Idee e sondaggi. Quanto possono valere i partiti di Renzi e Calenda
Minimo 5, massimo 18. Cosa serve per un nuovo contenitore? Parlano Ghisleri, D’Alimonte, Piepoli e Diamanti
Roma. Matteo Renzi non torna indietro. Il Pd è il passato, il futuro attende. Il nome non c’è ancora, e nessuno conosce il potenziale di una “cosa renziana”, insomma del PdR, nell’era post-ideologica. “L’ipotetico partito di Renzi – dichiara al Foglio Alessandra Ghisleri, la signora di Euromedia – suscita interesse in un bacino d’utenza intorno al 6,6 percento. Il dato rileva una mera manifestazione d’interesse. Se il soggetto venisse pubblicizzato adeguatamente, potrebbe salire al 12-14 percento. In caso di elezioni, in presenza di una scheda elettorale con i simboli di Pd e PdR, l’intenzione di voto cala tra il 4 e il 6. Tuttavia è fantapolitica perché non c’è una campagna elettorale e Renzi, ufficialmente, smentisce”.
Su che cosa dovrebbe puntare l’ex premier? “Lui ha carisma, adesso gli servono contenuti in grado di produrre un effetto trascinamento sull’opinione pubblica. La comunicazione è fondamentale: Matteo Salvini si rivolge alle persone prestando attenzione al destino dei singoli. ‘Mi ha scritto la signora Giuseppina, ho incontrato il signor Giovanni…”. Il leader leghista non si fa percepire come un eletto, mangia come chiunque, si sente uno di tutti. Renzi è più elitario, si rivolge agli addetti ai lavori: anche se dice ‘non parlate di me’ poi parla continuamente di sé. Se il vicepremier ha il problema di inanellare troppe promesse con il rischio di sovraesposizione, Renzi ha l’esigenza di tornare a parlare alla gente, come sapeva fare durante le due campagne per le primarie Pd. Ora, anche quando compare in foto tra persone comuni, spicca per diversità”.
Silvio Berlusconi appariva forse come uno del popolo? “Il Cavaliere innescava il desiderio di emulazione, Salvini punta sul mandato diretto, perciò chiede di trattare con l’Europa in nome e per conto di 60 milioni di italiani. Renzi ha incarnato la rivoluzione pura, il capovolgimento totale, ma oggi la rottamazione non è in cima alle priorità degli italiani”. Quali sono i temi vincenti? “La prima questione è il lavoro cui si aggiunge una crescente attenzione per welfare e sanità. In Italia la percentuale di over cinquantacinquenni è in aumento, siamo il paese più anziano del mondo dopo il Giappone”. Quali consigli darebbe a Renzi? “Deve costruirsi una rete territoriale per intercettare persone e interessi concreti. La Lega obbliga i suoi a organizzare banchetti territoriali, punti di contatto, secondo una modalità da Prima repubblica”.
La cosa renziana andrebbe testata alle europee? “Serve intelligenza per individuare il momento giusto. Le europee non mi sembrano l’appuntamento azzeccato: il Pd senza di lui è destinato a calare ancora. In caso di vittoria di Nicola Zingaretti, esso diventerà un partito identitario di sinistra al quale la cosa renziana, pur in assenza di una campagna elettorale, sottrae cinque punti percentuali”. Esiste l’ipotesi di un fronte repubblicano guidato da Carlo Calenda. “L’ex ministro gode di un indice di fiducia superiore a quello di Renzi dal punto di vista professionale, non politico. Sul piano della leadership Renzi lo supera. Calenda è percepito come un tecnico europeo capace, un uomo d’élite. Per costruire un partito dovrebbe pensare a un tandem, da solo non funziona”.
Roberto D’Alimonte, professore di Scienza politica alla Luiss Guido Carli di Roma, resuscita la tragedia amletica shakespeariana: “Avendo deciso di non abbandonare la politica, Renzi si domanda se uscire o meno dal Pd. Nell’incertezza, attendere mi sembra l’atteggiamento più saggio. Se resta dentro, gli toccherà il ruolo di opposizione interna, come hanno fatto i D’Alema e i Bersani nei suoi confronti. Oppure sceglierà di restare in silenzio per dedicarsi a una serie di documentari sulle bellezze d’Italia”. Fuori dal Pd l’alternativa si chiama PdR. “È un’operazione innovativa se riesce ad allargare l’elettorato. Secondo un recente sondaggio dell’istituto demoscopico veneto Winpoll, il PdR varrebbe il 9,4 percento contro l’11,8 del Pd senza Renzi. Tra tutti gli elettori la propensione a votarlo è bassina: solo il 21 percento. Tra i soli elettori del Pd sale al 43, il che vuol dire che si compirebbe una sostanziale redistribuzione tra la vecchia casa e il nuovo movimento. Dentro il bacino di Forza Italia gli elettori che voterebbero il PdR si fermano al 19 percento. Bisogna fare i conti con la realtà: un 43enne di indubbio talento politico non è ancora riuscito a scrollarsi di dosso un sentimento negativo. Renzi è più popolare dentro il Pd che fuori”.
Ve la ricordate la rottamazione?
Sembra ieri quando dalle colonne di Repubblica l’allora sindaco di Firenze lanciava l’idea della rottamazione. “Oggi il consenso si conquista e si perde in un attimo. Non si richiede più la competenza, prevale il desiderio di empatia”. Che profilo avrebbe il PdR? “Quello di un partito riformista, come le politiche del suo governo. Io gli consiglierei di lasciar passare le europee, nel giro di pochi mesi lo scenario potrebbe mutare: in caso di recessione o crisi finanziaria, per esempio, un contesto di sfascio potrebbe offrirgli opportunità inattese. La riforma della pubblica amministrazione o della scuola non ti portano voti, tasse e immigrazione sì. Su questi temi la Lega ha costruito la sua fortuna”.
Oggi il principale carnefice del M5S è proprio la Lega. “Salvini sta erodendo il consenso grillino soprattutto al sud. Lui è uno e trino: segretario della Lega nord, leader del soggetto politico che si è presentato alle elezioni del 4 marzo, e poi capo indiscusso della Lega per Salvini premier. Indossa tre cappelli. Anziché convocare il congresso della Lega nord per scioglierla in un unico nuovo soggetto, Salvini preferisce mantenere le tre entità distinte utilizzando la terza come bacino di voti clientelari e post democristiani nel meridione. Se nei sondaggi la Lega è al 32 per cento, ciò vuol dire che al sud è passata dall’8 percento del 4 marzo ad almeno il 15. Il M5S, che al sud aveva una media del 43, oggi è sotto il 40. Questi flussi spiegano il nervosismo di Luigi Di Maio e la sua insistenza sul reddito di cittadinanza”.
Per Nicola Piepoli, presidente dell’omonimo istituto, “il partito di Renzi suscita un interesse intorno al cinque per cento con possibilità di conquistare un bacino di voti intorno al 18. Se dovessi dargli un suggerimento, gli direi di comportarsi come Zingaretti: in certi casi il miglior modo per vincere è non fare la guerra. Il popolo che ha vinto la Seconda guerra mondiale è quello elvetico: la Svizzera è il paese con il reddito pro capite più alto, ad eccezione di qualche isola felice”. Quali chance per Calenda? “Le cifre sull’interesse non si discostano sensibilmente, la differenza riguarda il voto potenziale perché la storia di Renzi gli assegna un vantaggio comparato. L’ex premier vanta un enorme background con cui non è facile competere. Per il resto, al giorno d’oggi, chiunque di nuovo sia percepito come un galantuomo o una gentil donna può contare su praterie sterminate di voto potenziale”.
Per Giovanni Diamanti, cofondatore di YouTrend e della società di sondaggi Quorum, “la fiducia verso Renzi è calata ai minimi storici del 20 per cento. Secondo le nostre rilevazioni, se si fosse candidato alle primarie Pd, avrebbe perso. Tuttavia, se l’obiettivo è costruire un nuovo contenitore privo di ambizioni maggioritarie, l’ex premier resta il numero uno, nel centrosinistra è, in assoluto, il leader più capace di mobilitare ed entusiasmare. Una cosa renziana può sottrarre al Pd fino a un terzo del suo elettorato, dunque cinque o sei punti percentuali, ai quali si sommerebbero i voti in uscita da Forza Italia e dalla galassia Più Europa. In totale una forza renziana potrebbe superare il dieci”. Al voto europeista punta anche Calenda. “Dubito che abbia molte chance. Calenda parla a un mondo sovrapponibile a quello di Più Europa, un movimento destinato a non sfondare il tre”.