La pericolosa acrobazia del Truce
Di Maio, Cav., Zaia, le imprese. Salvini sta con tutti. Ma ha un guaio
Roma. A Luigi Di Maio dice che “il governo durerà cinque anni”, poi accarezza Silvio Berlusconi, manifestandogli una deferenza epidermica e disinvolta, “un grande uomo d’impresa e di governo con il quale governiamo tante regioni e comuni”, e infine promette a Luca Zaia che “presto il Veneto avrà l’autonomia” e “ascoltiamo le esigenze delle imprese”. E così è un’ambiguità acrobatica a governare i suoi rapporti, è un complicato, faticoso, romanzesco equilibrio quello con il quale Matteo Salvini tiene insieme tutto, anche l’inconciliabile: il governo con i Cinque stelle e l’alleanza con il centrodestra, l’onestà contundente e il Caimano nel cassetto, il reddito di cittadinanza e la mistica dei capannoni industriali del nord, l’inquietudine della Lega veneta e lombarda gonfia di preoccupazione per la politica economica lasciata in mano agli squinternati grillini.
A ciascuno Salvini offre una mezza sicurezza, in un incrocio stordente, sempre sul ciglio della rottura, sempre sottoposto al rischio di qualche agghiacciante equivoco: appena si accorge infatti di aver tirato troppo da una parte, allora il ministro dell’Interno corre a rassettare dall’altra. Quanta energia. Quindi mentre lascia Di Maio a galleggiare nel brodo amletico sulla Tav e sulle grandi opere, subito incontra al Viminale la Confindustria e gli imprenditori, e a ciascuno lascia l’impressione che in fondo c’è da fidarsi, perché è agli altri che in realtà lui sta un po’ mentendo. E infatti non appena è stato avvertito, nei giorni scorsi, che il presidente del Veneto, l’abilissimo e preoccupatissimo Luca Zaia, stava pensando a una lista venetista per le europee (un flagello), Salvini ha corretto sintassi e grammatica, ha favorito l’accordo con la Commissione europea, ha scatenato i leghisti al ministero dei Trasporti (sulla Tav e sulla pedemontana), e dal palco romano di piazza del Popolo ha usato parole da uomo di stato e non di barricate, esprimendosi da produttivista e non da collettivista, misurato e affidabile.
Ma il gioco si fa sempre più difficile, sempre più teso, i sondaggi vanno alla grande ma sono sondaggi, evanescenze, mentre la flessione del pil, la crisi, la recessione e i nitriti d’apocalisse che precipitano dal Veneto, dalla Lombardia e dal Piemonte sono di una concretezza struggente: i sindaci di Verona, Vicenza, Rovigo… Fino a quando riuscirà, l’abilissimo funambolo, a tenersi in equilibrio? Fino a che punto riuscirà ad arrivare Salvini, senza cadere giù o senza scegliere? Di Maio sembra fidarsi di lui, forse per disperazione. Ma anche Zaia, e persino Berlusconi, sembrano fidarsi – forse per disperazione – loro che però attendono il capo della Lega sulla sponda opposta a quella del Movimento cinque stelle. “Il governo cade. Lo facciamo cadere. Vedrete”, dice Berlusconi, non da oggi, certo, ma con sempre maggiore convinzione, mentre in Senato si preparano lievi ma significativi smottamenti nel gruppo parlamentare grillino.
E d’altra parte il Parlamento è diventato una terra di avventure, lo sconfinato oceano da cui sorgono le bufere e i miraggi, i cambi di casacca, le fantasie di tradimento, le ipotesi di ribaltone, gli scenari più fantasiosi eppure (nella confusione) anche sempre meno inverosimili. Berlusconi crede di poter rovesciare il governo, scansare le elezioni anticipate e costituire una nuova maggioranza di centrodestra con Salvini, Giorgia Meloni e un congruo numero di parlamentari eletti con il M5s. Dice infatti ai suoi deputati e senatori: “Adottate un grillino”.
E il capo della Lega? Lo lascia fare, ma senza esporsi, senza sbilanciarsi, attento a non perdere l’equilibrio – appunto – in questa sua camminata sulla corda. Il Cavaliere pensa di aver ricevuto un via libera da Salvini. Ed è vero. Ma anche no. “Salvini lascia che Berlusconi gli faccia il lavoro sporco, lo liberi da Di Maio. Ma poi non è detto che le cose vadano come vuole il Cavaliere. Si sfasciasse la maggioranza, Salvini davvero eviterebbe le elezioni, o piuttosto cercherebbe di incassare tutto con il voto?”, dice Gianfranco Rotondi, che ha avvertito Berlusconi, lo ha consigliato di non fidarsi e di lavorare subito, invece, alla costruzione di un nuovo ampio fronte antipopulista. Anche contro la Lega. E si capisce che tutti avanzano bendati: Berlusconi, la Lega di Zaia, l’imprenditoria del nord, persino il povero Di Maio che in sei mesi ha bruciato dieci punti nei sondaggi. Tutti appesi allo stato di fluida ambiguità e di felice incertezza che caratterizza il passo del gran funambolo in felpa, un po’ Truce e un po’ Sfinge.