Legnini e l'alleanza progressista e liberale oltre il Pd. Laboratorio Abruzzo
Le manovre dei partiti in vista delle Regionali. L'ex vicepresidente del Csm potrebbe scendere in campo. Ma solo alla guida di una coalizione ampia che superi appartenenze e steccati di partito
Roma. Quel che è certo, nella confusione che ancora confonde i confini degli schieramenti e gli esiti delle trattative, è che in tanti guarderanno alla sfida abruzzese come a una prova generale di quel che potrebbe accadere nel campo del centrosinistra. E non è per caso, infatti, che in tanti parlino di un “esperimento”, un “laboratorio”. Espressione usata in questi giorni di colloqui più o meno riservati anche dal protagonista principale di questo negoziato, e cioè Giovanni Legnini.
All’ex vicepresidente del Csm, chietino d’origine, la richiesta di candidarsi sotto le insegne del Pd è stata fatta più volte, e in maniera perfino pressante, nelle scorse settimane. E lui, ai dirigenti democratici locali, ha sempre spiegato che no, il candidato governatore del Pd, alle regionali del 2019, non ha alcuna intenzione di farlo. Con la sua storia di uomo delle istituzioni, dopo quattro anni trascorsi al vertice dell’organo di autogoverno della magistratura, a indossare una casacca di partito ora non ci sta. E però, non lo ha nascosto, una sfida elettorale non la ripudia a priori: “Se mi candido è per amore dell’Abruzzo”, ha dichiarato due giorni fa a Pescara, alla presentazione dell’ultimo libro di Paolo Gentiloni. Una frase che è suonata sibillina solo in parte. Perché le condizioni poste da Legnini appaiono in fondo chiare: una coalizione ampia, che vada oltre le appartenenze e gli steccati di partito, e che dia corpo e voce a una alleanza tra progressisti e liberali. E’ in questi termini, d’altronde, che il cinquantanovenne giurista chietino, già sottosegretario alla presidenza del consiglio col governo di Enrico Letta, ha formulato il suo progetto anche a Giovanni Lolli, governatore ad interim e volto storico del Pd abruzzese, che non ha di certo espresso contrarietà all’idea. La strategia prevederebbe, com’è ovvio, una lista del presidente molto ben strutturata sul territorio, inevitabilmente personalizzata, e un coinvolgimento dell’associazionismo civico locale. E non che il Pd non possa partecipare, anzi: ma ovviamente dovrebbe giocare un ruolo marginale, magari anche rinunciando al simbolo. Scelta non indolore, per militanti e iscritti, ma forse necessaria dopo l’epilogo dell’esperienza di Luciano D’Alfonso, dimessosi al termine di un’attesa non breve dopo avere ottenuto uno scranno al Senato.
E però laddove si realizzasse, il disegno di Legnini potrebbe costituire il primo esperimento di quel centrosinistra – progressista e liberale, appunto – in grado di andare oltre il Pd. Un progetto per nulla lontano da quello in vario modo ipotizzato non solo da Gentiloni, ma anche dal candidato alla segreteria democratica che l’ex premier sostiene, ovvero Nicola Zingaretti.
Ci vorrà tempo, perché il tutto si definisca. E d’altronde nel centrosinistra non hanno alcuna fretta: se non altro, per non offrire un vantaggio agli avversari, dal momento che anche dall’altra parte della barricata la confusione regna sovrana. Il patto siglato a fine settembre tra Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi vorrebbe che ad esprimere il candidato governatore abruzzese fosse FdI: che però, banalmente, non ha nomi spendibili. Si era inizialmente pensato a Pierluigi Biondi, sindaco dell’Aquila da poco più di due anni, che alla fine è stato costretto a rinunciare. Ne è seguita una discreta confusione dalla quale, proprio nelle scorse ore, è saltato fuori il nome di Marco Marsilio, che è coordinatore di FdI in Lazio e che anche per questo viene percepito un po’ come un corpo estraneo dall’intero centrodestra abruzzese. E forse anche per questo Fabrizio Di Stefano, dopo essersi vista negare la ricandidatura in Parlamento da Forza Italia, ha lanciato da tempo la sua candidatura indipendente, puntando anche sul malcontento della Lega che in Abruzzo sperava, e spera tutt’ora, in un ruolo da protagonista. Gli unici già pronti sembrano i grillini: i quali, dopo aver convocato, annullato, rinviato e riconvocato le regionarie online, hanno infine designato Sara Marcozzi quale candidata. Con poche possibilità di vittoria, in ogni caso. Specie se, come non è da escludere, alla fine si dovesse posticipare il voto, previsto al momento a febbraio, per celebrare l’election day a maggio, come avverrà del resto anche in Basilicata. L’incertezza, insomma, sembra destinata a durare ancora: e nessuno sa dire a chi faccia più male.