della Cgil quando si parla di euro? C’è davvero una differenza tra la linea della Lega e quella della Cgil quando si parla di politiche della spesa? C’è davvero una differenza tra la linea della Lega e quella della Cgil quando si parla di politiche in deficit? C’è davvero una differenza tra la linea della Lega e quella della Cgil quando si parla del giusto ruolo che dovrebbe ricoprire una “moderna” Cassa depositi e prestiti?
Nella bella chiacchierata tra Giuliano Da Empoli e Steve Bannon pubblicata qualche settimana fa sul Foglio, l’ex braccio destro di Donald Trump ha offerto ai nostri lettori un punto utile su cui riflettere. Giuliano Da Empoli ha chiesto a Bannon come vede il futuro della politica in America, se vede un fronte populista che si divide in due, la destra dei Trump e dei Salvini contro la sinistra dei Sanders e dei grillini, o se vede invece un bipolarismo tra populisti uniti da un lato e globalisti dall’altro. Risposta di Bannon: “Qui torniamo alla ragione per la quale l’Italia è il centro di tutto. Da voi i populisti di destra e quelli di sinistra hanno accettato di mettere da parte le loro differenze e di unirsi per restituire il potere al popolo italiano contro i poteri stranieri che l’avevano usurpato. Se funziona in Italia, può funzionare dappertutto, per questo siete il futuro della politica mondiale. Il modello è questo, al cento per cento: sovranisti contro globalisti”. Quello che anche un pezzo di sinistra moderna non riesce ad ammettere fino in fondo è che il governo del cambiamento oggi è rappresentato da due partiti che non possono essere definiti in nessun modo, come abbiamo spesso ricordato sulle colonne di questo giornale, come il simbolo di una “nuova destra” da combattere a tutti i costi, ma che sono qualcosa di molto più complicato, qualcosa di molto più profondo, qualcosa di molto più pericoloso di un semplice governo di estrema destra. Non è così e non può essere così. C’è molta sinistra medievale e giustizialista nel Movimento 5 stelle e c’è molta sinistra medievale e sindacalista nella Lega di Salvini. E se è vero quello che dice Bannon, ovvero che “i populisti di destra e quelli di sinistra hanno accettato di mettere da parte le loro differenze e di unirsi”, e se non può essere solo un caso che in Francia a tifare per il governo Salvini e Di Maio siano contemporaneamente Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen, forse sarebbe il caso finalmente di capire che chiunque voglia costruire una buona opposizione al governo dell’estremismo più che del cambiamento dovrebbe partire da qui, dalle nuove coordinate della politica, e dovrebbe avere il coraggio di dire alcune cose chiare. Che Salvini ha tradito il nord che aveva scommesso su Salvini e che quel nord bisogna avere la forza di rappresentarlo archiviando per sempre le politiche assistenzialiste. Che Salvini ha tradito gli elettori di centrodestra facendo proprie le battaglie dei sindacati, e dimenticando le battaglie liberali sulle tasse, solo per ottenere un po’ di campo libero sul tema della sicurezza.
Il prossimo Congresso del Pd e forse anche il prossimo giro di valzer della Cgil, più che pensare a come rappresentare la nuova sinistra, dovrebbero essere in grado di partire da qui. Dall’urgenza di trovare un messaggio nuovo per occupare con forza lo spazio creato dalle nuove coordinate della politica italiana. C’è un nuovo bipolarismo in Italia. Gli sciocchi pensano che sia quello che esiste oggi tra i due azionisti del governo. I meno sciocchi capiscono invece che il bipolarismo del futuro è quello che può nascere tra le idee di chi oggi si trova al governo e quelle di chi un domani riuscirà a trasformare dall’opposizione la nuova divisione del mondo non in un punto di debolezza ma finalmente in un punto di forza. Lo spazio c’è, il tempo pure, l’occasione è ghiotta, l’autostrada è libera, il partito della fuffa potrebbe essere costretto a fare i conti con il partito dei fatti prima di quanto si possa credere, ma nulla di tutto questo sarà possibile se gli oppositori di Salvini non diranno la verità sul governo del cambiamento: non è il peggio della destra, ma è il peggio dell’estremismo, e in quell’estremismo c’è anche il peggio della sinistra.