Liberali per Salvini e progressisti per Di Maio
Il comico bovarismo degli innamorati di una folle idea: che quei due siano il futuro
Ne ha uccisi più il wishful thinking della guerra. La capacità della mente umana di accomodare i fatti ai desideri è virtualmente inesauribile, come dimostra il caso di Paul Rassinier, comunista, torturato dalla Gestapo, deportato a Buchenwald, che divenne tuttavia il battistrada dei negazionisti. Poiché le leggi della dialettica marxista non riuscivano a spiegare i campi di sterminio, i campi di sterminio non erano mai esistiti. “Pazzo d’ideologia, non amava certo i suoi carnefici, ma la propria visione del mondo”, scrisse Alain Finkielkraut in L’avenir d’une négation, contrastando l’idea comune che il suo fosse un caso di sindrome di Stoccolma. Vedete bene che non c’è freno alla potenza dell’autoinganno ideologico, e che al cospetto di questo caso limite sbiadiscono gli esempi più ordinari che abbiamo sotto gli occhi: schiere di politici, intellettuali e commentatori che per sopprimere la “dissonanza cognitiva” e farsi andar giù almeno metà del governo gialloverde stanno facendo alla propria mente più o meno quel che il Canaro della Magliana fece alla sua vittima, in particolare lo shampoo al cervello. Sono i liberali per Salvini e i progressisti per Di Maio – due casi di studio di bovarismo ideologico, se per bovarismo intendiamo non già, astrattamente, l’intossicarsi di trame romanzesche, quanto il bisogno che ha la disperata Emma di fingere che un dongiovanni come Rodolphe sia tutt’altro uomo da quel che appare.
Di che si alimentano queste illusioni? I liberali innamorati di Rodolphe-Salvini tentano di ravvivare con il mantice della retorica l’antica fiamma del 1994: rivedono in lui l’outsider inviso alle burocrazie e alle solite cerchie, il burbero schietto che rompe il cerimoniale della correttezza politica, il becchino dell’egemonia cattocomunista, il paladino delle partite Iva e del ceto produttivo stanco delle tasse, il tribuno democratico che capisce quel popolo che la sinistra salottiera disprezza. Solita roba. Peccato che sia una gigantesca allucinazione di gruppo, una Fata Morgana prodotta dalle rifrazioni di mille specchietti retrovisori. Un partito dell’estrema destra europea è per incanto trasformato in un partito liberalconservatore di massa. Il wishful thinking opera fervidamente per cancellare o minimizzare tutto quel che non rientra nel quadro, ossia quasi tutto: il razzismo sbandierato, le balordaggini sulla sostituzione etnica, l’ossessione paranoide per Soros, l’italianissima fantasia di creare ricchezza con la contabilità creativa e i torchi di zecca, la politica estera slavofila sancita da patti controfirmati, la libidine di forca, l’idea di una convivenza civile sorvegliata dal manganello e dall’aspersorio – due strumenti che ai liberali non piacevano granché, un tempo. Ma i nostri liberali per Salvini giocano a credere che siano tutte inezie, pretesti, allarmismi di chi è a corto di argomenti. Troppo forte è il desiderio che il loro Rodolphe, il capo più illiberale che la repubblica ricordi, sia conforme all’immagine che se ne sono foggiati.
Più tenace ancora, e più infelice, è l’amore bovaristico di tanti progressisti per il M5s. Un amore refrattario da anni a tutte le smentite, e che a ogni delusione nuova si sente inspiegabilmente tradito; non però fino al punto di riconoscere, una buona volta, che quelle delusioni sono la giusta nemesi di altrettante illusioni. Se i liberali sono incappati in un maldestro scambio di persona, e ora si ritrovano a baciare con trasporto uno che sta a destra di Almirante, i progressisti obnubilati rimproverano al loro amante di non essere più quello di una volta, e lo richiamano a un idillio delle origini che è esistito solo nei loro sogni tardo-berlingueriani. Il marketing di Casaleggio – non meno cinico di Rodolphe, che modellava sulle aspettative dell’amante le sue lettere di simulata passione – è riuscito a farli incapricciare di un movimento eversivo nei fini e squadrista nei metodi, e oggi per tenere avvinti gli innamorati delusi basta poco: una furtiva occhiata d’intesa del nuovo damerino, Roberto Fico, il prodotto con cui la strategia di segmentazione e targeting della ditta ha pensato di coprire quella fascia di elettorato. Seguiranno altre lacrime, altri struggimenti.
Preso in mezzo ai bovarismi incrociati, il governo funziona un po’ come la duck-rabbit illusion, quell’immagine ambigua in cui si può vedere la testa di un’anatra (rivolta a sinistra) o di un coniglio (rivolto a destra). E così, gli uni possono credere che se Salvini non svela la sua natura liberale è per colpa dell’alleanza con Di Maio, gli altri che il M5s non vira a sinistra perché lo hanno buttato tra le braccia della Lega. Non chiamiamolo gialloverde: è il governo anatra-coniglio.