La Torre di Pisa ci spiega quale può essere il lato buono del populismo
In soli sei mesi Salvini e Di Maio al governo hanno dimostrato che la politica della fuffa non funziona perché è incompatibile con la realtà. Forse si può raddrizzare anche lo Scellerato Collettivo che il 4 marzo ha regalato loro l’Italia
Negli ultimi giorni diversi giornali hanno raccontato con entusiasmo la straordinaria storia della Torre di Pisa che, come molti di voi avranno letto, grazie a un gruppo di lavoro che si occupa da anni di registrare l’andamento della sua pendenza, ha cominciato lentamente a raddrizzarsi risollevandosi di quattro centimetri negli ultimi diciassette anni e riducendo la sua pendenza di circa mezzo grado rispetto all’asse verticale. Nel corso dei secoli, come ha ricordato il Post, la Torre di Pisa ha avuto periodi di maggiore e minore pendenza, per lo più dovuti al progressivo assestamento del terreno su cui sono costruite le sue fondamenta, e negli anni Novanta dello scorso secolo, dopo un improvviso spostamento orizzontale tra la sommità e la base di 4,5 gradi, si decise di avviare, con l’impiego di contrappesi, anelli di ferro e tiranti per controbilanciare la torre, alcuni lavori di consolidamento, in modo da rendere la base meno cedevole. A voler essere molto ottimisti, e come sapete noi lo siamo, l’immagina eroica della Torre di Pisa che sfidando la sua stessa storia torna a pendere meno di un tempo è l’immagine perfetta per spiegare quale potrebbe essere l’unico lato positivo dell’immersione dell’Italia nella melma populista: la capacità da parte della classe dirigente italiana di aiutare gli elettori a raddrizzare le proprie convinzioni.
Il populismo, in una certa misura, va ringraziato perché ci ha costretto a scegliere da che parte stare. Dobbiamo ringraziare il populismo perché ci ha permesso di capire cosa si rischia a giocare con i conti pubblici di un paese, perché ci ha costretto a capire cosa pensiamo dell’Europa e dell’Euro, cosa pensiamo della globalizzazione, cosa pensiamo della gogna, cosa pensiamo di una giustizia senza fine
Ci è venuta in mente la fantastica storia della Torre di Pisa qualche giorno fa, quando un sondaggio dell’Eurobarometro, un servizio istituito nel 1973 che misura e analizza le tendenze dell’opinione pubblica in tutti gli stati membri dell’Eurozona, ha diffuso alcuni dati poco valorizzati dai giornali. Dato numero uno: la proporzione di italiani che ritiene la moneta unica una “buona cosa” è cresciuta in un anno di 12 punti percentuali, balzando al 57 per cento, mentre è calata dal 40 al 30 per cento quella di quanti la considerano un danno. In generale, e le elezioni del 4 marzo ce lo hanno ricordato, gli italiani restano tra i meno entusiasti di far parte dell’Eurozona, sono i terzultimi dietro Cipro e Lituania, ma l’incremento registrato dal nostro paese è stato il più alto dell’Eurozona.
A sua volta, poi, il sondaggio dell’Eurobarometro ci ha ricordato che, in misura diversa e su un altro terreno, un fenomeno del genere è stato osservato la scorsa estate negli Stati Uniti di Donald Trump da un famoso docente americano di nome Daniel Drezner, specializzato in politica internazionale. Drezner, come abbiamo raccontato a settembre sul Foglio, è stato uno dei commentatori più critici di Donald Trump, rispetto alla vocazione del presidente americano al protezionismo, ma a settembre di quest’anno ha dovuto ammettere che negli ultimi due anni c’è qualcosa che è andato in una direzione non prevedibile. “Ho erroneamente supposto – ha scritto Drezner – che i metodi usati da Trump sul tema del mercato avrebbero indotto gli americani a volgersi contro la liberalizzazione del commercio. In fondo, la rivolta populista contro il commercio internazionale ha rappresentato un filo conduttore delle elezioni vinte nel 2016. Ma oggi sappiamo che gli americani amano il commercio molto più di quanto possano amare Trump. E sappiamo che un numero sempre più elevato di americani pensa che il commercio in un mercato aperto sia un bene per l’economia, sia un bene per i consumatori e sia un bene per permettere al proprio paese di avere sempre più posti di lavoro”.
A voler essere dunque molto ottimisti si potrebbe dire che ha ragione chi sostiene, lo ha fatto su questo giornale anche l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, che un giorno potremmo essere costretti a ringraziare Salvini e Di Maio per quello che stanno facendo perché in soli sei mesi i populisti al governo hanno dimostrato che la politica della fuffa non funziona perché è incompatibile con la realtà. Lo vediamo quando parliamo di economia. Lo vediamo quando parliamo di politica estera. Lo vediamo quando parliamo di lavoro. Lo vediamo quando parliamo di innovazione. Lo vediamo quando parliamo di democrazia. Lo vediamo quando parliamo di infrastrutture. Lo vediamo quando parliamo di vaccini. Ed effettivamente, grazie alla presenza al governo di una coalizione sfascista, fortemente convinta che il modo giusto per avvicinarsi al futuro sia quello non di aprirsi ma di chiudersi sempre di più, presto potrebbero non essere solo gli Antonio Padellaro, i Paolo Mieli, le Lucia Annunziata, gli Ernesto Galli della Loggia, e forse anche i Paolo Savona, a dover ammettere di aver sottovalutato i rischi del populismo al potere.
Il populismo, in una certa misura, va ringraziato perché ci ha costretto a scegliere da che parte stare. Dobbiamo ringraziare il populismo perché ci ha costretto a riflettere sui valori non negoziabili della nostra democrazia. Dobbiamo ringraziare il populismo perché ci ha permesso di capire quali sono le nuove divisioni della politica. Dobbiamo ringraziare il populismo perché ci ha permesso di capire cosa si rischia a giocare con la salute dei nostri figli, mettendo in discussione i vaccini. Dobbiamo ringraziare il populismo perché ci ha permesso di capire cosa si rischia a giocare con i conti pubblici di un paese, decidendo non di cambiare le regole dell’Europa ma semplicemente di violarle. Dobbiamo ringraziare il populismo, e forse il 26 maggio tutta l’Europa ringrazierà l’Italia per aver mostrato al mondo cosa possono fare degli incompetenti al governo, perché ci ha permesso di capire quali rischi corre una grande potenza industriale a mettere il suo destino in mano ai campioni delle verità alternative. Dobbiamo ringraziare il populismo perché ci ha permesso di capire in modo speriamo sempre più chiaro ma non troppo traumatico per l’Italia in che senso combattere la flessibilità significa combattere l’occupazione e non il precariato. Dobbiamo ringraziare il populismo per tutto questo ma dobbiamo anche ringraziarlo per averci costretto a capire cosa pensiamo dell’Europa, cosa pensiamo dell’Euro, cosa pensiamo della Russia, cosa pensiamo della Brexit, cosa pensiamo della globalizzazione, cosa pensiamo della gogna, cosa pensiamo di una giustizia senza fine, cosa pensiamo dei processi infiniti, cosa pensiamo delle riforme fatte per o contro le imprese, e cosa pensiamo del sogno che oggi è al centro, volontariamente o involontariamente, dell’agenda sfascista: fare il gioco della Russia di Putin e dell’America di Trump indebolendo l’Europa e mettendo l’interesse delle nazioni prima dell’interesse dell’Unione europea.
Un giorno forse ringrazieremo il populismo per aver esplicitato quali sono i valori non negoziabili della nostra democrazia, per averci ricordato che sui diritti si può discutere ma sui doveri non si può blaterare e per averci costretto a scegliere: o si sta di qua o si sta di là. E se si può raddrizzare la Torre di Pisa forse si può anche raddrizzare lo Scellerato Collettivo che il 4 marzo ha deciso di regalare l’Italia a una banda di simpatici incompetenti che di fronte a una splendida torre che penzola piuttosto che pensare a come raddrizzarla pensano a come buttarla giù. Viva la resipiscenza, o yes.