Raffaele Volpi (foto Imagoeconomica)

Il sottosegretario Volpi (Lega) ci dice perché il vecchio centrodestra non c'è più

Valerio Valentini

In Difesa del governo. Ecco perché si governa meglio con il M5s, parola di leghista

“Ero impegnato coi diplomatici americani, non ho avuto modo di controllare cosa ha scritto Di Maio”, dice, e subito sprofonda sulla sua poltrona, al piano nobile del Palazzo della Marina, mentre spegne la sigaretta in un posacenere già stracolmo di altre decine di mozziconi, e con lo sguardo invita i suoi collaboratori a provvedere. Arrivano altri due pacchetti integri, una nuova lattina di Coca Zero (“Ne bevo a quantità industriali”), e finalmente si rilassa. “Cosa ha scritto Luigi?”, domanda allora il leghista Raffaele Volpi. Si è appuntato su un pezzo di carta, spieghiamo noi, i vari supposti successi conseguiti con la legge di Bilancio, e tra i vari questo: “Taglio di mezzo miliardo di spese militari. Fatto”.

 

Ma è davvero un risultato di cui andare fieri? “Diciamo che, per il prossimo anno, questa riduzione di risorse non incide in maniera sensibile sull’effettiva operatività delle Forze armate”, dice Volpi, sottosegretario alla Difesa, pacioso e conciliante come suo solito. “Ma dall’anno prossimo andrà fatta un programmazione seria: dobbiamo chiederci che cosa sono le Forze armate, e agire di conseguenza”. E dunque, se possibile, evitare di svilirle chiedendo loro di rattoppare le buche per le strade di Roma. “Non c’è nulla di troppo nuovo nel pensare impieghi dell’esercito in scenari non bellici. Ma da qui ad affermare che le Forze armate debbano intervenire per risolvere problemi che le amministrazioni locali non sono in grado di affrontare, be’, direi che ce ne passa”.

 

Ce l’ha con Virginia Raggi? “Sa che invece ho avuto modo di conoscere la sindaca di Torino, Chiara Appendino, di recente? Persona molto misurata”. Ce l’ha con la Raggi? “Dico solo che le Forze armate sono, appunto, armate. Un governo che si richiama agli ideali del sovranismo, per quanto moderno, non può che riconoscere ai vari corpi militari un ruolo di grande importanza”. E qui il volto di Volpi si fa sornione, il suo sguardo si posa sul dvd dell’Ora più buia, tenuto in bella mostra sulla sua scrivania, a dimostrazione che, seppur dissimulato, il compiacimento per gli elogi dei suoi assistenti, che lo paragonano nientemeno che a Churchill, deve essere reale: “L’ho visto tre volte. Bellissimo”. Film di guerra. “E di politica, anche”, corregge lui. “Non sono mica un guerrafondaio, eh: dico solo che, se vogliamo tornare a giocare un ruolo da protagonisti nel Mediterraneo, dalla Libia a Cipro alla Somalia, non possiamo mettere in discussione il comparto della Difesa, che ha un’incidenza sul pil dello 0,8 per cento”.

    

“Governare senza guardarsi alle spalle”

E insomma sembra l’inizio di uno sfogo un poco amaro, una lunga rassegna di prese di distanza dalle scombiccherate teorie grilline su demilitarizzazione e pacifismo un tanto al chilo, sui loro rigurgiti di idealismo, quella di Volpi. Se non fosse che poi, quando si arriva alla domanda fatidica, lui d’improvviso si ricompone, fino quasi a contraddire le premesse del discorso: “Coi Cinque stelle? Va benissimo. C’è un rapporto ottimo, direi, lavoriamo molto bene insieme. Di Maio è una persona educata, che di questi tempi non è cosa scontata. E poi è sempre curioso. Pensate che col mio collega sottosegretario, il grillino Angelo Tofalo, mi sento cinque o sei volte al giorno, e s’è instaurato ormai un rapporto che non stento a definire di amicizia”. Un prodotto della Link Campus, Tofalo. Come pure la ministra Elisabetta Trenta. “Eh vabbè: se c’è da imparare qualcosa da Enzo Scotti – sorride Volpi, che del resto proprio nella Dc lombarda ha esordito in politica, quando Bossi e Maroni ancora non andavano in giro coi secchi di vernice per la provincia di Varese – perché no? Chissà, forse è anche per questo che andiamo d’accordo, con Tofalo. E anche col resto dei Cinque stelle”.

 

   

Ma se litigate su tutto, o quasi? “Io che ahimè non sono più giovanissimo – dice Volpi, in una lamentela di anzianità che è a ben vedere una ostentazione di esperienza – ho fatto in tempo a fare parte di una maggioranza che sosteneva il governo Berlusconi, tra il 2008 e il 2011, posso garantire che con Cinque stelle si lavora bene. Ci sono differenze di vedute, certo, ma che si appianano sempre. Guardate la vicenda degli F-35, ad esempio. Io credo sia più facile avere a che fare con delle persone che non la pensano esattamente come te, ma sono intellettualmente oneste e sono mosse da un entusiasmo sincero, piuttosto che...” l’interruzione è impercettibile, il tremore della voce camuffato alla perfezione, “...piuttosto che con persone di fronte alle quali non sai mai se stai facendo la cosa giusta, e con le quali finisci sempre a doverti guardare le spalle”.

  

E insomma quello di Volpi pare quasi un avviso preventivo a Berlusconi e ai suoi colonnelli: che se la risparmino la fatica dello scouting sui grillini insofferenti, tutto quel lavorìo di bassa diplomazia da Transatlantico, tanto al centrodestra non si torna. “Mi sembra una categoria dello spirito, ormai, uno schema frammentato non più riproponibile”, dice il sottosegretario, nel cui discorso riecheggiano le osservazioni più volte espresse da Giorgetti. E d’altronde del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Volpi è stato, e resta, uomo di estrema fiducia, sin dai tempi in cui, quando erano ai vertici della Lega lombarda, fu proprio “il Giancarlo” a chiedere “al Fox” di occuparsi di enti locali, così come più di recente gli ha chiesto di dargli una mano con le nomine di stato, ai servizi e non solo. E però anche di Matteo Salvini è consigliere particolare, Volpi: se è vero che proprio a lui il segretario chiese, ormai quattro anni fa, di pianificare lo sbarco del carroccio al Sud, e se è vero che proprio della casa di Volpi, prima di arrivare al Viminale, Salvini ha fatto a lungo la propria base romana.

 
E forse delle convinzioni dei due leader, quella di Volpi è un po’ la sintesi. “Sono mediatore di natura”, scherza. Lo dica: puntate a spaccare i Cinque stelle, a strattonare Di Maio con voi sperando che lui si porti dietro, nel ruolo di novello Alfano, una pattuglia dei suoi. “Il giudizio lo dà la gente, inutile fare troppi alambicchi. Se Pd e Forza Italia, persi nei loro congressi e nei loro tormenti interni, con vari sedicenti leader che si fanno la guerra tra loro, sono ridotti allo stato in cui sono, be’, com’è si dice qui a Roma?”. Come si dice? “Fatte ‘na domanda e datte ‘na risposta, no? Se noi e il M5s siamo gli unici partiti che non portiamo in Parlamento solo avvocati e professori, non c’è da meravigliarsi se poi siamo i soli in grado di ascoltare e comprendere gli umori della gente”. Ma la classe dirigente di un partito può essere fatta da trentenni senza alcuna esperienza? “L’esperienza la si fa sul campo: si lavora e si impara. Neppure Bossi, alle origini, era Bossi. L’importante è comunque mantenere il rapporto diretto col territorio, comprendere le ansie e le speranze della gente. E in fondo, oggi, la politica è soprattutto questo”. La politica, cioè, è tra chi è populista e chi non lo è? “Quello che voi chiamate populismo sarà l’elemento comune alla politica dei prossimi anni. E in questo nuovo scenario, si riproporranno un po’, sotto nuove forme, le contrapposizioni canoniche: noi, della Lega, come partito popolare, non populista, e il M5s come forza social-riformista”. Tertium non datur? “E mica dipende solo da noi. La situazione è tale per cui ormai siamo costretti a farci maggioranza e opposizione da soli, tutto dentro al governo. E, almeno di questo, spero non diate la colpa a noi”.

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