La distopia di Casaleggio
Il video pubblicitario diffuso dall’azienda-partito è un manifesto contro la produttività e il lavoro
Roma. “2054: Odissea nella produttività”. Avrebbe dovuto chiamarsi così il filmino di fantascienza della Casaleggio Associati. E invece si chiama “2054: la fine del Lavoro come lo conosciamo” e ripercorre alcuni topos presenti in tutti i precedenti filmini ideati dal presunto futurologo Gianroberto Casaleggio: la crescita smisurata della tecnologia e la distruzione dei posti di lavoro. Prima di affrontare il contenuto di questo fondamentale filmato, bisognerebbe comprendere di cosa si tratta: filmino fantascientifico, piattaforma politica o spot pubblicitario per offrire consulenza aziendale? Non si comprende bene, come ogni cosa che riguarda il ruolo di Casaleggio e della sua azienda. Perché il video è stato prodotto dalla Casaleggio Associati (società di consulenza), ma è stato rilanciato dal Blog delle stelle (organo ufficiale del partito del ministro dello Sviluppo economico) insieme a un’intervista al Corriere rilasciata da Davide Casaleggio (padrone dell’Associazione Rousseau che controlla il M5s). Ma il conflitto di interessi è poca roba rispetto alla confusione di idee. La tesi di fondo è che presto la tecnologia distruggerà tutti, o quasi tutti i posti di lavoro.
“2054, il lavoro che conoscevamo è scomparso. Dedichiamo solo l’1 per cento della nostra vita al lavoro”, dice il video. “Con l’avvento di nuove tecnologie il rapporto tra produttività e tempo lavorativo, che si traduce in occupazione, è cambiato – dice Casaleggio –. Entro una generazione, molte professioni scompariranno”. L’idea è che appunto l’iper-produttività delle imprese, causata dalle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain, distruggerà quasi tutti i posti di lavoro e pertanto lo stato dovrà redistribuire i soldi prodotti dalle macchine alle persone che avranno sempre meno potere d’acquisto. Si tratta di una visione fallace, ma che spiega molto bene l’avversione del M5s e del governo alla produttività, che infatti non è mai menzionata nel “contratto” con la Lega ed è combattuta con ogni mezzo dalla legge di Stabilità.
Ma è vero che la tecnologia e l’incremento della produttività portano a una distruzione dei posti di lavoro e a una riduzione del reddito disponibile dei lavoratori? Assolutamente no. Anzi, la storia dell’umanità e dell’economia dimostrano il contrario. Ma anche la contemporaneità ci mostra delle evidenze dello stesso tipo. Se l’affermazione di Casaleggio fosse vera, allora gli stati con una produttività più elevata e con un livello tecnologico più avanzato e una spesa in ricerca e sviluppo maggiore dovrebbero avere gravi problemi occupazionali. E invece accade l’esatto contrario: i paesi, come ad esempio la Germania, che hanno saputo cavalcare e sfruttare meglio l’innovazione tecnologica hanno tassi di occupazione e salari più elevati di paesi più arretrati come l’Italia.
Ma la stessa dinamica è visibile all’interno del nostro paese, tra regioni del nord e regioni del sud. E all’interno delle stesse regioni tra diversi settori industriali e classi dimensionali: nei segmenti più avanzati e nelle aziende più grandi, che in linea di massima investono di più in innovazione, i salari sono più alti. A livello aggregato, in Europa la tendenza va in direzione opposta. Proprio pochi giorni fa Mario Draghi, in occasione della presentazione del rapporto annuale della Bce, ha detto che 22 trimestri consecutivi di crescita hanno portato “9,6 milioni di posti di lavoro in più nell’area euro” e fatto salire il tasso di occupazione al 59 per cento, “il più alto tasso mai registrato nell’area euro”. La cosa paradossale è che i dati dell’Italia sull’occupazione e sulla mancata partecipazione al lavoro sono tra i più bassi proprio perché la produttività è stagnante da decenni. Secondo il Compendio dell’Ocse in Italia tra il 2000 e il 2017 la produttività è cresciuta di 1,58 punti, mentre in Germania nello stesso periodo è cresciuta di 15 punti in più.
La visione di Casaleggio, a ben guardare, si riflette in una manovra che ha tagliato ciò che spinge le imprese a innovare, competere e investire (Industria 4.0, liberalizzazioni, Ace, etc.) per spostare risorse verso quota cento e reddito di cittadinanza. In pratica per paura delle conseguenze di una iper-produttività che non c’è si sceglie di finanziare ciò che non è produttivo. Ma con queste idee fantascientifiche e questa politica economica non ci sarà né crescita né lavoro.