Viaggio (pericoloso) nei dieci mesi che sconvolsero l'Italia
Manine, ruspe, feste sul balcone e respingimenti. Cronologia ragionata del governo gialloverde: dalla genesi elettorale fino a oggi, tra tante cose dette e (non) fatte
Prologo
Partendo dalla fine, c’è il premier Giuseppe Conte che alla conferenza stampa di fine anno rivendica “la natura populista” del governo gialloverde nel senso della “riduzione della frattura tra cittadini e classe politica”. Corollari: “Non ci sono più tasse ai cittadini”, “Questo non è il governo delle lobby”, “C’è amalgama” tra i gialli e i verdi, “Noi abbiamo fatto tutto alla luce del sole, con un modus procedendi che condizionerà qualsiasi esperienza futura di governo”. Sempre partendo dalla fine, c’è il ministro dell’Interno leghista e vicepremier Matteo Salvini che dice metaforicamente grazie per la cioccolata: la Nutella che mangia nel giorno di festa, come documenta un criticatissimo post, criticatissimo vista la concomitanza temporale con l’ammazzamento del fratello di un collaboratore di giustizia a Pesaro e con il terremoto in Sicilia (il giorno dopo c’è anche il post di Salvini con l’arancino, il giorno prima c’era la foto con la pizza, e dieci giorni prima era emersa dal web quella di Salvini con la maglia da ultras, foto che con il senno del poi, dopo la morte di un tifoso negli scontri pre-partita Inter-Napoli, viene guardata con orrore dagli oppositori, tanto più che Salvini è contrario alla chiusura delle curve). E partendo dalla fine c’è naturalmente anche lui, Luigi Di Maio, l’altro vicepremier, ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico a Cinque stelle che posta liste delle “cose fatte” attraverso la manovra, descritto dagli esegeti come colui che nel 2019 dovrà vedersela, tanto per cominciare, con il gemello diverso Alessandro Di Battista, di ritorno dalle Americhe.
Antefatto
Partendo dal 5 marzo, giornata successiva alle elezioni che sconvolsero l’Italia non populista, c’è il governo gialloverde ancora di là da venire, ma leggibile in filigrana nelle mosse di avvicinamento tra M5s e Lega, anche se prima si dovrà passare da due tentativi di formazione del governo (con il centrodestra e con il centrosinistra), da una breve suggestione di governo “terzo”, da un tentativo fallito di pre-incarico al futuro premier Giuseppe Conte (non votato alle elezioni, con tanti saluti alla mistica populista del cosiddetto “premier eletto dal popolo”), e dalla convocazione dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, dopo di cui si approderà infine all’incarico vero e proprio a Conte. Il 2 marzo, intanto, ultimo giorno di campagna elettorale prima del voto politico, Di Maio si dice “a un passo dalla vittoria”, pronosticando per il M5s “la fine dell’era dell’opposizione”, e Beppe Grillo, da Piazza del Popolo, scherza sulla sopravvivenza del “Vaffa”: resterà soltanto un “vaffino”. Nessuno sa ancora che le urne consegneranno al paese (e al Quirinale) un rompicapo che terrà impegnati eletti, osservatori, consiglieri ed elettori per quasi tre mesi.
Intermezzo
Indizi di quel che accadrà poi, lungo la strada che va dal 4 marzo al 31 maggio 2018, giorno dell’incarico a Giuseppe Conte (dopo il fallimento del pre incarico).
5 marzo. “Sta per partire la terza Repubblica, ci ritroviamo al centro di questo momento storico”, dice Luigi Di Maio, futuro vicepremier, e non sarà l’ultima volta che Di Maio si esprimerà con lessico da grandeur napoleonica (vedi 13 maggio), anche se i fatti non la giustificheranno.
6 marzo. I giornali titolano sulla “partita al buio di Mattarella”, Salvini dice: “Lavoro per avere maggioranza e incarico”, Di Maio sembra dialogante con il Pd, ma si scommette già sulla “frenata”.
7 marzo. “Io ascolterò tutti”, dice Salvini. “Senza di noi non si parte”, dice Di Maio.
8 marzo. Salvini: “Al Quirinale andremo tutti uniti”.
9 marzo. Mattarella si appella “alla responsabilità”. Di Maio parla già di Def (“Sarà decisivo, vedremo subito chi ci sta”). Salvini parla di governo di scopo, “possibile solo” a partire dalla discussione sulla legge elettorale.
10 marzo. “Il governo senza di noi sarebbe un insulto alla democrazia”, dice Di Maio, mentre Salvini fa capire che le urne ravvicinate non lo spaventerebbero.
11 marzo. Non c’entra nulla, apparentemente, ma è un indizio di quello che avverrà poi nello scontro (grillino) con la realtà sulle grandi opere: Beppe Grillo, con l’intento di aiutare il sindaco di Torino Chiara Appendino, cambia linea sul “no” alle Olimpiadi, sposando la sfumatura (della serie: giusto avere dubbi, ma dobbiamo fare le cose – pur se a modo nostro).
14 marzo. Il M5s boccia il “governo di tutti” mentre dal Pd Dario Franceschini invita all’unità trasversale per le riforme. Intanto, sempre dal M5s, filtrano voci possibiliste sul vincolo dei due mandati: se si torna al voto, potrebbe saltare (altro indizio di quel che sarà: le regole interne scolpite nella pietra, una volta al governo diventano scritta sulla sabbia).
15 marzo. Salvini e Di Maio si telefonano, ufficialmente per le presidenze delle Camere, ma, si pensa, per dirsi reciprocamente un “sì” preventivo anche sul resto.
16 marzo. Sulle presidenze della Camere, si legge nei retroscena, “regge l’asse Salvini-Di Maio”.
23 marzo. Dice Di Maio: “Mai con Forza Italia”.
24 marzo. C’è l’intesa Salvini-Di Maio. Vengono eletti al Senato Maria Elisabetta Maria Alberti Casellati e alla Camera Roberto Fico.
26 marzo. Grillo elogia Salvini, ed è pur sempre un segnale.
Dal 27 marzo in avanti. Si entra nel gorgo pre-governativo: chi può fare il governo con chi? Il 18 aprile il presidente della Repubblica Sergio Mattarella affida ad Elisabetta Casellati il mandato esplorativo per di sondare la possibilità di un governo M5s-centrodestra, ma il tentativo fallisce praticamente il giorno stesso (Di Maio dice: “Solo noi e la Lega possiamo formare un governo”). Ma poi le cose sembrano complicarsi. Il 23 aprile Mattarella affida a Roberto Fico il mandato di sondare la possibilità di un governo M5s-centrosinistra. Intanto Di Maio, riferendosi ai colloqui con la Lega, dice “ci ho provato” (per scaricare il leader leghista, dicono nella Lega). Salvini per contro definisce “presa in giro” il giro di consultazioni verso sinistra. E non basta: per verificare una eventuale compatibilità tra grillini e democratici, Di Maio affida a un gruppo di professori coordinati da Giacinto della Cananea, ordinario di Diritto amministrativo a Tor Vergata, il compito di individuare dieci punti di convergenza tra il programma 5 Stelle e quello Pd. Il 26 aprile Fico torna al Quirinale, riferendo l’“esito positivo” del giro di colloqui. Ma non è vero quel che sembra, perché il 2 maggio alcune dichiarazioni di Salvini segnano il disgelo con i Cinque stelle, e perché il 3 maggio, dopo una complicata direzione Pd, il cosiddetto tavolo Cinque stelle-Pd finisce nella metaforica discarica dei tentativi falliti. Il 4 maggio Grillo lancia l’ipotesi di un referendum sull’euro, ma per Di Maio è soltanto una battuta (ecco che si affaccia il doppio binario a Cinque stelle: una volta al governo, servirà avere un poliziotto buono e uno cattivo per tutti gli argomenti sensibili).
7 maggio. Di Maio annuncia un passo indietro sulla premiership. Nei giorni successivi, si profilerà l’ipotesi di un governo terzo, neutrale, che duri fino a dicembre per poi andare a elezioni. M5s e Lega, contrari, chiedono elezioni subito. Ma neanche questo sarà il destino (provvisorio) della maggioranza uscita dalle urne.
13 maggio. “Ovviamente si sta scrivendo la storia e ci vuole un po’ di tempo. Di nomi non abbiamo parlato, c’è un ottimo clima al tavolo, si stanno affrontando temi importantissimi: per la prima volta si porta avanti una trattativa di governo mettendo al centro i temi”. Così parla Di Maio a proposito del nuovo tavolo per il programma con la Lega. Il governo gialloverde si profila all’orizzonte. C’è un “ma”: chi farà il premier?
15 maggio. L’Huffington Post rivela una prima bozza del programma di governo, stilato a Milano da Salvini e Di Maio in cui si accenna all’uscita dall’euro. Lo spread si impenna.
16 maggio. Foto simbolo-presagio. Il capogruppo al Senato e futuro ministro dei Trasporti Danilo Toninelli pubblica su Instagram una foto che immortala un se stesso “massimamente concentrato” al tavolo M5-Lega. “Abbiamo dato il massimo”, è il commento, “non molleremo di un millimetro”. Chi guarda non sa se ridere o piangere, come capiterà spesso in futuro.
18 maggio. Votazione on-line sul Blog delle Stelle. La base grillina vota il documento del programma di governo, senza discussione preliminare, previo spot: “Si vota da adesso. Poi nel weekend i nostri portavoce presenteranno il contenuto del contratto in piazza”.
21 maggio. I leader di Lega e M5s salgono al Colle da Sergio Mattarella e indicano come premier Giuseppe Conte, professore di Diritto e avvocato (digiuno di politica). Il presidente della Repubblica si consulta con i presidenti di Camera e Senato.
22 maggio. C’è un intoppo sul nome di Paolo Savona, candidato al Tesoro (Salvini lo vorrebbe, al Colle il dubbio s’affaccia), e c’è un problema sul profilo del candidato premier Conte, portato da Di Maio e finito sui giornali di tutto il mondo per una vicenda di “curriculum ritoccato”.
23-25 maggio. Mattarella convoca Conte al Quirinale e gli assegna l’incarico. Conte accetta con riserva. Ma quando Conte risale al Colle, il 25, la lista dei ministri non c’è. “Sono davvero arrabbiato”, scrive Salvini su Facebook mentre lo spread sale a 215.
27 maggio, crisi istituzionale. Conte rimette l’incarico. Il presidente della Repubblica spiega che il punto critico è l’aut aut della Lega sul nome di Savona, considerato inadatto per le sue posizioni sull’euro. Mattarella convoca l’ex commissario per la spending review Carlo Cottarelli. Salvini invoca il ritorno alle urne. Di Maio definisce la scelta del Colle incomprensibile. “Molto arrabbiato” come il collega leghista, Di Maio minaccia: “Non finisce qui…diciamolo, è inutile andare a votare”. Poi, intervenendo telefonicamente a “Che Tempo che fa” , chiede l’impeachment per Mattarella: “Io chiedo di parlamentarizzare questa crisi, utilizzando l’articolo 90 della Costituzione, per la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica. E chiedo alle altre forze politiche di appoggiarla”.
29 maggio, come non detto. Di Maio informa che l’idea dell’impeachment “non è più sul tavolo” e si dice “pronto a collaborare con Mattarella”. Salvini a questo punto vorrebbe “dare il via al Parlamento per cambiare le pensioni e abolire i vitalizi”. Lo spread supera i 300 punti.
31 maggio. La novità la annuncia Cottarelli: “Sono emerse le condizioni per un governo politico e dunque non c’è più l’esigenza di un esecutivo di emergenza”. Fine delle speranze in un governo “civil servant”. Conte sale al Colle per l’incarico. Lo spread scende a 253.
Atto primo: giugno-settembre. La luna di miele (insomma) del governo gialloverde
1 giugno. Il governo Conte giura e, a ridosso del ricevimento al Colle per la Festa della Repubblica, si profila già la linea di confine della tensione, quella che per sei mesi correrà attorno al ministero dell’Economia. Dice infatti il neoministro Giovanni Tria che “nessuna forza politica in Italia vuole l’uscita dall’euro”. E ancora non si parla di conti, reddito di cittadinanza, tasse, lavoro e pensioni. Intanto si va verso la fiducia, il 5 al Senato, il 6 alla Camera.
6 giugno, lapsus. Il surreale comincia a mescolarsi al reale: non si parla infatti di contenuti a proposito del discorso del premier Conte alla Camera, ché il professore-avvocato (“del popolo”, come vuole Di Maio), parla di un fantomatico “congiunto” del presidente della Repubblica insultato sui social network, senza fare il nome del fratello del capo dello Stato assassinato dalla mafia. Il capogruppo Pd Graziano Delrio grida: “Piersanti, si chiamava Piersanti!”. Il governo gialloverde, intanto, ha incassato la fiducia nelle due Camere. Ma Conte (giurista e avvocato) dice anche che il suo governo agirà nel rispetto del principio costituzionale della “presunzione di colpevolezza”. Lapsus giustizialista che tornerà a galla quando il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si scaglierà contro la riforma delle intercettazioni fatta dal governo precedente (della serie: il politico non deve avere privacy).
11 giugno, chiudiamo i porti. Cinque giorni al Viminale, prima mossa politico-mediatica che fa subito pendere l’asse gialloverde verso i verdi: “Da oggi anche l’Italia comincia a dire no”, dice il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini, chiudendo i porti italiani all’attracco della nave di una Ong, la Acquarius, che ospita a bordo 629 migranti. Comincia un sotterraneo braccio di ferro con i Cinque stelle, la cui base e i cui eletti non hanno posizioni univoche sull’immigrazione.
30 giugno, non chiudiamo i porti. Roberto Fico, presidente della Camera, dice infatti che lui “i porti non li chiuderebbe “, e che “le ong fanno lavoro straordinario”.
11 luglio. Seconda crisi dei migranti: Salvini nega di nuovo l’approdo a una nave italiana e il ministro dei Trasporti m5s Danilo Toninelli non concorda. Che cosa è successo? Lo scontro si accende attorno ai sessantasei migranti tratti in salvo dal rimorchiatore italiano Vos Thalassa, dopo un presunto tentato ammutinamento alla vista di una motovedetta libica che si stava avvicinando alla nave. Alla richiesta di aiuto da parte del comandante del rimorchiatore, la nave Diciotti della Guardia costiera italiana prende a bordo i migranti. Toninelli – dal quale la Guardia costiera dipende – decide di far sbarcare i migranti (dirà: anche per permettere l’apertura di un’inchiesta su quanto avvenuto sul rimorchiatore). Dal Viminale però, per tutto il giorno, non arriva nessuna indicazione sul porto prescelto nonostante ormai si parli della nave Diciotti e non del rimorchiatore.
12 luglio, scricchiolii sull’immigrazione. La nave Diciotti entra nel porto di Trapani, ma ci resta per ore senza far scendere nessuno. Interviene infine il presidente della Repubblica, contattando il premier Giuseppe Conte. E’ la prima volta che Conte riveste pubblicamente il ruolo “terzo”. Ci prenderà confidenza (gusto?) in autunno, sulla manovra economica, nei colloqui con in Europa.
13 luglio, dopo l’immigrazione, i vaccini. Scricchiolii in vista anche quando, attraverso la circolare della ministra della Salute Giulia Grillo, arriva sulla scena il misterioso “obbligo vaccinale flessibile”, un obbligo graduale “nell’intensità, nel tempo e anche a livello territoriale”. E la cosa non piacerà agli oltranzisti No Vax a Cinque stelle, che in ottobre, alla festa nazionale del M5s, a Roma, al Circo Massimo, contesteranno gli eletti per “l’incoerenza” rispetto al passato. Ma sui vaccini, al momento del voto sul decreto milleproroghe (il 3 agosto), spunta il dissenso interno. Sull’emendamento che fa slittare di un anno l’obbligo vaccinale per l’iscrizione alla scuola d’infanzia e ai nidi, dirà infatti la senatrice Elena Fattori: “Mi espellano pure, ma sui vaccini non mi piego ai No-Vax…rispetto la scelta del mio gruppo ma per storia personale e professionale non posso fare altro che dissociarmi dal mio gruppo e esprimere un indignato voto contrario”. Le rispondono i senatori a Cinque stelle: “L’obbligo dei vaccini non viene minimamente intaccato. Il dibattito a cui abbiamo assistito oggi in Aula è stato strumentale, a tratti inutile e ingiustificato”.
15 luglio, la prima manina. Decreto dignità, bandiera a Cinque Stelle: si discute tra il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Di Maio e il ministero dell’Economia guidato da Giovanni Tria. Motivo: un dato finito nella relazione tecnica che prevede che il decreto farà perdere 8 mila posti di lavoro all’anno per 10 anni, per un totale di 80mila posti di lavoro. Di Maio smentisce, facendo capire che una “manina” ha ceduto alle pressione delle “lobby” e ha inserito il numero ex post. Poi verranno smentite anche le tensioni con il Tesoro e la Regioneria dello stato. Ma viene tirato in ballo l’Inps, presto scagionato dal suo presidente Tito Boeri in audizione alla Camera (“…la relazione tecnica con la stima dell’impatto occupazionale negativo” del decreto dignità “è pervenuta al Ministero una settimana prima della trasmissione del provvedimento alla Presidenza della Repubblica”). Sipario, fine del presunto complotto.
20 luglio. Dopo i vaccini, il Tap. Visita ufficiale in Azerbaijan, si apprende che il governo (presente il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi) confermerà il gasdotto Tap, bestia nera degli attivisti (e di alcuni eletti) a Cinque stelle. Vedi per esempio Barbara Lezzi, ministra per il Sud del governo Conte, che, dopo le promesse m5s di stop al Tap in campagna elettorale, è costretta fare i conti con la realtà non appena insediata: l’iter autorizzativo del gasdotto è già completato, le penali incombono. Con buona pace dell’’Alessandro Di Battista delle Americhe che nel 2017, da un palco di San Foca, prometteva “che con i Cinque stelle al governo il Tap lo blocchiamo in 15 giorni”.
1 agosto, Italia-Usa. Dopo l’incontro tra Donald Trump e Giuseppe Conte, si capisce che il contratto di governo, per quanto riguarda i rapporti con gli Stati Uniti, non regge più di tanto: le spese militari dovranno aumentare, il tema sanzioni alla Russia tornerà in ballo, e il “Sì” al Tap è dato per scontato (a margine, i convenevoli tra “l’amico Donal” e “my friend Giuseppi”).
8 agosto. Prima crepa governo-territori (in autunno si vedranno le prime proteste tra gli imprenditori del Nord). Alcuni sindaci lamentano il taglio di fondi per le periferie nel decreto milleproroghe discusso in Senato. Il governo replica che anzi “sono stati liberati soldi per i Comuni”.
14 agosto. Crolla il ponte Morandi a Genova. Toninelli, ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, a caldo commenta: “Non è accettabile quanto accaduto e chi ha sbagliato dovrà pagare fino alla fine”. Ma per lui il tema “ricostruzione del ponte Morandi” diventerà terreno di gaffe e polemiche (vedi ottobre).
18 agosto. Sul Blog delle stelle, nel giorno delle esequie solenni per le vittime del crollo del ponte Morandi, si commentano con questo titolo le contestazioni ai vertici del Pd: “Perché gli applausi dei cittadini sono l’antidoto ai colpi di coda dell’establishment”. (Come dire: prendo la palla al balzo nonostante la situazione)
20 agosto. Nuovo caso Diciotti, nuovo scontro M5s-Lega sul tema sbarchi. A bordo ci sono 177 migranti. Il ministero dei Trasporti assicura l’immediato sbarco a Catania. Il Viminale frena: “Non prima che l’Europa assicuri che andranno altrove”.
22 agosto. Riecco Toninelli, con un selfie da breve vacanza in famiglia, e con berretto della Guardia costiera. “Qualche giorno di mare con la famiglia con l’occhio sempre vigile su ciò che accade in Italia. Ma tutti gli eroi della guardia costiera, dai vertici fino all’ultimo dei suoi uomini, come vedete, sono sempre con me. Anzi, li tengo sempre in... testa”. Il corto circuito tra crisi della Diciotti e dramma di Genova sullo sfondo è totale (scrive il senatore semplice, ex premier ed ex segretario del Pd Matteo Renzi su Twitter: “C’è una nave italiana con persone in difficoltà bloccata da uno scontro tra ministeri. C’è un ponte crollato e Genova divisa in due. C’è l’opposizione che chiede di riunire subito il Parlamento. E questo dà la colpa agli altri, saluta tutti e va al mare? Non è una favoletta”). Risposta di Toninelli: “Mi fa ridere chi mi accusa di essere al mare con la mia famiglia. Sono fisso al telefono e seguo ogni cosa che riguarda il ministero. E sono felice di farlo stando vicino a chi amo di più ed è quasi sempre lontano. Si chiama amore, ma forse per certa gente è solo un’utopia”.
31 agosto. Si è sbloccato il caso Diciotti, la nave è sbarcata a Catania, alcuni paesi europei hanno accolto una parte dei migranti, ma lo scontro sui migranti si è fatto internazionale. Dice il presidente francese Emmanuel Macron che “i nazionalisti vogliono spaccare la Ue”. Salvini si sente chiamato in causa e risponde: “Ipocrita, riapra i confini”.
Atto secondo: scontro con la realtà
5 settembre, nuova irruzione del surreale (l’acqua). A “Presa diretta”, parlando dell’acqua pubblica, Di Maio dice una frase che lo perseguiterà sugli amati social network: “Siamo fatti al 90 per cento di acqua”. Risposta dal web “Sì, come le meduse”.
14 settembre. Il ministro Toninelli, ospite a “Porta a Porta”, davanti al plastico della ricostruzione del Ponte Morandi, accenna un incauto e forse automatico sorriso. Apriti cielo: parte la contraerea su Twitter e Facebook, anche perché per Genova non c’è ancora indicazione del nome di chi ricostruirà né il nome del commissario. E il ministro affronta così la Nemesi che oggi tocca agli esponenti dei Cinque stelle al governo: il web colpisce chi di social (un tempo) colpiva.
21 settembre, reddito di cittadinanza o morte. Spunta un audio di Rocco Casalino, plenipotenziario a Cinque stelle e portavoce del premier Giuseppe Conte: se non si fa il reddito di cittadinanza, se non si trovano i dieci miliardi che servono, è il succo, per tutto il 2019 ci dedicheremo soltanto “a far fuori tutti quei pezzi di merda del Mef”.
22 settembre, seconda nuova irruzione del surreale (il ponte vivibile). Il ministro dei Trasporti Toninelli, in visita al Salone nautico di Genova, dice che l’obiettivo della ricostruzione del ponte Morandi “non è solo quello di rifarlo bene e velocemente, ma di renderlo un luogo vivibile, un luogo di incontro in cui le persone si ritrovano, in cui le persone possono vivere, possono giocare, possono mangiare…”.
28 settembre, terza e finora insuperata irruzione del surreale (la festa sul balcone). Non siamo in “Colazione da Tiffany”, siamo di fronte a Palazzo Chigi. A tarda sera si apprende che è stata raggiunta l’intesa sulla manovra finanziaria al 2,4 per cento di deficit sul pil. I parlamentari a Cinque stelle esultano in piazza tra cori e bandiere, Di Maio e gli altri ministri del M5s si affacciano dal balcone. “Ce l’abbiamo fatta”, dice il vicepremier, inneggiando e brindando alla Manovra del Popolo (“abbiamo abolito la povertà”, ribadisce dopo aver annunciato a “Porta a Porta”). Seguiranno due mesi di scontro con l’Europa che porteranno, il 13 dicembre, dopo l’incontro Conte-Juncker, alla mediazione sullo 2,04 per cento.
9 ottobre, quarta nuova irruzione del surreale (il Brennero): trattasi sempre di dichiarazione del ministro dei Trasporti Toninelli, appena uscito dall’incontro con il commissario europeo ai Trasporti Violeta Bulc, con cui ha discusso anche del dossier relativo al Tunnel del Brennero. “Sapete quante delle merci italiane, quanti degli imprenditori italiani utilizzano con il trasporto principalmente ancora su gomma il tunnel del Brennero, e oggi dobbiamo purtroppo subire limitazioni settoriali da parte delle autorità del Tirolo che danneggiano fortemente l’economia italiana…”. E però il ponte non sarà pronto prima di otto anni. Confusione con il valico? Risposta del ministro agli sfottò: “E’ solo un lapsus e non me ne frega niente dei lapsus perché lavoro dalle 16 alle 18 ore al giorno”.
17 ottobre, la seconda (e più grave) manina. Decreto fiscale, bagarre sul condono fiscale tra i contraenti del patto di governo. Secondo Luigi Di Maio, ospite a “Porta a Porta”, qualcuno avrebbe “manipolato” il testo del decreto fiscale per allargare sottotraccia le maglie del condono, prima che il testo venisse inviato al presidente della Repubblica. “Domani mattina presenterò una denuncia in Procura”, dice Di Maio. Ma nei minuti successivi tutti smentiscono: la Lega, il Quirinale (che addirittura fa sapere di non aver ricevuto alcun decreto), i dirigenti dei ministeri coinvolti, persino (sempre sottotraccia) esponenti a Cinque stelle nei palazzi.
19 ottobre. Dice Salvini: “Anche noi riteniamo che alcune norme, come ad esempio il condono edilizio per Ischia, non siano una buona cosa. Non è un bel segnale”. Traduzione: tensioni tra gialli e verdi sui temi da campagna elettorale passata e futura.
26 ottobre. Dice il presidente della Camera Roberto Fico, dopo l’omicidio di Desirée Mariottini a Roma, nel quartiere San Lorenzo: “Non ruspe, più amore”. Traduzione: tensioni tra gialli e verdi sulla linea dura del Viminale (Salvini le ruspe le vuole e le rivendica).
5 novembre. Diplomazia del Ping (pong). “Ho ascoltato il discorso presidente Ping”. Dice Di Maio dalla Cina, con tanti saluti al presidente cinese che in realtà si chiama Xi Jinping.
7 novembre. “Il popolo è la somma degli azionisti che sostengono questo governo” (Lega e Cinque Stelle, Di Maio e Salvini?) dice Giuseppe Conte. Intanto al Senato si discute (e si approva) il decreto sicurezza, bandiera leghista che a fine novembre passerà anche alla Camera, mentre sul reddito di cittadinanza ancora si tribola (della serie: e le coperture?).
13 novembre. La divulgazione scientifica in Rai andrebbe verificata, dicono i Cinque stelle (che hanno presentato una legge in merito). Lo spiega il ministro Barbara Lezzi. “La gente dev’essere informata a 370 gradi”. Forse quei gradi che, nell’agosto 2017, hanno fatto aumentare il pil? Lezzi, infatti, è colei che aveva detto, due estati fa, che l’aumento del pil era dovuto al consumo di energia per i climatizzatori.
15 novembre. Giorno del sì del Senato al decreto su Genova. Si leggono i risultati del voto, e il ministro Toninelli leva in aria il pugno chiuso in segno di vittoria. E sul web è il bis della risata davanti al plastico nello studio di “Porta a Porta”.
17 novembre. Mario Draghi, presidente della Bce, invita i paesi Ue più indebitati a rispettare i conti pubblici. Per Salvini, come dirà qualche giorno dopo, mentre Conte è a Bruxelles, la Ue “vuole impedire all’Italia di tornare a vivere”.
20 novembre, giustizia e corruzione. Il governo va sotto sul ddl anticorruzione, anche detto “spazzacorrotti”. Salvini si scaglia contro il voto segreto: “Io lo abolirei. Detto questo l’obiettivo è approvare l’anticorruzione perché io i corrotti li vorrei in galera, ma ripeto: nascondersi dietro il voto segreto è vigliacco, chiunque lo faccia … c’è così tanto da fare che fare i bambini giocando e schiacciando i bottoni mi sembra veramente inutile”. Poi il ddl anticorruzione verrà approvato. Ma resterà la tensione sotterranea tra la linea del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (Daspo a vita nella Pubblica amministrazione per i condannati in via definitiva per corruzione) e quella dei molti esponenti della Lega, non favorevoli, per esempio, al blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio.
22 novembre, “Questo lo dice lei!”. Pier Carlo Padoan, ex Fmi e capo economista Ocse, ospite a “Porta a Porta”, spiega a Laura Castelli (M5s) come l’aumento dello spread abbia un impatto sui mutui. Ma la sottosegretaria al Mef ribatte: “Questo lo dice lei!”. La faccia basìta dell’ex ministro dell’Economia resta impressa nelle menti dei telespettatori. Per Castelli è questione di opinione, e pazienza se due giorni dopo anche la Banca d’Italia spiega come l’aumento dello spread impatti sui prestiti alle imprese e sui mutui per le famiglie.
23 novembre, le tessere. Luigi Di Maio, a “Piazzapulita”, su La7, dichiara di “aver dato mandato di stampare” i primi cinque o sei milioni di “carte di cittadinanza”. Dove, come, su quali basi, da chi?, si domanda l’universo mondo. “Avrete tutti i parametri a breve”, assicura il ministro.
1-3 dicembre. Teatro dell’assurdo. Scoppia un caso “padre di Di Maio”, ma il caso vero è lui, il figlio. C’è un’inchiesta delle “Iene” sull’impresa edile del padre del vicepremier: lavoratori in nero, presunta elusione fraudolenta. Due giorni dopo, su Facebook, arriva la pubblica ammenda (con autoinflitta pubblica gogna). Di Maio padre legge una videolettera di scuse in stile casaleggiano, dicendo che il figlio non ha nessuna colpa: “Chiedo scusa per gli errori che ho commesso, chiedo scusa alla mia famiglia per i dispiaceri che hanno provato e chiedo scusa anche agli operai che hanno lavorato senza contratto per la mia azienda anni fa … Mi dispiace per mio figlio Luigi che stanno cercando di attaccare ma, come ho già detto, lui non ha la minima colpa e non era a conoscenza di nulla … Mi prendo tutte le responsabilità e sono pronto a rispondere dei miei errori, ma dovete lasciar stare la mia famiglia. Essere un piccolo imprenditore non è facile soprattutto quando le commesse non vengono pagate. Quando c’è crisi e a volte si ha paura di non poter andare avanti…”.
14 dicembre, “Ci avanzano i soldi”. Ospite di “Mattino 5”, il vicepresidente del Consiglio Di Maio spiega perché il governo abbia deciso di ridurre di 6,4 miliardi di euro l’importo della manovra per il 2019, con abbassamento del deficit dal 2,4 per cento al 2 (virgola zero quattro) per cento del pil: non perché bisognava arrivare a un accordo con la Commissione europea, per evitare le conseguenze di una procedura di infrazione, ma “spenderemo di meno perché abbiamo scoperto che avanzano soldi”.
20 dicembre. Di Maio pubblica su Facebook una lista delle promesse “fatte” e contenute nella legge di Bilancio (e si scatena il fact checking sul web).
21 dicembre. “Mattarella è l’angelo custode del governo”, dice Di Maio ad “Agorà”. E parla dello stesso “presidente”angelo custode” per il quale pochi mesi fa aveva chiesto l’impeachment.
23 dicembre. Di Maio, dopo la notte in cui il Senato approva la manovra, fa uscire su Twitter un “pizzino” sui “veri e falsi della manovra”: “Stanno girando un po’ troppe ‘balle’ di Natale sulla manovra del popolo. Così ho fatto questo test. In questi giorni potrete utilizzarlo anche voi sottoponendo a parenti e familiari questi semplici quesiti”. Esempio: “Aumento dell’Iva: falso. Taglio pensioni normali: falso. Taglio pensioni d’oro: vero. Riduzione degli investimenti: falso. Si supera la Fornero: vero. Riduciamo platea reddito cittadinanza: falso. Più tasse per assicurazioni e banche: vero. Taglio spese militari: vero. Aumento della tassazione del gioco d’azzardo: vero. Blocco delle assunzioni dei ricercatori: falso”.
Atto terzo
26 dicembre-28 dicembre. Sono i giorni delle foto di Salvini con la Nutella e della conferenza stampa di fine anno di Conte. Si torna al principio di questo viaggio a ritroso. Il seguito non è stato ancora ancora scritto, anche se andrà sotto il titolo omnicompresivo di “campagna elettorale per le Europee”.