Al governo il gilet o è giallo o è verde
Imprese e governo: che vuol dire essere garanti del partito della crescita? La svolta moderata di Salvini resterà solo un tragico bluff se la Lega non infilerà nell’inceneritore il contratto con il M5s. Contro la truffa dei gilet all’italiana
Il gilet o è giallo o è verde. Matteo Salvini ieri pomeriggio ha continuato il suo mini road show tra gli imprenditori e dopo aver ricevuto al Viminale le dodici associazioni di categoria che la scorsa settimana avevano mostrato a Torino il proprio dissenso nei confronti della legge di Stabilità ha fatto visita a Milano ai vertici di Assolombarda e ha promesso massima disponibilità a portare all’attenzione di Luigi Di Maio e di Giuseppe Conte nuove proposte per migliorare la manovra. Si potrebbe ironizzare sulla pazza anomalia di un ministro dell’Interno che sceglie di ricevere i rappresentanti delle imprese al Viminale. Si potrebbe ironizzare sulla pazza anomalia di un vicepremier che mobilita in piazza il suo popolo con un lessico da opposizione pur essendo uno degli azionisti forti del governo. Si potrebbe ironizzare sulla pazza anomalia di un ministro dell’Interno che, piuttosto che stare con fermezza dalla parte della polizia francese, sceglie di usare con disinvoltura l’hashtag #giletsjaunes per creare un filo diretto tra le rivolte anti macroniane di Francia e il governo anti renziano d’Italia. Si potrebbe dire tutto questo e molto altro. Ma dimentichiamoci per un attimo le folli contraddizioni, le parole fuori posto, la spregiudicatezza comunicativa, l’impresentabilità dei sovranisti, e proviamo a prendere sul serio il tema della presunta svolta moderata di cui, grazie al dialogo con gli imprenditori, sarebbe protagonista Matteo Salvini. Non c’è dubbio che tra Di Maio e Salvini, anche per radicamento territoriale, il leader più indicato a trovare un punto di contatto con gli imprenditori sia in prospettiva più il secondo che il primo. Ma la verità è che il leader della Lega per poter diventare un giorno garante degli interessi produttivi del paese avrebbe la necessità di prendere il contratto di governo firmato con il Movimento 5 stelle e di infilarlo nell’inceneritore della politica.
Non c’è possibilità di essere dalla stessa parte del partito del pil se si sceglie di mettere a rischio il futuro dei conti pubblici giocando con le pensioni. Non c’è possibilità di essere dalla stessa parte del partito del pil se si sceglie di mettere a rischio il futuro delle opere pubbliche non combattendo con tutti i mezzi a disposizione l’ideologia del No. Non c’è possibilità di essere dalla stessa parte del partito del pil se si sceglie di mettere a rischio l’affidabilità dell’Italia disinteressandosi al debito di uno dei paesi più indebitati del mondo. Non c’è possibilità di essere dalla stessa parte del partito del pil se si sceglie di non rassicurare gli investitori sulle proprie intenzioni rispetto al futuro della moneta unica. Non c’è possibilità di essere dalla stessa parte del partito del pil se si sceglie di usare come unico collante del governo la distruzione delle riforme che negli ultimi sette anni hanno ridato credibilità all’Italia. Non c’è possibilità di essere dalla stessa parte del partito del pil se si sceglie di non correggere le riforme sul lavoro che hanno trasformato la lotta contro la precarietà in una lotta contro l’occupazione.
Matteo Salvini, uscendo dagli uffici di Assolombarda, ieri ha ringraziato “gli imprenditori i professionisti, gli artigiani e i commercianti che eroicamente hanno resistito in questi anni di burocrazia folle e concorrenza sleale di molti paesi stranieri”. Ma ciò che il leader della Lega non può dire – e che però sa bene che ogni imprenditore iscritto al partito del pil e non al partito dei pirl – è che l’unico modo che ha il ministro dell’Interno per essere credibile nella sua svolta moderata è quello di far tesoro delle parole delle imprese non per cambiare la manovra ma per cambiare il governo andando presto alle elezioni. Non c’è svolta possibile, e fino a oggi non si vede, senza la presa d’atto dell’incompatibilità con la realtà del contratto di governo populista. E il nuovo possibile e trucissimo re d’Italia per sfruttare la crisi nera dell’opposizione e provare a essere il garante del partito della crescita dovrebbe far tesoro di una frase sincera offerta ieri da Luigi Di Maio ai giornalisti. “Il volantino dei gilet gialli è la nostra legge di bilancio”.
Per una volta Di Maio ha ragione e chissà che per Salvini le vacanze di Natale non diventino l’occasione per rendersi conto di un fatto elementare: per essere i gilet verdi della Lega compatibili con il partito della crescita hanno il dovere di fare di tutto per lasciare fuori dal governo i gilet gialli del grillismo. La ricreazione è finita e chi governa da papà prima ancora che da politico dovrebbe aver capito che per il futuro dei nostri figli è ora di cambiare gilet e di mettere fine a questa sceneggiata.