Un giorno da grillini
Tutto quello che il M5s vorrebbe dire su Salvini ma non ha il coraggio di dire
Leggi l'altra parte: “Tutto quello che la Lega vorrebbe dire su Di Maio ma non ha il coraggio di dire”
Roma. Il paradosso è che noi l’accordo col Pd non lo volevamo, non lo abbiamo mai voluto, proprio per evitare il Vietnam parlamentare, il logorio quotidiano: se avessimo concesso a Matteo Renzi la possibilità di avere col suo manipolo di parlamentari la possibilità di ricattarci costantemente, ci saremmo solo fatti del male. E il paradosso, ora, è che questo stillicidio lo subiamo lo stesso per colpa di Matteo Salvini. Che, ormai è evidente, ha più interesse a spaccare il M5s che non a portare avanti la manovra.
E questa strategia è stupida, oltreché sleale. Sleale, infatti, lo è perché ci eravamo ripromessi di cambiarle davvero, le cose, e lui invece pensa più al successo della Lega che non a quello di un governo che per la prima volta non è ricattabile dai soliti poteri forti. Stupida, invece, lo è perché, mettendo in difficoltà noi, finisce col segare il ramo su cui pure lui, il capo del Carroccio, è seduto. Non lo capisce, Salvini, che se non arriviamo in piedi alle europee, anche per lui saranno dolori?
“Sappiamo cosa vuole Salvini: far crescere il malcontento tra noi e provare poi a far sganciare Di Maio dal movimento”
Ma in fondo la verità è che in questa maggioranza siamo noi del Movimento gli unici ad essere davvero liberi, a non avere rendite di posizione da difendere o da tutelare. La Lega governa regioni importanti, le più ricche e produttive del paese: insomma, è parte del sistema. E questo spiega anche il motivo per cui questa stampa di regime preferisce sempre tutelare la Lega, esaltare Salvini come quello che riesce sempre ad imporre la sua volontà.
Scommetto che riuscirà a farlo anche oggi, dopo la figuraccia collezionata dal ministro dell’Interno sulla questione degli inceneritori. Era partito lancia in resta, senza neppure consultarci, e con l’evidente volontà di provocarci. Ha fatto il diavolo a quattro per giorni, anche perché, insieme al suo guru della comunicazione Luca Morisi, cercavano ad ogni costo un modo per oscurare mediaticamente l’assemblea del Pd. E ci sono pure riusciti. Solo che per farlo, hanno di nuovo esasperato la tensione nella maggioranza. Per ottenere cosa, poi? Alla fine Giuseppe Conte ha ribadito quello che era doveroso e naturale ribadire: e dunque puntare tutto su economia circolare e politica del riciclo sul medio periodo, e nell’immediato affidare la gestione delle criticità transitorie al ministro Sergio Costa, che di inceneritori non vuole neppure sentire parlare. Insomma, una vittoria nostra su tutta la linea.
Salvini voleva porre il tema della gestione dei rifiuti all’attenzione del governo? E perché, allora, non parlarne prima coi suoi alleati? Che senso ha uscirsene così, a Napoli, senza alcun preavviso? E’ evidente che voleva solo provocarci. Certo, sì, capisco l’obiezione: anche Di Maio è andato da Bruno Vespa a denunciare la manina, mentre Salvini era in Russia e Conte a Bruxelles. Ma quello è successo perché Luigi è poco lucido, perennemente in affanno a causa dei sondaggi che guarda ogni mattina, e che ogni mattina gli ricordano che ci sta facendo sprofondare. Ma questo è un problema anche per Salvini: noi del M5s, per lui, almeno fino alle europee, siamo “too big to fail”: senza di noi, naufraga anche la Lega, nonostante quello che Iva Garibaldi suggerisce ai giornalisti compiacenti. Ma quale maggioranza alternativa, ma quale ritorno di fiamma con Forza Italia? Salvini ha in mente un altro schema. Lui pensa a una Lega nazionalista, sì, ma tutto sommato conservatrice: un nuovo centrodestra nell’epoca del sovranismo. E però teme l’abbraccio mortifero con Silvio Berlusconi, non ha alcuna voglia di tornare a fare i pranzi ad Arcore, né a dover litigare col Brunetta di turno. Sapeste quello che ci dice, a noi, del nano. E anche Giorgia Meloni, non è che la sopporti tanto: è convinto di parcheggiarla a Roma, candidandola come sindaco del centrodestra alle prossime comunali, e poi fagocitare i parlamentari di Fratelli d’Italia. Il tutto, però, dopo le europee: sarà a quel punto che, se i risultati delle elezioni glielo permetteranno, forzerà la mano, ci proporrà un rimpasto, aprendo le porte del Carroccio a una ventina tra forzisti e meloniani, così da ingrossare i gruppi parlamentari della Lega, che al momento, da soli, pesano meno rispetto alla somma tra di Fi e FdI. E lì, secondo lui, sarà la svolta: perché è convinto che una parte del M5s non sopporterebbe di restare in un governo a trazione leghista, e a quel punto Di Maio dovrebbe scegliere: aggrapparsi a Salvini oppure staccare la spina. Ma ci sottovaluta, Salvini: Luigi sa benissimo che in quel caso portare in dote alla lega un truppa di parlamentari significherebbe consegnarsi al carnefice.
“Ma poi cos’ha portato a casa? La manovra è roba nostra: la flat tax non c’è più, e anche il condono glielo abbiamo sterilizzato”
Certo è che però lui si diverte, a fomentare le nostre divisioni: credete davvero, ad esempio, che abbia del ritorno di Di Battista? Ovvio che no. Però dicendo che “quando ci sarà di nuovo Di Battista tutto si complicherà”, non fa altro che legittimare la leadership di Alessandro, accreditandolo come il vero rivale, e mettendo così in difficoltà Luigi. Stesso motivo per cui, del resto, Salvini fa il tifo anche per Fico. In pubblico di lui dice peste e corna, lo paragona a Bertinotti, a Fini, alla Boldrini, ricorda che il ruolo di presidente della Camera non ha mai portato granché fortuna: ma poi dà ordine ai suoi di non ostacolare più di tanto certi provvedimenti che a Roberto stanno a cuore. L’acqua pubblica, ad esempio, o il commercio dei beni usati, stanno, non a caso, filando lisci come l’olio. Vuole fargli prendere coraggio, Salvini, ai nostri malpancisti, alla cosiddetta ala ortodossa. Cosicché si ingrossi e poi faccia sentire con più forza la sua voce quando si trattano temi legati a immigrazione, sicurezza e diritti umani, che poi sono gli unici su cui il capo della Lega insiste perché per il resto non ha portato a casa un bel nulla. Salvini gode nel vedere i nostri capigruppo annaspare dietro le proteste dei dissidenti: è convinto che più quel malcontento cresce, più Di Maio alla fine sarà tentato di sganciarsi dal Movimento, in un qualche modo. Al Senato, peraltro, basterebbe davvero una manciata di diserzioni per fare in modo da rendere necessario l’ingresso di FdI in maggioranza: e a quel punto tutto si complicherebbe. Alla Camera i numeri sono più confortanti, ma la lettera dei nostri 19 deputati di ieri che lamentano le storture del dl sicurezza, già approvato a Palazzo Madama e da convertire anche a Montecitorio con tempi molto stretti, dimostra che il clima, su certi argomenti, per noi è incandescente. E dopo la sicurezza arriverà pure la legittima difesa: e sarà anche peggio.
Del resto Salvini vive di questo: è tutta tattica, tutto politicismo. Non ha mai amministrato nulla in vita sua, neppure un condominio. E’ convinto di poter risolvere sempre tutto con manovre di Palazzo, rilancia continuamente, ci costringe sempre a giocare di rimessa. Ma poi cos’è che ha portato a casa? La manovra, di fatto, è quasi tutta roba nostra: la flat tax non esiste più, e anche il condono glielo abbiamo sterilizzato a tal punto che gli stessi leghisti hanno preferito soprassedere. E anche sul lavoro, il decreto dignità è arrivato in porto in modo perfino più agevole di quanto non ci aspettassimo. D’altronde se è vero che Salvini punta a sbarcare al sud, allora non vorrà metterci i bastoni tra le ruote sul reddito di cittadinanza: magari proverà a metterci il cappello anche lui, ma di certo non lo affosserà. Per questo manda avanti i suoi, come Garavaglia o Molinari, per criticarlo, ma lui si guarda bene dal contestarlo davvero. E ai suoi, oltre un certo limite, impone di non spingersi. I giornali insistono tanto con la storia della dissidenza interna al Movimento: ma la verità è che nella Lega non c’è libertà, è un partito, quello sì, stalinista, col culto della personalità del capo e un rispetto delle gerarchie che ha del militaresco.
In campo economico Salvini resta indecifrabile. A prima vista, sembra che usi Borghi e Bagnai per irretire i no euro, per poi puntare però a raccogliere risultati più realistici con Garavaglia e Giorgetti, che è un altro uomo del sistema, il vero sabotatore di questo governo. Ma la verità è che quando si parla di economia Salvini va nel panico, non ci capisce niente: e lì si vede come spesso tenda a fidarsi più del gruppo di “Scenari economici”, quello che gravita intorno a Paolo Savona e Antonio Rinaldi, che non del suo vice assai più prudente e pragmatico. Al Mef non tocca palla, Salvini. Garavaglia risponde a Giorgetti, Bitonci più che altro sembra interessato a scombinare i nostri piani: puntualmente ci mette in difficoltà, sia sul rientro dei capitali dall’estero sia sui rimborsi ai “truffati” delle banche venete. Chiedete a Villarosa, su quest’ultimo passaggio: Bitonci prima ha fatto infuriare i rappresentati delle associazioni dicendo che il provvedimento sui ristori era stato cambiato da qualche oscuro funzionario di Via XX Settembre, poi ha pensato bene di presentarlo lui, a suo nome, l’emendamento correttivo, per farsi bello.
In campo internazionale, poi, è un mistero. Il loro sottosegretario al Mise, Geraci, conduce praticamente una diplomazia parallela con la Cina. In Europa chiediamo risposte alle lettere di Savona, ma poi Giorgetti si fida più che altro di quello che gli dice il ministro degli Esteri Moavero, che la pensa esattamente all’opposto. Ma è possibile?
Noi, comunque, andiamo dritti per la nostra strada. Che non è detto che non sia la stessa di Salvini, in verità. Perché alla fine un asse stabile, tra noi e la Lega, è possibile. Forse perfino auspicabile. Dell’idea di una piattaforma programmatica condivisa con la Lega, magari proprio a partire dalla battaglia in Europa, ogni tanto si parla. Salvini fa il vago, per ora. Del resto, l’ambiguità lui la mangia a colazione, insieme allo spread.