Il presidente americano Franklin D. Roosevelt, qui nel 1936, davanti ai microfoni della radio per una delle sue "chiacchierate al caminetto" (Immagini prese da Wikipedia)

La radio era il social degli anni Trenta

Antonio Funiciello

La disintermediazione nella ricerca del consenso non è una novità. In modi opposti, avevano cominciato Hitler e Roosevelt

Howard Dean è stato il primo politico a prendere sul serio internet. Governatore democratico del Vermont alla fine del secolo scorso, nel 2004 decide di candidarsi alle primarie del suo partito per fare il presidente. Non è un politico brillante, non è in sintonia con il suo paese, è in minoranza nel suo partito. Sfida da sinistra John Kerry e perde nettamente. Perde male, ma costruisce la prima campagna di raccolta fondi sulla rete e raccoglie 50 milioni di dollari solo da piccole offerte (la donazione media è di 80 dollari).

È il 2004 e i social network non imperversano ancora sulla rete. Facebook è nato da qualche mese ed è solo un gioco per gli studenti dell’Ivy League; Twitter partirà due anni dopo; Instagram sei anni più tardi. Ma Dean riesce a impiegare internet per finanziare le proprie ambizioni presidenziali. È il primo politico a capire la potenza organizzatrice della rete e cambia per sempre la raccolta fondi in politica. Dopo di lui nessuno farà a meno di utilizzare internet prima per rimpinguare le casse dei comitati presidenziali, poi come fondamentale strumento dell’organizzazione politica.

 

Con la nascita dei social i politici americani si accorgono subito che la rete è un formidabile strumento non solo per raccogliere fondi, ma anche voti. Dopo tutto, in politica raccogliere soldi è sempre stata una strategia per costruire membership e creare consenso. Chi è disposto a darti soldi, è tendenzialmente disposto pure a darti il suo voto. Barack Obama è il leader che eleva l’uso professionale della rete a filosofia politica. Dopo il primo mandato presidenziale Obama è in affanno: sarà l’unico presidente in carica del dopoguerra a essere rieletto perdendo voti (alcuni milioni). La rete è lo strumento che Obama affianca e integra al tradizionale “porta a porta” per conquistare il secondo mandato alla Casa Bianca.

 

Chi è disposto a darti soldi, è disposto a darti il suo voto. Obama è il leader che eleva l’uso professionale della rete a filosofia politica 

Insomma, prima degli hacker russi, prima della Casaleggio Associati e di Rousseau, prima della Bestia di Matteo Salvini, Obama e gli americani avevano già sperimentato tutto quello che c’era da sperimentare. I primi a servirsi di internet per i propri scopi politici sono stati i “buoni”. Circostanza che smentisce clamorosamente ogni teoria demoniaca intorno alla rete. Non è vero che internet, applicato alla politica, è necessariamente uno strumento del male. Internet è un mezzo, adatto a qualsiasi obiettivo s’intenda realizzare. Lo utilizzano i “buoni” e lo utilizzano i “cattivi”. Lo usano quelli che vogliono usarlo. Ne beneficiano coloro che sanno adoperarlo in modo professionale e non dilettantesco.

Non è la prima volta nella storia che l’irruzione di new media fa gridare alla crisi della civiltà. La televisione agì similmente coi primi spot degli anni Cinquanta sempre negli Stati Uniti, fino a diventare dagli Settanta il media più importante per la formazione del consenso. E prima della tv, la radio negli anni Trenta divenne lo strumento principale al servizio dei più capaci leader dell’epoca. E, anche allora, la radio poteva soccorrere un leader democratico per diffondere i valori della democrazia o aiutare un dittatore per scopi opposti e contrari. Hitler e Roosevelt andarono al potere nello stesso anno. I loro paesi erano attraversati da grandi difficoltà economiche e da crisi sociali feroci. Hitler e Roosevelt ebbero a che fare con l’umore nero dei loro popoli e mostrarono di essere due abilissimi uomini di propaganda. In particolare, entrambi eccelsero nell’utilizzo innovativo della radio.

L’invenzione di Marconi aveva cominciato, già negli anni Venti, a modificare le regole del gioco della politica. Il dibattito pubblico, che era stato appannaggio delle cronache della carta stampata, iniziò a essere condizionato dalla diffusione dell’apparecchio radiofonico. La radio godeva, rispetto ai giornali, di vantaggi spaziali e temporali. Poteva arrivare ovunque e nello stesso momento in cui l’evento trasmesso si stava svolgendo. Inoltre l’ascoltatore radiofonico poteva, a differenza del lettore del giornale, accedere con più facilità all’utilizzo del mezzo. Per ascoltare la radio non era, difatti, necessario saper leggere.

 

FDR usava la radio per creare un rapporto personale con ogni singolo americano. La sua voce rassicurante nel ricordo di Saul Bellow 

La fruizione di un comizio o di un discorso, per i tanti che non potevano fisicamente partecipare al raduno, prima della radio era mediato della prosa dei cronisti dei quotidiani. Con la radio, quella prosa si trasformò in commento. E accettò, suo malgrado, di essere suscettibile di critica da parte di chi aveva avuto, grazie alla radio, la possibilità di ascoltare con le proprie orecchie quanto veniva, ex post, commentato sui giornali. Più o meno quel che accade oggi con internet, che con le dirette sui social enfatizza il rapporto tra leader e seguaci, unendo al sonoro sia il video, sia la possibilità di commentare simultaneamente quel che accade.

Attraverso la radio, i leader affidavano agli elettori i loro punti di vista, le proprie parole, senza alcuna intermediazione. Quale che fosse lo scopo che ci si prefiggesse, potevano consegnare la propria retorica direttamente nei padiglioni auricolari dei cittadini. Hitler e Roosevelt colsero al volo la novità. Hitler brandì la radio come una sciabola contro la Repubblica di Weimar e i valori del liberalismo. Roosevelt trasformò un microfono della Nbc in un fioretto per difendere la democrazia e la libertà.

La cosa è, in sé e per sé, davvero straordinaria: stiamo parlando di uno stesso strumento che manipola e amplifica il linguaggio umano, la radio, utilizzato per fini non solo opposti, ma che s’incaricavano in ultima istanza di distruggersi l’un l’altro. Come ha spiegato Victor Klemperer nei suoi diari sulla Lingua del Terzo Reich, il lavoro di Hitler e Goebbels sulla lingua tedesca era finalizzato a privare il singolo della propria individualità. L’omologazione del popolo tedesco e il suo asservimento all’ideologia nazista passavano per l’omologazione linguistica e l’annullamento dell’individuo nella massa.

 

Non è la prima volta che l’irruzione di new media fa gridare alla crisi della civiltà. Successe con i primi spot della tv negli anni 50 

Hitler, si sa, aveva studiato Mussolini e aveva esaltato, nel Mein Kampf, la radio come arma potentissima. Il ministro per la propaganda Goebbels la preferiva di gran lunga ai giornali per l’immediata disintermediazione che lo strumento consentiva. Goebbels impose ai produttori di apparecchi radiofonici di fornire sul mercato radio a basso costo. Come se non bastasse, in più occasioni radio economiche furono gratuitamente distribuite al popolo. La radio era preferita al cinegiornale stesso, poiché poteva massificare l’uditorio delle grande adunate naziste. I cinegiornali e i film di propaganda intervenivano in un secondo momento. Lo strumento che riusciva ad annullare l’individualità, permettendo al Führer di parlare col popolo tedesco inteso come unità metafisica, e non con i singoli tedeschi, era la radio.

Esattamente all’opposto, Roosevelt decise di usare la radio per creare un rapporto personale con ogni singolo americano. Ogni cittadino, nell’ambiente rassicurante di casa sua, circondato dai suoi cari e nella tranquillità del giorno di riposo (le prime chiacchiere al caminetto di FDR si tenevano la domenica), poteva accogliere le parole del presidente e farle proprie. A Roosevelt interessava proprio quello: che ogni americano assumesse un punto di vista individuale nei confronti della sua retorica. Roosevelt si fidava degli americani. E gli americani si fidarono di lui.

Chiamarle d’altronde Fireside Chats (chiacchierate al caminetto, appunto) dava l’idea dell’obiettivo di gentile familiarità che stava a cuore al grande statista americano. Il nome pare sia stato ispirato da Stephen Early, per dodici anni con Roosevelt Press Secretary della Casa Bianca. Nel 2010 le Università di Berkeley e di Los Angeles pubblicarono The Fireside Conversations. America Responds to FDR during the Great Depression, una raccolta di lettere inviate a Roosevelt in seguito alle sue chiacchierate al caminetto. Scorrendole ci si accorge di quanto esse siano diverse, di come ognuna rifletta un particolare punto di vista soggettivo sulle durezze della Grande depressione. L’elemento unificante è la loro diversità. Segno che Roosevelt aveva centrato il suo obiettivo.

Esattamente come la radio negli anni Trenta, la rete si offre oggi a chi sa meglio servirsene per organizzare la socializzazione politica. E, naturalmente, come ogni mezzo di propaganda, l’uso di internet necessita di comprensione profonda dello strumento e di adeguata professionalità nell’utilizzo. Come sempre, chi è più bravo a usare il mezzo, sarà più efficace a perseguire il fine. Impegnarsi sulla rete con spontaneismo e dilettantismo, come accade a tanti politici che passano le loro giornate sui social, è come consegnare brutti volantini nell’orario e nel posto sbagliati.

Ieri come oggi, la professionalità è tutto. Anche nelle piccole cose. Roosevelt si accorse, dopo i primi discorsi alla radio, di avere un piccolo problema di pronuncia. Un leggerissimo spazio tra i due incisivi inferiori produceva un leggero sibilo che, alla prova della tecnologia del tempo, risultava fastidiosissimo. Chiese così al suo dentista di costruirgli un ponte da apporre tra i due denti, prima di ogni speech radiofonico, come piccola diga anti fischio. Un modo di correggere i difetti della voce, come oggi photoshop ringiovanisce o imbelletta i politici sulle card che infestano la rete.

 

La radio era lo strumento che permetteva al Führer di parlare con il popolo tedesco inteso come unità metafisica, e non con i singoli tedeschi

Così la sua voce arrivava chiara, calda e ferma, nelle case degli americani. Non esiste ricordo più bello di questa voce rassicurante, che si faceva carico dei destini di milioni di persone, di quello di Saul Bellow. Lo scrittore ebbe modo di ascoltare più volte le chiacchierate al caminetto di FDR. E sebbene da giovane Bellow fosse un po’ più radicale e non perfettamente allineato con le politiche rooseveltiane, rimase talmente affascinato dalle chiacchierate al caminetto da descriverle molti anni dopo perfettamente, col suo stile inconfondibile.

 

“Ricordo – scrive Bellow – che una sera d’estate percorrevo a piedi verso est la Chicago Midway. Era chiaro fin dopo le nove e la terra era ricoperta di trifoglio, quasi due chilometri di verde tra Cottage Grove e Stony Island. La ruggine non aveva ancora fatto morire gli olmi; sotto gli alberi c’erano delle macchine parcheggiate, paraurti contro paraurti, e gli occupanti avevano acceso la radio per ascoltare Roosevelt. Avevano abbassato i finestrini e aperto le portiere. Dappertutto la stessa voce, il bizzarro accento dell’est che in chiunque altro avrebbe irritato gli abitanti del Midwest.

“Camminando, si poteva seguire il discorso senza perdere una parola. Ci si sentiva una cosa sola con tutti quegli automobilisti sconosciuti, uomini e donne che fumavano in silenzio, non tanto per riflettere sulle parole presidenziali quanto per affermare la rettitudine del suo tono dal quale traevano sicurezza. Era quasi possibile sentire il peso dei guai che li rendeva così attenti e individuare il fatto tangibile, l’elemento comune (Roosevelt), su cui tanti sconosciuti trovavano un terreno d’intesa. Ugualmente memorabile per me, forse, fu scoprire quanto a lungo i fiori di trifoglio riescono a conservare il colore nella luce del crepuscolo”.

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