Il vicedirettore di Bankitalia, Luigi Federico Signorini (Foto Imagoeconomica)

Il daje a Bankitalia maschera la truffa gialloverde ai “truffati” veneti

Valerio Valentini

Il vice di Visco, Luigi Federico Signorini, è diventato il capro espiatorio per cavalcare la rabbia dei correntisti delle ex popolari

Roma. Col solito fare da istrione, preferendo il tatticismo alla coerenza, Matteo Salvini ha subito smentito se stesso. “Non dico necessariamente di cambiare qualcuno, in Banca d’Italia, ma almeno qualcosa”, ha detto ieri mattina col tono ieratico di chi, anche stavolta, d’improvviso si mostra caritatevole dopo avere aizzato la folla che smaniava per l’esecuzione capitale sulla pubblica piazza. Dovevano avergli spiegato che c’erano ben pochi margini di manovra: perché va bene gridare allo scandalo, ma poi certe procedure, specie quando coinvolgono il Quirinale, vanno comunque rispettate.

 

Perciò, dopo che Ignazio Visco ha proposto la riconferma del vicedirettore di Via Nazionale, è assai difficile impedire al prescelto Luigi Federico Signorini un secondo mandato nel direttorio. E così le urla si placano, la perentorietà delle frasi si scioglie in un burocratese un po’ ermetico: “Cambiare qualcosa, non qualcuno”, dice ora Salvini; che vuol dire tutto ma anche niente. Tutt’altro atteggiamento rispetto a quello bellicoso mostrato sabato scorso, quando lo stesso ministro dell’Interno, per non essere da meno dell’altro vicepremier Luigi Di Maio, che gli sedeva di fianco, tuonava: “I vertici di Banca d’Italia e Consob andrebbero azzerati. Altro che cambiare due o tre nomi”.

 

D’altronde, era il contesto a richiederlo. Nel palasport di Vicenza, davanti a un gruppo di soci delle ex popolari, venete e non solo, la folla dei “truffati” cominciava a mugugnare. I due dioscuri del grilloleghismo erano arrivati con la certezza di chi può agevolmente cavalcare la rabbia degli indignati, e invece a un certo punto hanno iniziato a sentire la terra tremargli sotto i piedi. Già al loro arrivo, Di Maio e Salvini li avevano senz’altro sentiti, i fischi e gli improperi dei soci rimasti esclusi dall’incontro, assiepati nel piazzale davanti al palazzetto.

 

Anche all’interno intanto non mancavano le proteste dovute al ritardo nell’emanazione del decreto attuativo per l’avvio dell’iter sui rimborsi ai “truffati”, che era atteso il 31 gennaio scorso. A destare sospetto nella platea agguerrita era anche e soprattutto la lettera inviata dalla commissione europea ad Alessandro Rivera, il direttore generale del Tesoro. Un messaggio informale, per ora, in cui però si evidenziano tutte le perplessità di Bruxelles su un decreto che si pone in contrasto con le direttive comunitarie, garantendo di fatto dei rimborsi automatici collettivi ed eliminando il filtro dell’arbitrato Consob. “Delle letterine dell’Ue ce ne freghiamo altamente”, dichiarava Di Maio. “Tra qualche mese questa Ue è finita”.

Tutto secondo copione: compiacere le aspettative dei comitati locali, per poi scaricare la colpa della propria irresponsabilità su Bruxelles. Se non fosse che, a un certo punto, i rappresentanti delle associazioni hanno alzato la voce, rifiutando l’ennesimo “comizio contro l’Europa”. Perfino il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, seduto accanto a Salvini, veniva criticato da qualche ex azionista delle popolari che ha perso il capitale investito. A quel punto, nella solita sfida a chi impiccava più in alto il presunto reo, sia Salvini sia Di Maio si sono scagliati contro Consob e Banca d’Italia. E siccome l’unica carica di peso in discussione, a Palazzo Koch, era quella di Signorini, ecco che nel vice di Visco è stato individuato un comodo bersaglio strumentale.

 

Ma come al solito, dopo avere indotto il socio grillino al passo falso, Salvini ieri ha corretto il tiro, lasciando al M5s la rogna di trovare una via d’uscita. L’ingrato compito, alla fine, se l’è assunto Alessio Villarosa: “Di Maio e Salvini sanno benissimo che non siamo noi a decidere chi deve andare nel direttorio di Banca d’Italia”, ha ammesso nel pomeriggio il sottosegretario al Mef. L’importante, insomma, è che si sappia che Lega e M5s non sono d’accordo con la scelta di Visco e Tria. Non servirà a granché, come mossa, ma forse varrà per costruirsi l’ennesimo alibi: se i rimborsi promessi ai truffati non arriveranno nei tempi e nei modi previsti, i colpevoli saranno altri. L’Europa, ovviamente, e poi quei i “pezzi di merda” (Casalino dixit) di Via Nazionale.

Di più su questi argomenti: