Il partito dei vescovi
Debutta un “movimento” di cattolici che va oltre destra e sinistra. Ma come la mettiamo con il clericalismo?
Roma. L’unità politica dei cattolici italiana è un’esperienza “irripetibile”, ha detto più volte nel corso degli anni il cardinale Camillo Ruini, che di chiesa italiana e politica – almeno dalla svolta di Loreto del 1985 in poi – se ne intende come pochi altri. Eppure c’è chi vuole sfidare il dogma dell’ex presidente della Cei, tentando l’avventura dove tutti hanno fallito dopo la fine della Prima Repubblica. “Nell’anno del centenario del famosissimo appello di Luigi Sturzo ‘Ai liberi e forti’ che fu l’atto di nascita del Partito popolare italiano e della prima forma di partecipazione organica dei cattolici alla vita politica della nuova nazione italiana, vogliamo costituire un nuovo partito”, ha detto mons. Gastone Simoni, vescovo emerito di Prato, domenica a Repubblica.
Non sarà un partito, ma è qualcosa che gli va molto vicino, apprende il Foglio. Dopotutto, l’attualità politica recente insegna che anche altre forme – i movimenti, tanto per cominciare – possono avere successo. La base di partenza sono le dichiarazioni degli ultimi mesi del cardinale segretario di stato Pietro Parolin, del prefetto della congregazione per le Cause dei santi, il cardinale Giovanni Angelo Becciu, e del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti. Interventi tutti orientati ad auspicare un rinnovato contributo dei cattolici alla società e alla politica (quella con la “P” maiuscola come dice il Papa, certo, ma anche quella quotidiana meno alta e nobile). Solo pochi giorni fa, d’altra parte, Parolin ha ripetuto che anche il Pontefice avverte “l’urgenza di una nuova stagione del loro impegno sociale e politico che, senza annullare le legittime differenze, si inalvei in percorsi unitari di orientamenti e propositi, sottraendo la presenza cattolica nella società alla tentazione dell’indifferenza e al rischio dell’irrilevanza”.
L’invito è a portare un contributo “autonomo e creativo” che parta dal basso. La casa comune c’è già, si chiama “Insieme”, è già presente in varie parti d’Italia ed è pronta a scendere in campo ovunque; un’aggregazione che dia risposte – si dice – ai milioni di cattolici che alle politiche del 4 marzo sono rimasti a casa. Ecco perché, più che partito “dei” cattolici si pensa a un qualcosa fatto “di” cattolici.
Il programma c’è già e tocca tutte quelle istanze – dal lavoro all’impresa, dalla scuola alla famiglia – da tempo sottorappresentate. L’obiettivo è sì di mettere assieme quei cattolici che non si sentono rappresentati né dal centrodestra né dal centrosinistra, ma soprattutto di superare la divisione “tra i cattolici del sociale” e quelli “della morale”. Le tempistiche del lancio del movimento benedetto da vescovi e Vaticano, sono quelle della chiesa più che quelle degli uomini: Insieme non vivrà di scadenze elettorali, ma intanto inizierà a seminare a livello locale già a partire dalle amministrative della prossima primavera.
L’obiezione è scontata: come si può pensare di dar vita a un contenitore cattolico quando tutti gli esperimenti condotti negli ultimi anni per far resuscitare la Democrazia cristiana sono finiti in modo misero? Ecco il punto: non si vogliono ripetere “vecchie esperienze”, ma si cerca qualcosa di nuovo, perché è nuovo il quadro politico. Anche se poi il riferimento è a Sturzo, che proprio nuovo e creativo non è. Tutto questo, poi – un partito o movimento di cattolici benedetto da Cei e Vaticano come si concilia con la lotta papale al clericalismo imperante?