Matteo Salvini in Aula (foto LaPresse)

La balla della persecuzione giudiziaria

Giuliano Ferrara

Garantismo non è gargarismo e il processo a Salvini non c’entra nulla con i processi al Cav.

Chiunque non sia garantista è uno stolto, ma non tutti i garantisti sono cretini. Questo mezzo aforisma di pronta beva serve a spiegare, senza farla troppo palloccolosa, la posizione qui a più riprese illustrata, e in apparenza sorprendente: processate il Truce. I nostri amici della stagione berlusconiana non la comprendono, come dissentono altresì i garantisti giuridici rigorosi. Eppure sarebbe abbastanza semplice. 

    

Il Truce non è un uomo politico anomalo sottoposto, per essere un imprenditore disinvolto uscito dall’Italia semi-legale degli anni Ottanta, a una lunga e ossessiva persecuzione giudiziaria (anche a mezzo mediatico), che non è l’ordinaria persecuzione in giudizio quando se ne ravvengano i termini, ma altra cosa: è campagna politica, ideologica, moralistica, il cui culmine non poteva non essere il riadattamento del comune senso del pudore con metodi di caccia all’untore morale da anni Cinquanta, e censura della “furbizia orientale” (Ilda Boccassini) di una pulzella di corte nella funzione di testimone in dibattimento (la signora El Mahroug, per alcun tempo presunta nipote di Mubarak). Il Truce è un aspirante Caudillo incappato nella sua stessa trappola, da buon leghista-giustizialista e antigarantista sempre, uno che ora si divincola e dopo averla buttata in caciara demagogica la butta in politica. E non è nemmeno in quanto aspirante Caudillo che merita un processo, a parte il giudizio degli elettori e dei famosi costituzionalisti, sebbene questa condizione sia il giusto inquadramento del suo velleitario straparlare del non mollo-amici-sì-che-mollo. È sul ministro dell’Interno che, non la magistratura ordinaria scavalcando le attribuzioni delle Camere ex articolo 68 buonanima, sepolto tra le grida leghiste d’antan, bensì il Tribunale dei ministri e, su sua richiesta, i pari del Truce eletti come lui nel Senato della Repubblica devono alfine decidere. 

   

Il Truce non è stato pedinato, intercettato, braccato nell’evidente rete a strascico dei reati possibili a grappolo, come il Cav.: è stato invece accusato di aver commesso reati puntuali nel caso bene in vista in cui decise di mettersi meglio in vista che potesse, il caso del blocco di un’imbarcazione italiana militare e dei suoi passeggeri naufraghi. E accusato non dalla magistratura d’assalto, che invece, e parliamo della procura di Catania, ha cercato di stringere in una morsa probatoria, senza riuscirci e dando prova di forte slancio attivistico, le organizzazioni non governative impegnate nel soccorso in mare; e subito dopo lo ha prosciolto, il ministro, giudicando invalida la prospettiva di un dibattimento su queste accuse. È stato bensì, il Truce, giudicato degno di processo dal Tribunale dei ministri ad hoc, un altro ramo della magistratura espressamente incaricato ex lege della bisogna, e la cosa sarà decisa, come una volta avveniva per tutti gli eletti, dal Senato che è l’assemblea alla quale il Truce ineffabilmente appartiene. Dove stia lo scandalo garantista non si capisce proprio. L’argomento del mandato elettorale fa ridere proprio, essendo evidente che è in questione l’esercizio legale o illegale del mandato stesso.

         

Ecco. I garantisti rigorosi cosiddetti farebbero meglio a precisare che in queste circostanze, magari, non regge l’accusa di sequestro di persona, e meglio sarebbe una meno sanguinosa attribuzione dell’abuso di ufficio, che però non è una quisquilia per un ministro della Forza che forza le cose. E questo precisare può essere legittima materia di discussione, ma nel dibattimento, cioè nel processo. Non si scappa, anche se si scappa, e a quale velocità si scappa. Garantismo non è gargarismo.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.