Il congresso con i millennial

David Allegranti

Cosa pensano del Pd e come votano alcuni dei venti membri della direzione, un po’ disillusi ma decisi a restare nei Democratici. Un partito che ha anche enormi difetti, dicono, ma è pur sempre il loro partito

Non c’è candidato al congresso che non dica che bisogna andare “oltre il Pd”, al che viene da chiedersi se ancora servano a qualcosa i Democratici. Il Foglio ha girato la domanda ad alcuni membri della Direzione del Pd, i cosiddetti “millennials”, che in questo articolo spiegano anche chi sosteranno al congresso. Ludovica Cioria appoggia Maurizio Martina “perché in questi mesi ha lavorato con umiltà e tenacia per riaprire il dialogo del Pd sia sul fronte esterno, con i mondi organizzati e con i cittadini, sia sul fronte interno, ovvero nelle varie anime del partito”. Che deve essere unito perché ci sono varie emergenze da affrontare: “La questione generazionale (permettere ai giovani di diventare autonomi con lavoro e casa, anche per garantire che un domani ci sia qualcuno in grado di pagare le pensioni di quelli che oggi stanno invecchiando), la questione ambientale (prendersi cura dell’ambiente per smettere di piangere i morti e i danni delle calamità naturali e dei reati ambientali), la questione europea (unire i paesi europei per non soccombere di fronte ai giganti del commercio e della produzione che dalle nostre divisioni possono solo guadagnare ulteriore potere)”.

 

Ma il Pd ha ancora un senso? “Il Pd serve se rappresenta una speranza di riscatto per tutti coloro che oggi lottano per una vita migliore. Per i giovani precari, per chi non ha un lavoro, per le donne che devono scegliere fra famiglia e lavoro, per chi vive fuori dalle grandi città, per chi è dovuto andare via dall’Italia. Di sicuro ad oggi né il Pd, né nessun altro partito di sinistra, è in grado da solo di vincere le elezioni. E’ quindi interesse di tutti i partiti che si dicono di centro sinistra lavorare ad una coalizione che metta dei punti fermi contro la deriva razzista e pressappochista di questo governo”. Ma non sarebbe possibile un dialogo con la Lega? In fondo entrambi i partiti, almeno a parole, sono a favore dello sviluppo e della crescita infrastrutturale. Potrebbero essere individuati pochi ma precisi punti in comune. “Su progetti importanti è bene che le figure istituzionali dialoghino a prescindere dai partiti di provenienza, a patto che ognuno si assuma le proprie responsabilità e lo faccia con spirito cooperativo, proprio in virtù dell’importanza e della grandezza del progetto”.

 

Un esempio virtuoso in questo campo, dice Cioria, “l’abbiamo avuto con le Olimpiadi di Torino 2006 durante le quali Chiamparino come Sindaco di Torino e Ghigo come Presidente della Regione Piemonte hanno lavorato bene e con correttezza. Se invece il dialogo deve essere portato avanti su un generico ‘Sì alle infrastrutture’, la cosa mi sembra un po’ vaga. Detto ciò innanzitutto devono essere i rappresentanti del governo ad esprimere le proprie posizioni chiaramente, perché non è possibile che due partiti governino insieme dicendo e facendo cose opposte. Basta con questi atteggiamenti opportunistici, per governare insieme ci vogliono visioni comuni, altrimenti si tratta solo di un matrimonio di convenienza dove ognuno prova a portarsi a casa metà dei regali di nozze”.

 

Umberto Costantini, sindaco di Spilamberto, è stato sul punto di disinteressarsi della scelta del nuovo segretario del Pd: “Nei congressi scorsi non ho mai avuto alcun dubbio a schierarmi con Renzi, anche quando si andava a perdere. Nei mesi scorsi, quando la fase congressuale si stava riducendo a ZingarettiMinniti, francamente ero tentato dal disinteressarmi completamente alla questione e magari votare nel segreto dell’urna Zingaretti orfano del mio candidato ideale che questa volta sarebbe stato Delrio;. Delrio non si è candidato direttamente, è con Martina quindi mi fido e vado con lui”. Quanto al partito, dice Costantini, “il Pd serve, non è lo strumento ad essere sbagliato, è il contenuto e l’uso che se ne fa su cui secondo me non ci siamo ancora. Se le stesse persone che hanno attraversato tre o quattro partiti parlano di cambiare ogni volta la forma fossi in loro qualche domanda su questo tipo di ricetta me la farei. Sono un sindaco da quasi cinque anni e sono un po’ fissato sul governo della città. Mi chiedo: come fare, se non con un partito, ad avere una rete di persone che si mettono in comunicazione per scambiarsi idee riguardo a come amministrare i propri comuni secondo ideali condivisi? Come fare, se non con un partito, ad avere reti internazionali che ti possano mettere in comunicazione con tutte le realtà progressiste d’Europa? La domanda che dobbiamo farci secondo me è se stiamo utilizzando queste possibilità, o se invece stiamo usando il Pd come fosse qualcos’altro. Se usi un partito che nasce come progressista e di sinistra per scalfire timidamente, se non conservare, l’iniquo esistente, ovviamente questo si rompe”.

  

Per tutti il Pd ha ancora futuro, nonostante i candidati dicano di voler andare “oltre”. Con la Lega dialogo solo su temi specifici

 

Ma con la Lega ci può essere qualche dialogo? “Fatte le dovute proporzioni faccio mia una massima di Churchill quando ai tempi della seconda guerra mondiale alcuni membri del parlamento inglese volevano instaurare un dialogo con i regimi totalitari di Hitler e Mussolini. ‘Quando impareremo la lezione?! Non si può ragionare con una tigre quando la tua testa è nella sua bocca!’. Quindi credo sia evidente che la mia risposta è no. Hanno tradito pure i loro stessi sindaci e gli imprenditori che li sostenevano su cui si basava il loro consenso originale, non hanno più nemmeno quell’anima federalista che era anche condivisibile per un amministratore orgogliosamente emiliano romagnolo come me. Hanno aumentato i propri voti rinnegando se stessi e passando dal verde al nero, come i cinque stelle. Per inciso il dialogo infatti secondo me non è possibile nemmeno con i vertici del M5S sia ben chiaro, e questo è uno degli altri motivi per cui sostengo la mozione Martina”.

 

Marco Pierini è nella commissione per il congresso, quindi dice di non voler sostenere apertamente nessuno. “Sì, il Pd serve ancora e non me ne vergogno. Penso che il Pd debba tornare ad avere l’ambizione di rappresentare la maggioranza degli elettori. So che in un contesto proporzionale tutto ciò è più difficile, ma negli altri Paesi europei la legge elettorale non ha mai impedito ai grandi partiti di parlare a tutto il Paese. Ci sono tante persone che non credono nel nazionalpopulismo e ce ne sono molte altre che possono cambiare idea vedendo in noi un’alternativa credibile, autentica, radicale. Se il Pd ha voglia di giocare questa sfida ha delle praterie davanti a sé. Se si pensa che la soluzione sia cambiare nome o cambiare simbolo perdiamo di vista la realtà della politica. Per quel che mi riguarda lavorerò con un solo obiettivo: che il Pd possa un giorno dettare l’agenda del dibattito, che possa raccontare un sogno forte e radicale senza inseguire o corteggiare gli altri (che siano Lega o 5Stelle). Vorrei un partito che faccia egemonia e che lavori incessantemente per questo: lo siamo stati, se abbandoniamo rivendicazioni e passatismi camuffati secondo me abbiamo la possibilità di farsi trovare pronti quando il giocattolo della propaganda giallo verde si sarà esaurito. Le discussioni sul simbolo mi sembrano fuori dal mondo: il punto è la visione, è il vocabolario, è la ‘radicalità’ del nostro riformismo”.

 

E con la Lega si può parlare? “Onestamente non credo che il ‘sì’ alle infrastrutture sia sufficiente per dire che c’è possibilità di un dialogo tra Lega e Partito democratico. Peraltro io vengo da un territorio – quello toscano – dove la Lega ha partecipato a un teatrino imbarazzante su alcune opere strategiche (a cominciare dalla nuova pista dell’aeroporto di Firenze). Se le opere pubbliche sono di fondamentale importanza per la Lega, trovino il coraggio di imporle nel battibecco continuo con il loro alleato di governo. Se le opere pubbliche sono di fondamentale importanza per la Lega, votino in Senato la nostra mozione a favore dell’alta velocità. Altrimenti a me pare che sia la loro ennesima trovata per provare a preservare un’immagine pro-sviluppo mentre la loro azione di governo di concreto e incisivo per la crescita del paese non fa nulla”.

 

Arianna Furi sostiene Roberto Giachetti e Anna Ascani. “Quando ho saputo della loro candidatura sono stata molto felice, non solo perché rappresentano una linea di continuità (seppur innovativa) rispetto al passato (in linea con quanto fatto da Renzi segretario), ma anche perché si stavano candidando due persone con le quali come Millennials abbiamo da sempre lavorato, dalle quali abbiamo avuto ascolto e che si sono spese per sostenerci in molte battaglie”. Ma il Pd serve ancora? “I partiti servono, servono luoghi con regole democratiche in cui ci sia comunità e confronto. Poi forse non devono essere come li abbiamo visti fino ad ora, devono saper rispondere a nuove esigenze di un mondo che cambia, ma questo è un altra questione. Il Pd ha una storia, uno spazio da occupare, quello della democrazia, del riformismo, dell’europeismo, della difesa dei deboli, della garanzia dei diritti, ha un ruolo da svolgere, quello di parlare di futuro, di nuove generazioni, di riportare la parola politica ad essere protagonista nell'accezione più nobile del termine. Quindi si, la risposta è netta e senza alcun dubbio, il Pd serve innanzitutto al nostro paese”.

 

Vedi un dialogo possibile con la Lega, magari in parlamento, su questioni precise? “Parlare di dialogo con Salvini mi sembra sinceramente non all’ordine del giorno, soprattutto perché il dialogo è un movimento bidirezionale, reciproco, ed io in questo governo e nelle due espressioni politiche che lo compongono non vedo interesse in tal senso. Diversa è la responsabilità legislativa, all'interno del Parlamento si può e si devono votare quei provvedimenti che sono in linea con il nostro programma e che reputiamo utili per il nostro Paese”.

 

Caterina Conti invece appoggia il governatore del Lazio: “Nicola Zingaretti è l’uomo giusto per questa stagione, perché porta con sé un modello riuscito di riformismo di sinistra e di costruzione di alleanze larghe nella società. Inoltre ha dimostrato di saper esercitare una leadership condivisa, plurale e tesa all’ascolto: questo riconoscimento gli è stato dato anche nel momento più basso del partito (ha vinto le regionali nel Lazio quando il Pd crollava a livello nazionale) e rappresenta una risorsa. Discontinuità, unità e radicalità sono i tre termini che Zingaretti pone al centro della sua proposta e che anch’io ritengo fondamentali per ripartire. Ha poi una credibilità e una coerenza che nessun altro può vantare: per questo penso che sia il più indicato per guidare il partito e dare una chiara linea politica”.

 

Il Partito Democratico, dice Conti, “deve sapersi rigenerare, recuperando quell’ambizione federatrice che aveva nel 2007. Serve un un nuovo progetto di centrosinistra che coinvolga il molto di buono che esiste nella società, quell’Italia ‘migliore’ che ogni mattina si sveglia e fa andare avanti questo paese”. Con la Lega invece niente da fare: “Il dialogo va sempre tenuto con tutte le forze democratiche sull’assetto istituzionale e sulle regole che normano la nostra democrazia: ma le politiche di estrema destra portate avanti dalla Lega, senza un vero progetto per l’Italia, sono lontane dalla nostra cultura e dai bisogni delle persone. L’odio e la paura che Salvini alimenta e cavalca hanno un costo altissimo in termini di tenuta sociale e morale, oltre a generare preoccupanti ripercussioni economiche che nuocciono al Paese e una deriva antieuropeista che è fuori dalla storia”.

 

Anche Marco Schirripa per un po’ ha meditato di lasciar perdere il congresso: “Devo confessare che dopo il ritiro di Marco Minniti mi sono sentito un po’ smarrito, ero fortemente motivato dalla sua candidatura. Nella compagine attuale mi sento più vicino alla mozione di Maurizio Martina perché reputo la sua proposta la più convincente. Penso, per esempio, allo spazio dedicato all’Università nella sua mozione e al concetto di partito ecologista. Condivido, inoltre, a pieno la posizione netta sui 5 Stelle. Tra gli elementi di valutazione di una candidatura, infine, c’è anche l’analisi della squadra che la sostiene e con molti dei componenti ho grande sintonia politica. Detto questo non dobbiamo mai dimenticare l’appello all’unità di Piazza del Popolo a Roma lo scorso 30 settembre. La vera partita comincia il 4 marzo – data ahinoi assai significativa e amara – col nuovo segretario, chiunque esso sia, che avrà bisogno di tutta la forza e del sostegno di tutti gli iscritti e i dirigenti per ricostruire un partito e affrontare da subito un appuntamento determinante: le elezioni Europee”.

 

E il Pd? Serve? Tutti voglio andare “oltre”... “A mio avviso non serve tanto andare oltre il partito quanto cambiare il partito per andare oltre. Può sembrare un gioco di parole ma credo che la differenza sia sostanziale. Non serve un nuovo contenitore che magari riproduca le stesse dinamiche correntizie e divisive attuali. Serve innanzitutto un messaggio chiaro da individuare e una squadra credibile che lo veicoli. Questo significa puntare davvero su una classe dirigente fresca e, soprattutto, preparata. Avere il coraggio di scontentare e di scontrarsi con i ras locali che, in maniera particolare al sud, impediscono un rinnovamento autentico del Pd che probabilmente gioverebbe anche a loro stessi, preferendo arroccarsi sul mantenimento di prebende che, per altro, col tempo diventano sempre più scarse e precarie e non producono altro effetto che quello di indebolire e svuotare il Pd dal di dentro. Non va ovviamente dimenticato, infine, che oggi siamo in un sistema tripolare che quindi ci impone un cambio di prospettiva rispetto al passato. Aperti dunque ad un allargamento purché non sia uno snaturamento”.

 

C’è però anche smarrimento dopo il ritiro della candidatura di Minniti
e la mancata candidatura di Delrio  

 

Con la Lega ci può essere un dialogo a partire da infrastutture e sviluppo? “Nella storia c’è stato spazio di dialogo tra Churchill e Stalin, tra Arafat e Rabin, tra De Gasperi e Togliatti, è evidente che si può dialogare con chiunque sui punti fondamentali. Non è però inseguendo nessuna delle forze nazional-populiste al governo dell’Italia che torneremo a convincere gli elettori che le hanno votate. La Lega, ormai, ha i contorni di una destra illiberale e nazionalista, è posizionata in quel fronte che va da Marine Le Pen a Viktor Orbán che punta a distruggere l’Europa. Noi dobbiamo ambire ad essere l’alternativa robusta, credibile e lineare di cui tanti italiani sentono la necessità”.

 

Davide Ragone sostiene Maurizio Martina, “perché trovo convincente la sua piattaforma di riformismo radicale, in cui sono proposte misure coraggiose ad esempio su ecologia e lavoro; perché la mozione esprime un giudizio molto positivo sull’azione di governo di questi anni, pur con la consapevolezza di alcuni errori commessi; e perché ci vedo maggiore determinazione nel sottolineare il carattere alternativo del Pd rispetto a entrambe le forze politiche attualmente in maggioranza”. Quanto al senso del Pd, “il Pd è il cuore dell’opposizione a questo governo e deve rappresentare il volano su cui costruire le alleanze sociali, culturali e politiche che portano avanti un’altra idea dell’Italia per una società più giusta e per un Paese più forte. Il Pd ha anche la responsabilità storica di fare argine contro chi cerca di smontare la democrazia rappresentativa e contro chi vuole un mondo fatto di nemici e chiusure”. Ci può essere un dialogo con la Lega? “Le forze riformiste e progressiste sono incompatibili con l’idea di Paese e la visione del mondo della Lega. Poi è chiaro che c’è la politica ed è possibile un dialogo su questioni specifiche, che siano all’interno del perimetro valoriale e programmatico del Pd”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.