Ho votato M5s e ho sbagliato. Parla Galli della Loggia
Le élite, gli abbagli della politica, il pericolo dei grillini al governo e gli errori del Pd
"Virginia Raggi? Non la voterei più, anzi non voterò mai più il M5s". Al coro dei pentiti dell’anticasta si aggiunge la voce autorevole di Ernesto Galli della Loggia. Quella del professore è stata un’infatuazione fugace, giusto il tempo di incoronare il sindaco della Capitale a Cinque stelle, adesso è giunto il momento della resipiscenza. “Abbiamo sottovalutato la loro stupidità”, spiega l’editorialista del Corriere della sera, assiso sul divanetto blu del suo rifugio pariolino, “Abbiamo fatto un’errata apertura di credito, abbiamo pensato che avrebbero frequentato una scuola politica, che avrebbero letto almeno un libro di Angelo Panebianco, invece si sono rivelati il nulla assoluto”.
Già allora, in occasione delle elezioni capitoline, era visibile l’impostura grillina, con il suo mix di democratura digitale, casaleggismo padronale, dabbenaggine senza congiuntivo, giustizialismo e demagogia. “Sin dal principio il Pd e il Foglio hanno organizzato un’opposizione totale e senz’appello, non perché fossero più furbi e intelligenti degli altri, ma perché rappresentano organismi politici e giornalistici che affidano la propria fortuna all’esistenza di un nemico. Chi non ha questa esigenza ha pensato: d’accordo, sono una banda di scappati di casa, di casinari incolti e irresponsabili, ma magari miglioreranno con il tempo. L’origine abnorme di un movimento che prendeva forma attorno al Vaffa di un comico qual è Beppe Grillo era evidente a tutti, ciononostante c’è stata, da parte nostra, un’errata apertura di credito sulla loro capacità di costruire un minimo di classe dirigente. Il vero suicidio politico si è consumato nel corso della prima legislatura: tra il 2013 e il 2018 il M5s avrebbe dovuto compiere un salto di qualità, invece Davide Casaleggio, il vero padrone, ha preferito tenere al guinzaglio una massa di minus habens. Del resto, se i grillini formassero una vera classe dirigente, per lui sarebbe la fine”.
Gli eletti versano trecento euro al mese all’associazione Rousseau, il totale rende un milione l’anno. “Mi domando perché il Movimento che pretende la legittimazione democratica del governatore della Banca d’Italia non chieda a Casaleggio di presentarsi alle elezioni. Lui li tiene in pugno: deputati e senatori fingono di essere un personale politico, in realtà sono impiegati della Casaleggio associati. Nella loro totale insipienza politica rappresentano una minaccia reale”. Luigi Di Maio, in versione barricadera, corteggia i gilet gialli dimenticando di essere il vicepremier italiano, noi invece ce lo ricordiamo ogni giorno. “Sono andati a farsi fotografare con i casseur senza comprendere che i cugini francesi non fanno ammoina ma annunciano l’assalto all’Eliseo. Avere della gente così sprovveduta al potere è pericoloso: combinano guai”. Per Casaleggio jr. e Alessandro Di Battista il Parlamento è un’istituzione inutile, da superare. “Ci provino, questi stupidi. Li mandiamo in prigione per attentato alla Costituzione”. Saranno stupidi, professore, ma lei li ha votati. Lei ha abboccato all’amo della fuffa grillin-casaleggiana. “Io non ho votato Raggi, ho votato per il cambiamento. Lei, dottoressa, gode di ottima salute, vive in modo agiato, svolge un lavoro divertente, si muove nell’establishment: lei non vuole cambiare. Ma la maggior parte degli italiani non gode del suo standard di vita e vuole cambiare”. Neppure lei, professore, vive come la maggior parte degli italiani. “Il giornalistese si chiede perché GdL abbia votato i 5 Stelle; il giornalista si concentra sul voto di quei settecentomila romani. GdL, da solo, non sposta un cazzo”. Una parte rilevante dell’establishment ha flirtato con il grillismo, siamo l’unico paese europeo con un governo composto interamente da forze populiste. “Io non sono il rappresentante generale dell’establishment né lei può sapere come abbia votato l’establishment… questa storia vi piace raccontarla sul Foglio. Abbiamo confidato che questi ragazzi avrebbero studiato, invece si sono rivelati scolari negligenti. Si chiamano abbagli, succede pure al Foglio e ai suoi ideologi”. Che intende? “Anziché celebrare il processo alle élite colpevoli di aver accreditato i 5 Stelle, perché non ci chiediamo per quale ragione, in un passato non remoto, le cosiddette élite, a cominciare dal Foglio, abbiano visto in Matteo Renzi il salvatore della patria dal fulgido avvenire? Si pigliano abbagli, succede. In un paese incasinato come il nostro, siamo tutti alla disperata ricerca di qualcosa dal 1994, viviamo come in una gabbia di pazzi in attesa che qualcuno apra la porta e ci disponga in fila. Alle scorse europee ho votato per il Pd di Renzi, ho appoggiato pure il referendum costituzionale. Tuttavia, tra lui e Matteo Salvini vedo una differenza fondamentale”. Soltanto una? “Renzi è un intrattenitore politico: segue il suo copione personale e basta. Salvini è un oratore politico: stabilisce con la folla un rapporto emotivo e sintonico. Oggigiorno, con un Pd votato al suicidio totale e i 5 Stelle condannati allo sprofondo, la Lega è il partito con le maggiori potenzialità di sviluppo. Salvini ha l’opportunità di creare un contenitore completamente nuovo ma è ancora alla prova del fuoco”.
Non corra, professore. Restiamo sul caso Raggi: su Twitter Giuliano Ferrara ha coniato per lei un hashtag malandrino, #votomalepensobene. “Considero i social network un flagello dell’epoca moderna. Penso anche che, al di là delle apparenze, un uomo intelligente come Giuliano nutra più dubbi di quelli che manifesta, è che talvolta restiamo prigionieri delle opinioni espresse il giorno prima. Con il sindaco Raggi la situazione già critica della capitale è letteralmente precipitata. Nessuno di noi aveva mai sentito il nome di questa donna che si è rivelata incapace di suscitare un’emozione, banalissima nel lessico, priva di una visione”. Lei ha scritto che Raggi tiene in ostaggio due milioni e mezzo di romani. “Lo confermo. Dopo la rovinosa gestione della destra di Alemanno e l’inconsistenza ridanciana di Marino, i cittadini volevano cambiare. Io sono pronto ad assumermi le responsabilità dell’establishment pur appartenendo a un segmento non maggioritario, quello composto da chi non ha mai ricevuto nulla dal pubblico, neppure una Croce dei Cavalieri. Se i gialloverdi sono al governo, non è certo per gli editoriali del Corriere della sera: la rabbia popolare trae origine non dall’alto ma dal basso. Dallo scoppio della crisi economica nel 2008, le élite politiche hanno dato una mediocre prova di sé. Il governo Monti è stato benzina per il grillismo: se il presidente emerito Giorgio Napolitano avesse indetto le elezioni, la storia avrebbe seguito un corso diverso. A ciò si è unita l’assenza di un partito di sinistra: come nel resto d’Europa, i populisti si sono fatti interpreti del diffuso disagio popolare, non più assorbito dalla socialdemocrazia tradizionale. Sul Corriere Federico Fubini, che non è esattamente un grillino, ha riportato alcuni numeri eloquenti: dal 2000 il sud Italia ha perso un decimo della sua popolazione; secondo i dati Eurostat, Campania, Calabria e Sicilia sono le uniche regioni dell’Unione europea a rischio povertà per oltre metà della popolazione; nel Mezzogiorno, governato ininterrottamente dalla sinistra ormai da diversi anni, il reddito pro capite, comparato al livello d’acquisto, è al di sotto di quello lituano e ungherese. La gente per chi deve votare se non per i populisti?”. La gente, non lei. “Alle prossime europee me ne starò a casa. Ho visto che il vostro giornale diffonde rosee previsioni sulle sorti elettorali del listone Calenda. E poi c’è Zingaretti, un ragioniere senza carisma, perfetto per la ditta”.
Lei ha scritto che all’origine del sentimento populista c’è pure il carattere ereditario delle élite italiane, perciò scarsamente legittimate. “Sabino Cassese mi ha risposto che esistono i concorsi. Peccato, che da professori universitari, sappiamo entrambi come funzionano”. Le élite senza ricambio, dalla natura oligarchica e autoreferenziale, sono carburante per i populisti. “I tre caratteri tipici delle élite italiane sono l’età perlopiù avanzata, la scarsa presenza femminile e la basica formazione o provenienza di centrosinistra. Il perbenismo culturale imperversa: i più tendono a ripetere la chiacchiera egemone. La Costituzione, la Shoah, quelle cose che fanno vomitare anche Giuliano Ferrara”.
Il populismo è un male in sé? “Ne esistono diversi tipi. Berlusconi e Renzi non erano forse populisti? Il governo attuale ne esibisce una versione plebea e stracciona, quella pentastellata. Il populismo leghista è nazionalismo”. Luciano Violante ha definito il sovranismo “nazionalismo in smoking”. “La Lega è un partito nazional-nazionalista, i 5 Stelle tendono all’isolazionismo”. La prova di governo sembra premiare i primi e penalizzare i secondi. “All’indomani delle europee, la tentazione di cambiare i rapporti di forza sarà invincibile. I 5 Stelle sono paladini dell’irresponsabilità, la Lega invece può affermarsi come partito del buon senso, ce l’ha nel dna. Sulle infrastrutture, per esempio, porta avanti una visione improntata al pragmatismo, del resto la sua base sociale tiene i piedi piantati per terra. La maggioranza degli elettori pentastellati invece è rappresentata da un popolo di disperati in attesa del reddito di cittadinanza. Qualcuno lo incasserà, gli altri si rivolteranno contro i 5 Stelle”.
Salvini è riluttante a riproporre il centrodestra vecchio stile a livello nazionale. “Le ricette del passato non funzionano, tanto più oggi con un ottantaduenne a capo di un partito inesistente. Salvini era il leader dei Giovani comunisti padani, essere stati di sinistra significa avere un legame con la tradizione politica italiana. Il capo leghista può decidere di imboccare la strada del Front National lepenista: commetterebbe un errore perché Le Pen è erede della storia di Vichy, la Lega invece non ha nulla a che spartire con il fascismo. La seconda via, più ambiziosa, può condurre alla nascita di un partito conservatore, di qualcosa di totalmente inedito, sulla falsariga dei popolari spagnoli”. Esiste dunque un populismo “buono”, capace di fare le cose? “Un leader democratico dev’essere per forza populista. Il popolo non è sempre contro, è anche capace di vincere la Prima guerra mondiale. L’antipolitica è una stronzata perché la politica è necessaria come l’aria che si respira”. Pure l’antieuropeismo è una stronzata? “La parola è stata coniata polemicamente per deformare e screditare posizioni diverse tra loro, un po’ come quando si bolla come fascista chi non ci piace. Chi stabilisce il confine tra la critica lecita all’Europa e quella cosiddetta antieuropeista?”. Volere l’uscita dall’euro è da antieuropeisti. “Vero. Mi sembra che anche Salvini abbia archiviato i piani di Italexit. Sul fatto invece che questa Europa vada riformata, c’è ampio consenso”.
Per il caso Diciotti il ministro dell’Interno va processato? “Certo che no. In una democrazia non esiste una Tavola della Legge che stabilisce che cosa sia l’interesse dello stato in assoluto. Ipotizziamo che Salvini abbia agito a scopo elettorale: bene, in democrazia chi amministra lo stato vuole vincere le elezioni, e l’interesse pubblico coincide, di volta in volta, con l’interesse del partito al governo. Chi ritiene che possa esistere una presunta divaricazione tra l’interesse dello stato e quello del partito al governo ha una concezione irrealistica della democrazia rappresentativa. Mi domando che cosa s’inventeranno nella Giunta per le immunità per sostenere che non fosse nell’interesse dello stato ciò che il ministro dell’Interno di un governo legittimamente costituito giudicava come tale”.
Dopo le dichiarazioni pubbliche del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del vicepremier Luigi Di Maio sul loro pieno coinvolgimento, la procura di Catania avrebbe dovuto procedere alla loro iscrizione nel registro degli indagati. L’azione penale è obbligatoria. “Questa è una delle massime ipocrisie della giustizia italiana. Il potere dei pm è illimitato, e i partiti non cambiano le cose per paura. Io sono favorevole a che i pm dipendano dal ministro della Giustizia”. Come in Francia. “L’attività inquirente dovrebbe rispondere politicamente al Parlamento, culla della sovranità popolare, per mezzo del ministro competente”. Il fatto è che le istituzioni vivono una perdita generale di autorevolezza. “Fanno eccezione il Quirinale e, in una certa misura, l’Arma dei Carabinieri. C’è uno sputtanamento generale. Siamo con l’acqua alla gola perché non c’è più nulla in grado di stare in piedi. La politica si è sputtanata, così la magistratura, la scuola, il ceto intellettuale. La presidenza della Repubblica resiste perché è blindatissima dalla Costituzione, e poi, da Pertini in avanti, si è guadagnata un potere d’influenza informale. Un potere penetrante e, come tutti i poteri informali, pericoloso. In Italia esiste il presidenzialismo di un presidente non eletto dai cittadini”. Un sistema monco di autorità, dove uno vale uno e tutti si considerano esegeti di ogni cosa, decreta la morte della competenza. “Secondo lei, il Pci voleva l’Autostrada del Sole? La risposta è negativa: il monopolio pubblico costringeva gli italiani ad acquistare un’automobile per fare un regalo alla Fiat. Dietro al plebeismo protestatario e pseudosmascheratore che agita l’elettorato dei 5 Stelle, c’è una lunga diseducazione politica, favorita storicamente dal discorso di sinistra. I comunisti sapevano che al governo non ci sarebbero andati, così infarcivano i programmi di promesse irrealizzabili. Voi vi concentrate sui microchip sottopelle dei grillini ma il complottismo ha origini antiche: vi dice qualcosa il caso Gladio? Si sono celebrate decine di processi, gli imputati sono stati assolti perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, eppure per l’elettore medio di sinistra l’operazione Gladio è un tassello della storia occulta della Repubblica. Il complottismo grillino è un sottoprodotto della cultura di massa; quello comunista era ideologico e manovrato dall’alto. Di Maio ha minacciato l’impeachment per Mattarella esattamente come il Pci lo pretendeva per Cossiga. La differenza è che il Pci aveva una classe dirigente che aveva letto qualche libro, Casaleggio e Di Maio non ne hanno letto alcuno. Gli italiani sono un popolo diseducato politicamente. Falliti i partiti, la diseducazione è emersa”.