Danilo Toninelli e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Una barca di bugie su Sea Watch

Luca Gambardella

Dopo che le indagini della procura hanno smentito le ricostruzioni di Salvini e Toninelli, il legale dell'ong parla di "atteggiamento nazista" da parte del governo. L'ipotesi di una commissione d'inchiesta sui morti in mare

I nomi di Matteo Salvini e Danilo Toninelli saltano fuori solo poche volte, ma è chiaro che sono i due ministri i convitati di pietra della conferenza stampa organizzata stamattina dalla ong tedesca Sea Watch. L’intento è fare definitivamente chiarezza su tutta la vicenda, diventata oggetto di tante notizie false o inaccurate diffuse dal governo. Il primo a nominare i due responsabili dello stop alla nave dei migranti, tenuta per una settimana a un miglio dalla costa di Siracusa con 47 migranti a bordo, è l’avvocato penalista Alessandro Gamberini, difensore dell’ong. “Il tema sono i fatti. Qui assistiamo a una premeditata e organizzata strumentalizzazione dei fatti che ricorda metodi nazisti – dice il legale – Non scelgo questa definizione a caso. Non stiamo parlando di ingenui. Se il ministro delle Infrastrutture, che non è un ingenuo, posta su Facebook delle notizie false si tratta di premeditazione”. Gamberini si riferisce alle dichiarazioni rilasciate un paio di giorni fa da Toninelli, il quale aveva diffuso informazioni parziali e fuorvianti per attaccare l’ong tedesca. “E’ una imbarcazione registrata come ‘pleasure yacht’, che non è in regola per compiere azioni di recupero dei migranti in mare – aveva detto il ministro – E mi pare ovvio, visto che è sostanzialmente uno yacht”. Una dichiarazione inesatta, dato che “pleasure yacht” significa “barca da diporto”, una delle due definizioni (l’altra è “nave commerciale”) con cui è possibile registrare un’imbarcazione.

   

 

Ancora prima, Toninelli aveva rilanciato la storia della Tunisia come porto di approdo più vicino per rifugiarsi dalla tempesta, salvo scoprire in seguito che Tunisi non aveva mai dato autorizzazione all’approdo di Sea Watch 3. “Qualcuno del governo dovrà rendere conto del fatto che alcuni suoi esponenti, Salvini, Toninelli e Di Maio, hanno mentito”, attacca Nicola Fratoianni di Sinistra italiana. “C’è un piano di disinformazione e mistificazione sul caso Sea Watch”, aggiunge il presidente del Pd, Matteo Orfini, che definisce “una cretinata” la tesi sbandierata da Salvini negli ultimi mesi (“Meno sbarchi, meno morti”) e che invita il suo partito a riflettere sui risultati ottenuti finora dall’accordo con la Libia sui migranti. “Abbiamo iniziato a sbagliare quando ci siamo cominciati a chiedere quante persone scappano, invece di chiederci da cosa scappano”, è la frecciata lanciata al suo compagno di partito, l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, fautore dell’accordo del 2017 con Tripoli.

  

Tornando ai fatti, è la portavoce di Sea Watch, Giorgia Linardi, a mettere in fila gli eventi che vanno dal naufragio del 18 gennaio, allo sbarco al porto di Catania del 31 gennaio. Prova principe della corretta condotta della nave umanitaria – diversamente da quanto ripetuto per settimane dal governo – è il comunicato emesso dalla procura di Catania, che ha messo nero su bianco come “dalle risultanze investigative non è emerso alcun rilievo penale nella condotta tenuta dai responsabili della Sea Watch 3”. Un comunicato “insolitamente dettagliato”, nota Gamberini, che non manca di ricordare a tutti “le posizioni ostili alle ong e ai salvataggi in mare” assunte in passato dallo stesso procuratore, Carmelo Zuccaro. Tre elementi emergono dal documento: il primo è che l’intervento della Sea Watch 3 era dovuto e che se non l’avesse fatto sarebbero morte 47 persone. Il secondo, politicamente notevole, è un’ammissione dell’incapacità della cosiddetta Guardia costiera libica, che non ha risposto per due giorni alle richieste di coordinamento avanzate dalla Sea Watch 3. La terza è che la nave umanitaria è inadatta a trasportare per troppo tempo un numero così elevato di persone in difficoltà. Anche quest’ultimo punto “è assolutamente vero – spiega la portavoce Linardi – Ma è per colpa delle autorità italiane se la nave per sette giorni è rimasta a un miglio da Siracusa. Il tutto per una chiara volontà politica”. 

 

Ora però resta la grande incognita sul futuro: cosa accadrà quando Sea Watch 3, l’unica nave da salvataggio ancora operativa nel Mediterraneo centrale, riprenderà il mare? Secondo Riccardo Magi di +Europa, l’unico modo per affrontare il tema dell’accoglienza è parlamentarizzare il dibattito sui morti in mare. “Serve che la Camera e il Senato rientrino in possesso dei propri poteri ed esercitino le loro prerogative di controllo e inchiesta”, dice il deputato che ha seguito da vicino l’intera vicenda della nave umanitaria. “Oggi l’Italia ormeggia 3 motovedette al porto di Tripoli, inviamo soldi al governo libico, vendiamo imbarcazioni alla loro Guardia costiera: per questo – spiega Magi – non ci sono dubbi sulla costituzionalità di una eventuale commissione parlamentare”. “Certo, la tradizione italiana delle commissioni di inchiesta non è molto positiva”, ammette al Foglio il senatore, ex grillino, Gregorio De Falco, “ma ci sono anche dei casi che hanno dimostrato il contrario, come quello della Moby Prince. E poi stiamo parlando di fatti molto gravi”. Sul caso Salvini e sul dibattito nella Giunta del Senato sull’autorizzazione a procedere richiesta dal Tribunale dei ministri di Catania per il caso Diciotti, De Falco sorride: “Con i miei ex colleghi del M5s non ho ancora avuto modo di confrontarmi. Ne ho incontrato solo qualcuno…”. Ma sul voto a carico di Salvini, il senatore epurato dal M5s è chiaro: “Se il Movimento dovesse votare No si tratterebbe di opportunismo politico. E insomma, la barca colerebbe a picco”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.