Il manifesto di Martina

David Allegranti

“Lega e M5s sono facce dello stesso problema e vanno sconfitti entrambi”, ci dice il candidato alla guida del Pd

Roma. Il rischio che diventi un congresso per decidere se allearsi con il M5s o no, dice Maurizio Martina al Foglio, va assolutamente evitato. “Non deve essere così. Questo deve essere un congresso di ripartenza, per rimettere a fuoco il progetto del Pd; un congresso che delinei i tratti fondamentali della battaglia che dobbiamo fare verso Lega e Cinque stelle, rispetto ai quali dobbiamo essere alternativi”, scandisce Martina. Insomma, Lega e Cinque stelle pari sono? “Sono due facce della stessa medaglia e vanno entrambi sconfitti. Altro discorso però è sanare una rottura che c’è stata tra noi e tanti elettori che il 4 marzo non hanno votato il Pd e non hanno scelto il centrosinistra. Ma noi siamo, lo ripeto, chiaramente alternativi sia alla Lega sia ai Cinque stelle”. D’altronde dal punto di vista delle scelte fatte in questi mesi, dice Martina, “Sono due facce dello stesso problema, che va superato. Se osservo i comportamenti dei Cinque stelle sui peggiori provvedimenti imposti da Salvini, non trovo nessuna autonomia, nessun margine di iniziativa. Se penso alle posizioni dei Cinque stelle sulle riforme istituzionali, sul parlamento e la democrazia rappresentativa, per non parlare dei temi della giustizia, vedo un pezzo del problema italiano, non della soluzione”. Gli elettori però vanno riconquistati, anche perché “il 4 marzo hanno dato credito a quelle proposte, leghiste e grilline, e oggi si sentono completamente traditi”. Prendiamo, dice il candidato alla segreteria del Pd, “l’ultima giravolta del governo e di Conte sulla manovra: siamo di fronte al fallimento totale della loro strategia condotta fin qui. Il balcone di Palazzo Chigi si è frantumato e il governo ha dovuto rinunciare alle sue bandiere; nei fatti stiamo parlando di una rinuncia al reddito di cittadinanza e a quota 100. Insomma, un ridimensionamento che va oltre ogni aspettativa. E’ come se avessero rimesso il dentifricio nel tubetto”. 

 

Peraltro, ironizza Martina, “dicono di essere sovranisti, ‘padroni a casa nostra’, ma hanno fatto riscrivere la manovra a Bruxelles come mai era accaduto prima”. C’è chi è soddisfatto dell’esito della trattativa, “ma a me sembra di ascoltare la voce di qualche conservatore inglese che, in gran difficoltà per quanto accaduto con Brexit, prova a spiegare che ha vinto, anche se non è così. Allo stesso modo fanno i nazional-populisti, che provano a gestire la disfatta della loro strategia”. A sentire Martina, poi, pare che le differenze fra lui e Nicola Zingaretti non manchino: “Io voglio cercare di rilanciare il progetto radicale e riformista del Pd, ma penso che questo lavoro non si faccia attraverso una discussione in termini puramente politicisti sulle alleanze. La discussione va allargata, va fatta con la società, con i corpi intermedi, con le associazioni, con i cittadini. Solo in questo modo il Pd può rilanciare la sua vocazione a essere in tutto e per tutto alternativo a questa destra pericolosa. Io mi candido a fare solo il segretario, perché fare il segretario richiede una dedizione totale, sette giorni su sette, ventiquattrore su ventiquattro, senza altri incarichi. Mi candido anche a rompere i vecchi schemi. Dobbiamo uscire dal dibattito autoreferenziale tra renziani e antirenziani, che secondo me è insufficienti rispetto al lavoro da fare fuori, nella società”. Quindi, dice Martina, “non possiamo fare un congresso-referendum, anche perché i protagonisti sono differenti e Renzi non c’è. Mi candido perché in questi mesi ho visto le fatiche del Pd e i suoi limiti e penso di sapere dove mettere le mani per ricostruire un’idea di partito organizzato, plurale e capace di sperimentare vie nuove di partecipazione”.

 

C’è però un altro rischio, e cioè che il Pd finisca per dalemizzarsi. Come evitarlo? “Dobbiamo rimanere distanti da una discussione che anima magari qualche nostra battuta e qualche tono polemico, e concentrarci sulla sfida del progetto che abbiamo davanti. Non credo che il centrosinistra possa trovare una via di rilancio e di prospettiva se riparte con la logica degli accordi di vertice. Io voglio lavorare nella società, in profondità, per scovare nuove energie e nuovi interlocutori che ancora non ci riconoscono come tali”. Ovvero? “Penso agli artigiani del Nord e ai ceti produttivi delle mie terre, che vivono la contraddizione di aver sostenuto un partito come la Lega, che oggi compromette lo sviluppo di cui invece a parole si era fatto difensore e promotore. Voglio tornare a Napoli, dove sono stato lunedì, per vedere il lavoro di associazioni che tutti i giorni operano in alcune realtà difficili e che devono potersi riconoscere nel Pd. Insomma, voglio fare questo lavoro e stare lontano anni luce da un dibattito sulle simpatie e le antipatie di questo o quel personaggio. So che il Pd deve cambiare, in centro come in periferia, e questo lavoro non si fa con nuove edizioni delle vecchie ditte. Io non rinnego quella storia, anzi: fa parte della mia esperienza di vita e per me è stata un’occasione per crescere. Pur rivendicando le mie radici, però, aggiungo che non ho nessuna nostalgia per il passato. Dobbiamo cercare risposte nuove in mare aperto”. Con Tommaso Nannicini, dice Martina, “abbiamo deciso di giocare la nostra sfida congressuale partendo dalla parola ‘redistribuzione’, adeguandola al 21esimo secolo. Oggi essere una sinistra radicale, moderna e riformista significa sfidare chi propone condoni fiscali offrendo una nuova idea della fiscalità al servizio delle uguaglianze. Serve una tassazione per le multinazionali che vendono in questo paese, senza aspettare fantomatici accordi internazionali che non arrivano mai. Le grandi multinazionali che vendono in Italia devono pagare le tasse proprio come un piccolo-medio imprenditore italiano. Dobbiamo abbattere il costo del lavoro a tempo indeterminato, facendo leva sulla stabilità del lavoro per renderla più conveniente. Dobbiamo superare il contante, dandoci un anno di tempo per realizzare quest’obiettivo”.

 

Per dichiarare guerra alle disuguaglianze e promuovere una certa idea di sviluppo, sfidando così Lega e Cinque stelle, il Pd da solo non basta, dice Martina. “Non ho mai avuto un’idea solitaria del Pd”. Le alleanze vanno sì ricostruite, “ma per me vengono prima le alleanze sociali di quelle prodotte a tavolino. Una nuova coalizione non può nascere in laboratorio, perché non verrebbe vissuta dal paese come un’alternativa viva e reale. Per fare questo lavoro dobbiamo anzitutto ricostruire le relazioni sociali, realtà per realtà, cercando nuovi protagonisti e poi chiamare a raccolta tutte le energie che ci sono. Nella nostra mozione proponiamo che la prossima assemblea del Pd, quella che uscirà dalle primarie, avvii una fase costituente per aprire il Pd a tutte le energie che vorranno mettersi in discussione con noi e a tutti i democratici italiani che stanno fuori dal Pd”. In giro per l’Italia le forze non mancano, dice Martina. “Dalla piazza di Torino che dice sì alla Tav ai cortei di Roma sul tema fondamentale delle donne, alle tante realtà che nel Mezzogiorno iniziano ad alzare la testa rispetto alla propaganda assistenzialista del M5s. Sono tutti possibili interlocutori per un nuovo centrosinistra, alternativo a Lega e Cinque stelle”.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.