Perché la storia di Renzi suggerisce a Salvini di votare il prima possibile
La debolezza di un progetto alternativo a quello populista, anche nelle forze di opposizione, fa sì che la Lega sia il partito più indiziato a raccogliere il dissenso contro questo governo, liberandosi dall’abbraccio mortale con il M5s. Idee per uscirne vivi
La data di scadenza del governo del cambiamento è legata a un dato politico importante che riguarda un particolare cruciale dell’incantesimo che avvolge la leadership di Matteo Salvini: la sua capacità di essere contemporaneamente tanto il leader forte del governo populista quanto il leader forte dell’opposizione al governo populista. Provate a fermarvi, a pensarci un attimo e a parlare con i vostri amici. Chi sono oggi i nemici numero uno per il popolo delle imprese? Chi sono oggi i nemici numero uno per il partito del pil? Chi sono oggi in nemici numero uno per il partito delle infrastrutture? Chi sono oggi i nemici numero uno per il partito della crescita? Chi sono oggi i nemici numero dell’Alta velocità? E qual è l’unico partito che in prospettiva potrebbe essere allontanato dalla traiettoria populista? La risposta più ovvia a questa domanda in teoria sarebbe logica: i nemici numero uno del partito del pil sono contemporaneamente Salvini e Di Maio. Ma in realtà il nemico numero uno del partito del pil oggi è identificato nel profilo del Movimento 5 stelle e di conseguenza, a causa di un effetto che potremmo definire di prossimità, l’unico argine alla decrescita infelice dell’Italia tende a essere per molti, in modo tanto naturale quanto paradossale, proprio il capitano leghista.
La ragione è simile a quella che conoscono molti appassionati di calcio: se odi la Juventus, ma la tua squadra è a metà classifica, non puoi che augurarti che sia la prima squadra che arriva dopo la Juventus a fermare la Juventus. Con la Lega vale lo stesso principio: l’Italia non è un paese di leghisti, alle ultime elezioni la Lega ha preso meno voti del Pd, ma oggi la Lega è il principale inseguitore del partito più pericoloso d’Italia, ovvero il Movimento 5 stelle, e anche per questo buona parte dell’Italia che considera la decrescita grillina il primo problema del paese si è avvicinata a poco a poco alla Lega. Oggi, disgraziatamente, il bipolarismo tra Lega e Movimento 5 stelle è una realtà e l’urgenza di avere all’opposizione una leadership forte, riconoscibile, autorevole, spendibile e soprattutto credibile non è un capriccio giornalistico ma è l’essenza vera dell’anomalia italiana.
In Italia il governo del cambiamento intercetta circa sei elettori su dieci ma sommando coloro che oggi non si riconoscono nel governo sfascista e coloro che oggi non si riconoscono né con il governo né con l’opposizione non è azzardato dire che l’elettorato potenziale di cui può godere l’alternativa al populismo è simile a quell’elettorato che periodicamente mostra il suo amore nei confronti ora dell’Euro ora dell’Alta velocità. Esiste un popolo del sì che oggi non è rappresentato da nessun partito – e che non aspetta altro che essere rappresentato da un nuovo leader carismatico – ma l’inesistenza di un progetto alternativo a quello populista nel mondo di Forza Italia, l’incredibile lentezza con cui il Partito democratico ha scelto di rinnovare la sua leadership, la latitanza di una proposta politica alternativa a quella costituita dalle due opposizioni presenti in Parlamento ha creato una condizione particolare che fa della Lega di Matteo Salvini il partito più indiziato a raccogliere un domani alle elezioni il dissenso contro questo governo.
Prima lezione relativa alla parabola dell’ex leader del Pd: sacrificare l’elettorato tradizionale del proprio partito (il nord per Salvini, la sinistra per Renzi) per conquistare un elettorato nuovo (il sud per Salvini, la destra per Renzi) è un esperimento che può funzionare solo a condizione
che non ci siano avversari in campo. E quando un leader fa esplodere
il consenso del proprio partito, deve sapere che l’esperimento
può funzionare solo per un tempo limitato
Può sembrare un paradosso ma al di là del giudizio politico che ciascuno di noi può dare sulla traiettoria del Truce è un fatto che un pezzo importante dell’Italia anche distante dal mondo salviniano oggi di fronte a una assenza di alternative osserva il leader della Lega come l’unico perno intorno al quale costruire un’alternativa all’immobilismo rappresentato plasticamente dal Movimento 5 stelle. Non si sa quanto questo incantesimo potrà durare e non si sa per quanto tempo Salvini potrà avere la forza di farsi percepire non come responsabile ma come vittima di quello che sta succedendo in questo governo. Ma la ragione per cui il leader della Lega potrebbe avere un vantaggio politico importante a far saltare dopo la manovra il governo del cambiamento è legata proprio a questa particolare condizione forse irripetibile vissuta dal Truce: essere uno dei responsabili del disastro economico dell’Italia (e Salvini lo è: il reddito di cittadinanza era nel programma della Lega, la destabilizzazione dei conti pubblici era nel programma della Lega, l’uscita dell’Italia dall’Euro era nel programma della Lega, il superamento della legge Fornero era nel programma della Lega, la revisione del jobs act era nel programma della Lega) ma essere percepito come l’unico leader in campo che potrebbe portare avanti una svolta per così dire moderata: alla Tsipras.
Non sappiamo quali sono le intenzioni di Matteo Salvini. Sappiamo che nella Lega c’è una forte dialettica sulla necessità o meno di andare a rompere con il Movimento 5 stelle. Sappiamo che il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ripete costantemente ai suoi interlocutori che prima questo governo finisce e prima finirà l’agonia della Lega e dell’Italia. Ma sappiamo anche che Matteo Salvini farebbe bene a considerare alcune lezioni relative alla parabola di Matteo Renzi.
La prima lezione è legata al fatto che sacrificare l’elettorato tradizionale del proprio partito (il nord per Salvini, la sinistra per Renzi) per conquistare un elettorato nuovo (il sud per Salvini, la destra per Renzi) è un esperimento che può funzionare solo a condizione che non ci siano avversari in campo. Nel 2014 a Renzi l’operazione (40 per cento) riuscì alla grande anche perché a parte il Movimento 5 stelle grandi avversari in campo non erano presenti. Ma quando un leader fa esplodere il consenso del proprio partito quel leader deve sapere che l’esperimento può funzionare solo per un tempo limitato. E se è vero che Giancarlo Giorgetti conserva sulla scrivania la foto di Matteo Renzi per ricordare a se stesso e a Salvini che anche l’ex segretario del Pd arrivò con il suo partito alle vette elettorali sfiorate oggi dalla Lega è anche vero che il partito del buon senso della Lega, se esiste ancora, dovrebbe smetterla di cincischiare e suggerire al Truce l’unica mossa che potrebbe salvare il paese dall’abbraccio del populismo sfascista: riandare a votare, fare un patto con il presidente della Repubblica e provare dopo le elezioni una qualsiasi formula politica che non preveda l’abbraccio mortale con il Movimento 5 stelle. Basta scegliere e si può fare.