Sui migranti Salvini detta la linea a Conte: "Il Global Compact non si firma"
In pochi giorni il governo fa marcia indietro e rinuncia alla firma del documento dell'Onu. Annunci, fake news, ripensamenti. Storia del nuovo balletto gialloverde
Sulle politiche per l’immigrazione Matteo Salvini ricompone l’asse con i paesi sovranisti di Visegrád e annuncia che, il prossimo 10 e 11 dicembre, in occasione della riunione intergovernativa di Marrakech, in Marocco, l’Italia non firmerà il Global Compact per i rifugiati e i migranti (GCM). O meglio lo firmerà solo dopo che, sul tema, si sia svolto un dibattito parlamentare (che difficilmente si terrà prima del 10 dicembre). Una procedura anomala per siglare una mera dichiarazione di princìpi, frutto di oltre due anni di negoziati iniziati alla fine del 2016 con l’adozione della Dichiarazione di New York da parte dell’Assemblea generale dell’Onu.
Le parole del vicepremier sono arrivate oggi, a sorpresa, nel corso del confronto a Montecitorio sul decreto Sicurezza. Il deputato Gregorio Fontana (Forza Italia) aveva accusato l’esecutivo di “strabismo” politico: “Da un lato il governo interviene con decreto per bloccare il flusso dei migranti e dall’altro non ha una posizione chiara sul Global Compact che toglie sovranità all’Italia – ha accusato Fontana – Non si capisce se l’Italia aderirà o meno alla firma dell’11 dicembre a Marrakech e Conte in sede Onu aveva dato linea favorevole”. E’ a questo punto, quasi in modo estemporaneo, che Salvini ha annunciato: “Il governo non firmerà alcunché e non andrà a Marrakech perché il dibattito è così importante che non merita di essere una scelta solo del governo ma deve essere l’Aula a discuterne”. Poco dopo lo stesso premier Giuseppe Conte, in una nota, ha confermato le parole di Salvini: "Il Global Migration Compact è un documento che pone temi e questioni diffusamente sentiti anche dai cittadini: riteniamo opportuno, pertanto, parlamentarizzare il dibattito e rimettere le scelte definitive all'esito di tale discussione, come pure è stato deciso dalla Svizzera. A Marrakech, quindi, il governo non parteciperà, riservandosi di aderire o meno al documento solo quando il Parlamento si sarà pronunciato".
Firmo, non firmo
Immediata la reazione del Pd, che con Graziano Delrio ha attaccato il leader della Lega: “Il vero presidente del Consiglio è Salvini che ha smentito il ministro degli Esteri e il premier sull’adesione dell’Italia al GCM”. In effetti, le parole rivolte oggi dal ministro dell’Interno sono una sostanziale marcia indietro rispetto a quanto dichiarato, anche in sede internazionale, dai membri dell’esecutivo gialloverde. Lo scorso 26 settembre, dal palco dell’Assemblea delle Nazioni Unite, Conte aveva detto che “i fenomeni migratori con i quali ci misuriamo richiedono una risposta strutturata, multilivello e di breve medio e lungo periodo da parte dell’intera comunità internazionale. Su tali basi sosteniamo il Global Compact su migrazioni e rifugiati”. Un’apertura ribadita anche dal ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che appena una settimana fa, nel corso di un question time alla Camera, aveva risposto a un’interrogazione di Giorgia Meloni (FdI) ricordando che il GCM “non sarà un atto giuridicamente vincolante” e che “nel documento ci sono princìpi di responsabilità condivisa nella gestione degli oneri dell’immigrazione”. Sulla stessa linea si era schierato, appena due mesi fa, anche il sottosegretario agli Affari esteri, il grillino Manlio Di Stefano, sempre in occasione della 73esima Assemblea generale dell’Onu: “Siamo fiduciosi che il GCM sarà uno strumento utile per massimizzare l’impatto delle risorse disponibili nella gestione dei flussi migratori”, aveva dichiarato. Oggi però, Di Stefano ha aderito alla nota congiunta dei parlamentari M5s delle commissioni Affari esteri di Camera e Senato, in cui si sostiene il cambiamento di linea del governo.
Fake news
L’Italia non è certo l’unico paese in cui il dibattito sul GMC ha diviso i partiti. Sia la destra estrema dell’AfD in Germania, sia quella di Marine Le Pen in Francia hanno accusato i rispettivi governi di approvare un documento che, a loro avviso, incoraggia l’immigrazione clandestina. Una linea condivisa in Italia da Fratelli d’Italia. Da settimane Giorgia Meloni ha avviato una campagna sia in Parlamento sia sui social network contro la firma del documento. Secondo i movimenti della destra europea, il GMC impone obblighi aggiuntivi agli stati firmatari e, fatto ancora più grave, “sancisce che l’immigrazione è un diritto fondamentale e che pertanto renderà impossibile per gli stati limitare i flussi migratori” (parole di Giovanbattista Fazzolari di Fratelli d’Italia). In realtà, la bozza del documento dice qualcosa di molto diverso, affermando che “sia rifugiati sia migranti hanno gli stessi diritti umani e libertà fondamentali, che devono essere rispettate e protette sempre. Ad ogni modo – riconosce il GMC – migranti e rifugiati sono gruppi distinti governati da una cornice normativa diversa”.
Inoltre, la stessa bozza di accordo chiarisce nero su bianco che si tratta di un “documento non vincolante” che anzi “riafferma il diritto sovrano degli stati di scegliere la propria politica migratoria”. Il GMC insomma non è altro che un compendio di princìpi e di pratiche efficaci per la gestione dei flussi migratori in modo condiviso. Pur non creando alcun nuovo obbligo giuridico, si tratta di una dichiarazione di intenti senza precedenti, perché coinvolge molti paesi del mondo che si dicono d’accordo nel volere gestire in modo cooperativo un fenomeno che “nessuno stato può più affrontare da solo” (tesi peraltro condivisa più volte dallo stesso governo gialloverde).
C’è chi dice no
Finora, come mostra la mappa realizzata dall'Ispi (qui sopra), sono diversi gli stati che (oltre alle defezioni di Stati Uniti e Australia) hanno deciso di non firmare il documento dell’Onu. Tra questi ci sono tre dei paesi sovranisti del gruppo di Visegrád (Slovacchia, Polonia, Ungheria), oltre alla Croazia, alla Bulgaria e all’Austria. Tra gli indecisi la Svizzera (che comunque affronterà la questione in Parlamento) e al Belgio. L’Italia al momento ha detto no. Ma la posizione del governo, visti i continui cambi di linea, appare tutt'altro che netta.