Milano, murale dell'artista TvBoy: "La guerra dei social" con Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Quando se ne vanno? I fatti non bastano

Giuliano Ferrara

Il caos italiano spiegato con il grasso del potere che legittima l’assurdo

La domanda delle domande, che corre sulla bocca di molti, è: quando se ne vanno? Un’alternativa politica e parlamentare non c’è, allo stato, quindi niente garantisce un esito positivo di un’eventuale crisi, che rovesci il peggio delle tendenze venute fuori con il voto del 4 di marzo del 2018 e la formazione avventurosa, con il contratto fra due minoranze faziose che fanno maggioranza, del governo del cambiamento. Tuttavia si insiste: quando se ne vanno, come si può continuare così in economia col ristagno e la diffusione di un confuso assistenzialismo clientelare di massa, in politica estera con l’isolamento e lo sfascio, in devastazione delle istituzioni come programma di ogni giorno, occupazione di tutti i luoghi di potere, esibizione di ruffianerie che superano perfino quelle del passato, mascheramenti, bullismi contro i tentativi di integrazione degli immigrati, proclami antisemiti, forconismi, complottismi, idiozie? C’è chi dice che la fiammella si sta consumando più velocemente del prevedibile, chi dice dopo le elezioni europee, ma è un si dice, un chissà balbuziente, si va a tentoni, a intuito, nessuno in verità sa niente, nemmeno gli autori della grande truffa.

   

Proviamo a individuare, per essere realisti, l’unico successo vero di questa classe demagogica e discutidora, esibizionista, velleitaria ma sbandieratrice. Sono riusciti, questo sembra il punto, a portare alle sue conseguenze di parata la fanfara della rottura di sistema senza però essere costretti a rompere il guscio di regole fondamentali, la gabbia, dell’Unione europea, dei suoi rapporti di solidarietà tra alleati e partner, della sua moneta senza la quale l’intero progetto del cambiamento, così perfettamente italiano, così volgarmente pittoresco, affonderebbe inesorabilmente. Stanno un po’ di qua e un po’ di là, con il piede in due staffe. Quando la Grecia raggiunse quel limite, in tutt’altro contesto, e si trovò obbligata a scegliere, sappiamo come è andata. L’Italia a quel punto è riuscita per adesso a non arrivare. Sono arrivati di rincalzo i gilet gialli, che lì tirano sassi e bloccano strade, qui fanno la stessa cosa ma al governo del paese. La Merkel fa quel che può e che obiettivamente, senza più al suo comando il partito di riferimento (Cdu e Csu) e con la crisi galoppante della socialdemocrazia, è poco. Per ogni dove, dalla Spagna alla Polonia alla lega anseatica dei super ricchi, da Londra a Budapest, tira un’aria di buriana più o meno sotto controllo, più o meno meteorologicamente prevedibile. Allignano l’espansionismo russo, il disimpegno caotico americano, le guerre commerciali. Che l’Italia sia incasinata come mai prima nella sua storia è considerato parte di una geografia generale del disordine, più che uno scandalo individualizzabile.

    

Così la governabilità ha cambiato di segno. Il tuìt e il post, lo spirito cazzaro, regnano incontrastati, i sondaggi registrano la nuova morfologia ferragnez della comunicazione politica, e chi si occupa delle cose sode, qualche presidente di regione, il sindaco di Milano, la Lega del nord imprenditoriale e bottegaia, residui di istituzioni, un pezzo dell’opposizione politica, associazioni e movimenti tra cui un sindacato che speriamo in ripresa, si ritrova per ora con un pugno di mosche in mano: è il fascio debole della politica, desolidarizzata, delegittimata, prostrata davanti alle tecniche di vendita all’incanto dell’antisistema che viaggia con le cautele del sistema e le protezioni del guscio di regole ancora teoricamente, virtualmente in vigore, contro il fascio forte dei pronunciamenti sconnessi, attivistici, vitalistici, gridati e fervorosi il giusto. Inoltre, e non è un particolare da poco, questi occupano tutto l’occupabile, è considerato non si dica decente ma inevitabile uno spoils system barbarico, privo di una qualunque razionalità, robe che mai nemmeno Craxi, Berlusconi o Renzi hanno osato pensare possibili. Asini che attaccano asini dove vogliono.

    

Quando se ne andranno a casa? Teniamo anche conto del piacere animalesco, giovanile e buzzurro, non professionale, tribale, di stare insieme, Truci e Balconari, uniti nel grasso del potere che legittima l’assurdo, e teniamoci stretti alle nostre incertezze previsionali.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.