Terzo Valico contro Tav. Il doppiopesismo di Toninelli sulle accise
Così il governo grilloleghista ha fatto tornare i conti
Roma. A mettere le mani avanti, a raccomandare di non prendere il suo dossier come un testo rivelato, è stato lui stesso. Marco Ponti, il professore voluto da Toninelli a coordinare la squadra di esperti per giudicare l’utilità delle grandi opere, ha ammesso ieri, davanti alla commissione Trasporti della Camera, che “l’analisi costi-benefici è manipolabile”, seppure meno di altri metodi, e che, al di là del valore del suo studio, a scegliere se fare o non fare la Tav è giusto che sia la politica. Appunto.
Era d’altronde stata la politica, e cioè il governo grilloleghista, a fare in modo che i conti sul Terzo Valico tornassero, così da potere giustificare, sotto un velo di apparente scientificità, la volontà di andare avanti coi lavori. Anche in quel caso, l’analisi economica aveva dato esito negativo, salvo poi essere ribaltata da quella giuridica, che aveva contraddetto l’esito dello studio effettuato dallo staff di Ponti in virtù del peso delle eventuali penali da pagare in caso di chiusura dei cantieri. Ma soprattutto, per abbattere le negatività legate alla realizzazione del Terzo Valico, il Mit aveva contraddetto Ponti e soci proprio sul punto più dibattuto: il computo delle minori accise (905 milioni, in quel caso) alla voce dei “costi”. “Considerare la perdita di accise per lo Stato non è pienamente in linea con le linee guida Mit ed europee”, scriveva infatti il Mit. Francesco Ramella e lo stesso Ponti hanno ribadito che a volere inserire quella nota è stato il ministero dei Trasporti. Ebbene, perché ora Toninelli non impone una medesima correzione all’analisi sulla Tav, dove le accise pesano sul computo dei costi per 1,6 miliardi nella stima ritenuta “realistica”? Se lo facesse, d’incanto anche l’esito dello studio sulla Torino-Lione potrebbe finire con l’essere rovesciato.
Anche perché, se davvero alla fine si rinunciasse a fare la Tav, sarebbe comunque indispensabile spendere almeno un miliardo e mezzo per mettere in sicurezza la cosiddetta “linea storica”, quella cioè che passa attraverso il traforo del Frejus voluto da Cavour nel 1854. “Il livello attuale di sicurezza della ferrovia è già molto elevato”, ha precisato Ramella, aggiungendo comunque che “una valutazione anche in quel caso deve essere fatta”. D’altro canto, per sostenere l’aumento di traffico previsto da Ponti su quella tratta (significativo, anche nello scenario più modesto: da 2,7 a 25,2 milioni di tonnellate per le merci e da 4,8 a 7,9 milioni di passeggeri entro il 2059) sarebbe poi necessario, oltre ai lavori di messa in sicurezza, provvedere alla realizzazione di altre opere, visto che – ad esempio – la linea attuale viaggia a senso unico alternato senza possibilità d’incrocio tra treni merci e treni passeggeri.
Solo una cosa, in ogni caso, Ponti ha evitato di ammettere. E cioè che, nella designazione dei componenti della commissione che ha lavorato all’analisi costi benefici si sia tenuto conto dei pregiudizi dei vari tecnici sull’utilità della Tav. Non lo ha ammesso, e nel non farlo però ha mentito, o ha quantomeno commesso una svista. “Toninelli – ha detto ieri Ponti – ha scelto in base ai curricula”, ovvero in continuità con l’approccio Delrio. “Anche nel ministero precedente, quando si è costituita la squadra, c’è stata una procedura di evidenza pubblica”, ha aggiunto. Ma è falso. Il 15 dicembre del 2015, infatti, l’allora titolare dei Trasporti, Graziano Delrio, lanciò un bando per selezionare i quindici componente della “Struttura tecnica di missione per l’indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l’Alta sorveglianza”. La stessa che Toninelli, dopo essersi insediato a Porta Pia, ha subito provveduto a smantellare, sostituendola con una nuova commissione (dalla quale sono stati poi individuati i sei esperti per l’analisi sulle grandi opere) composta da 14 tecnici, tutti scelti su nomina diretta.