L'imboscata della Ruocco su Carige
Gli emendamenti della discordia. Ruocco, Consob, e una commissione ostaggio delle faide grilline
Roma. A chi gli chiedeva delucidazioni, mercoledì pomeriggio, Massimo Garavaglia rispondeva categorico: “Per noi non passa niente”. Si riferiva agli emendamenti presentati del M5s al decreto sul salvataggio di Banca Carige. Non dovevano esserci, d’altronde: gli accordi erano stati chiari. Il sottosegretario leghista all’Economia, aveva avuto da giorni la rassicurazione della sua omologa al Mef, Laura Castelli: il decreto sarebbe dovuto passare così com’era stato scritto dal governo, con la collaborazione dei tecnici dell’Abi, senza modifiche. In ballo c’era, d’altronde, la messa in sicurezza di un istituto di credito che resta sull’orlo del fallimento, e che per questo può richiamare le attenzioni, e gli appetiti, di speculatori vari.
E invece, mercoledì, Garavaglia viene allertato dai suoi colleghi della commissione Finanze della Camera, dove il provvedimento è in discussione e dove è previsto l’imminente arrivo dell’altro sottosegretario grillino a Via XX Settembre, Alessio Villarosa, che dovrebbe comunicare i pareri del governo. È qui che scatta l’allarme: “I grillini hanno presentato emendamenti al salva-Carige”. La Castelli, anche lei subito allertata, dà ordine di ritirarli, ma resta ignorata. E allora la sorpresa lascia subito spazio al timore dell’imboscata. E insomma Garavaglia decide di presentarsi in commissione e comunicare, con tono perentorio, che “non c’è intenzione di modificare il testo”. Ed ecco che, a quel punto, Carla Ruocco, la presidente della commissione, aggiorna la seduta: se ne riparla martedì prossimo, annuncia, tra lo stordimento dei deputati d’opposizione che non si spiegano dello strano atteggiamento bipolare del governo. “Ma come?”, si chiedono nel Pd, disorientati. “Una parte del governo presenta una sfilza di emendamenti, e l’altra parte si premura di precisare che non verranno approvati. Che succede?”.
Succede, ma lo si è capito solo più tardi, che l’idea di forzare la mano, di cambiare nel profondo un decreto delicato come quello su Carige, è arrivato direttamente dalla commissione Finanze. E in particolare dalla sua presidente, confidavano ieri, a microfoni spenti, i grillini. Il motivo dello scontro, del resto, sarebbe sempre lo stesso: la Consob. “La Ruocco – spiegano i vertici del M5s – si sente tradita da Luigi Di Maio sulla vicenda Consob, dove vorrebbe ad ogni costo Marcello Minenna, che lei ben conosce e che stima tantissimo”. E, intercedendo presso Beppe Grillo, ha fatto sì che sull’ex assessore al Bilancio della giunta Raggi piovesse l’investitura apparentemente più prestigiosa: quella, appunto, dell’Elevato. Non è bastato. Troppo sono pesati, d’altronde, i veti fatti pervenire dal Quirinale a Palazzo Chigi: la promozione di un interno Consob ai vertici dell’istituto di vigilanza sulla Borsa, perdipiù fautore di un Piano B per l’eventuale uscita dall’euro, non sarebbe mai stata approvata da Sergio Mattarella, al quale spetta la decisione finale.
Quando la notizia è divenuta certa, la Ruocco si è assai risentita. E ha scatenato quella che, scherzando chissà fino a che punto, in Transatlantico chiamano la rappresaglia. Era già successo a metà gennaio, quando la deputata grillina aveva invitato i suoi compagni di commissione a depositare un’interrogazione a risposta immediata al presidente del Consiglio in cui si chiedeva conto, con toni molto polemici, del ritardo nella nomina del successore di Mario Nava, defenestrato per una sua presunta incompatibilità il 13 settembre scorso. Più di quattro mesi fa, ormai. E lo stallo perdura.
Così, mercoledì, un nuovo agguato, con la presentazione, non concordata con gli alleati leghisti e neppure coi vertici del M5s, di una discreta manciata di emendamenti al decreto Carige. “Tutti, o quasi, che muovevano in una stessa direzione: e cioè nell’introduzione di norme antiestablishment”, sintetizza Silvia Fregolent, del Pd. Si andava dall’inasprimento delle pene e delle sanzioni per i dirigenti degli istituti di credito alla riduzione degli oneri delle crisi bancarie a carico dello stato, dal limite ai compensi dei dipendenti di banche foraggiate dallo stato alla stretta sulle cosiddette “porte girevoli”, ovvero un innalzamento da due a sei anni del divieto per i dipendenti di Banca d’Italia di passare in altre banche. E d’altronde, a sentire i grillini, la loro ansia era proprio questa: mostrarsi ancora quelli di un tempo, irriducibili nel combattere i privilegi delle banche. Anche perché, nel frattempo, c’era chi, come l’ex grillino Walter Rizzetto, si divertiva a presentare al salva-Carige emendamenti fotocopia a quelli presentati dal M5s, sulla fine della scorsa legislatura, al salva-Mps. “Sono assolutamente convinto che il M5S voterà a favore degli ormai ‘nostri’ emendamenti”, se la rideva, sadico.
“I nostri sono emendamenti che rientrano nella nostra linea, e che verranno vagliati come sempre accade”, diceva invece ieri, un po’ imbarazzato, Raffaele Trano, il capogruppo del M5s in commissione prima di trovare nell’ascensore del quarto piano di Montecitorio un asilo dalle domande dei cronisti. Pochi metri più in là, mentre si concedeva il riposo di una sigaretta, Villarosa ostentava stupore: “Accordo? Non c’era nessun accordo per non modificare il decreto. E comunque i parlamentari hanno piena libertà di presentare gli emendamenti che vogliono”.
In ogni caso, sono stati tutti cassati: tutti, anche quelli del M5s, tranne uno, firmato da Giovanni Currò. “È un emendamento disclosure”, spiega al Foglio. “In pratica, un emendamento che, sul modello di quanto già fatto per Mps, impegna il Mef a mostrare alle Camere, ogni quattro mesi, chi sono i grandi debitori che la banca salvata deve risarcire. Sono contento che sopravviverà”. E a sopravvivere, però, è anche una sensazione un po’ sgradevole. E cioè che, per dirla con le parole della Fregolent, “questa commissione Finanze sia ormai ostaggio di una faida interna ai grillini, che lascia peraltro senza un vertice, da oltre quattro mesi, Consob”.
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