La strana sintonia tra Salvini e Mattarella
I due sono fatti per non capirsi. Ma se l’alternativa sono le follie grilline, allora Quirinale e Truce s’intendono
Roma. Meglio Salvini o meglio Di Maio? Probabilmente nessuno dei due, ma a un presidente della Repubblica non è dato di scegliersi gli interlocutori al governo. Testa ordinata linearmente, il capo dello stato lavora con quello che ha. Si muove tra personaggi storti e anguilleschi, ma ha il dovere costituzionale di averci a che fare per rimettere la punteggiatura dov’è saltata, per ristabilire la sintassi, correggere, consigliare, evitare insomma che il paese venga inghiottito da una delle tante incongruenze, una delle tante pericolose stranezze, che continuamente si aprono come botole per tutta la lunghezza del cammino di questo governo cosiddetto del cambiamento.
E allora tra qualche giorno, finalmente, dopo aver tanto rischiato, Sergio Mattarella potrebbe nominare Paolo Savona presidente della Consob. Il capo dello stato è già riuscito a evitare che il governo gli proponesse l’imbevibile Marcello Minenna. Un piccolo capolavoro, con il quale Mattarella ha cercato di minimizzare i danni, forse scegliendo, tra i due favoriti del governo – Savona più sostenuto da Salvini, Minenna più legato ai Cinque stelle – la soluzione meno traumatica per il sistema finanziario e per il paese. In un solo colpo, con la sua flemma siciliana, Mattarella potrebbe adesso tirare fuori Savona dal governo, con tutte le sue teorie bislacche sull’euro, per farlo sedere a ottantatré anni alla Consob (durata dell’incarico sette anni), evitando così che il ruolo delicatissimo finisca nelle mani del dottor Minenna. Uno che non ha idee meno surreali di quelle di Savona, ma ha il difetto non secondario di esprimerle dall’ambizione energica e ginnasticata dei suoi cinquantadue anni. Da un lato, dunque, una dirigenza Consob matta ma provvisoria, dall’altra una continuità garantita nello squilibrio.
E quindi il presidente della Repubblica si è ritrovato a tessere il suo filo utilizzando come ago Matteo Salvini, il vicepremier che volle Savona al governo, che l’avrebbe voluto al ministero dell’Economia, che già una volta sul nome di Savona s’era scontrato con la fermezza di Mattarella impegnato a evitare che un no euro militante diventasse capo del Mef. “Minenna va bene”, diceva Salvini fingendo noncuranza, salvo aggiungere “Savona va benissimo”, mentre una parte dei Cinque stelle lavorava a piazzare Minenna – ex membro della giunta Raggi – alla Consob.
Meglio la Lega che i Cinque stelle, dunque, per il Quirinale? Il presidente, modico all’apparenza e nel parlare, ma vivo nell’azione, è per definizione laico. E per biografia, cultura, stile e persino indole è probabilmente anche quanto di più distante esista dal magnetismo selvatico di Salvini. E infatti a lungo, forse per influsso del suo segretario generale Ugo Zampetti – che fu una specie di mentore di Di Maio quando il ragazzo appena eletto divenne vicepresidente della Camera e lui era segretario generale di Montecitorio – ha dato l’impressione di trovare più rassicuranti (anzi meno inquietanti) i Cinque stelle, con il loro atlantismo a corrente alternata in apparente contrasto con il putinismo della Lega. Forte fu d’altra parte la preoccupazione di Mattarella quando Salvini si espresse contro l’intervento militare in Siria, rivelando simpatie per il dittatore Assad. Tuttavia qualcosa forse sta cambiando. E la Consob potrebbe essere il segno d’una novità, certo tutta da verificare.
Salvini, da un po’ di tempo, non soltanto si dimostra timido e subordinato nei messaggi privati al Quirinale (questo lo fanno tutti, salvo poi sparare su Twitter), ma ha pure assunto un atteggiamento attento e misurato nelle valutazioni pubbliche. Il segretario della Lega non solo non si schierò con Di Maio nella nota commedia dell’impeachment, ma ha poi apprezzato le parole pur critiche di Mattarella durante il discorso di fine anno, e ha inanellato un collier di posizioni – sul Venezuela e sulle opere pubbliche, in definitiva sulla politica estera e l’economia – che dal punto di vista del presidente (evitare sconquassi) hanno rappresentato un appiglio e una sponda di fronte al regressivo (in economia) e balbettante (in politica estera) Movimento cinque stelle.
Salvini cerca di perforare lo schermo impenetrabile delle inclinazioni di Mattarella, perché sa che il destino della legislatura in caso di crisi è nelle mani del presidente. Il presidente, invece, ha bisogno di una sponda se non sensata almeno un po’ meno inaffidabile di quella grillina. Che i due si piacciano è impossibile. Che collaborino, probabile.