Salvini e Di Maio: i Ferragnez di Palazzo Chigi
Dieci ragioni per cui l’amore tra il leader della Lega e quello del M5s è più forte di tutto e perché solo la crisi può farla saltare (Tria dixit)
Tra i molti matrimoni finiti sotto i riflettori nel giorno di San Valentino, quello più significativo, più misterioso, più intrigante e più importante per la storia d’Italia, subito dopo quello tra Mauro Icardi e Wanda Nara, riguarda la storia di una coppia che da nove mesi tiene banco sui principali giornali europei: Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i Ferragni e Fedez di Palazzo Chigi.
Il matrimonio tra i due principali influencer della politica italiana viene spesso descritto con un lessico che rimanda a crisi incombenti, a tradimenti imminenti, a rotture inevitabili. Ma al di là del gossip la verità è che la coppia dell’anno è più unita che mai e le ragioni che stringono in un abbraccio i Ferragnez della politica sono infinitamente superiori alle ragioni che potrebbero generare una loro separazione. E per orientarci nei prossimi mesi, potremmo provare a schematizzare in dieci punti i motivi che fanno di Balconaro e Cialtronaro una coppia più forte rispetto a quella che i loro detrattori e i loro amanti delusi vorrebbero far credere.
Primo: Salvini non ha intenzione di rompere un equilibrio che gli ha permesso di guadagnare voti e risultare non responsabile di tutti i danni creati dal governo e (secondo) non ha intenzione di tradire Di Maio per Berlusconi perché ciò che lo avvicina al M5s – Europa, globalizzazione, lavoro, pensioni, giustizia – è superiore a ciò che lo avvicina a Berlusconi.
Terzo: Di Maio non ha intenzione di tradire Salvini perché sa che la lotteria vinta il 4 marzo dal M5s capita una volta nella vita.
Quarto: Salvini non ha intenzione di far cadere il governo perché sa che per essere il capo del partito della protesta è necessario avere gli elettori grillini alleati e non avversari, e vale anche per le prossime amministrative che saranno piene di ballottaggi.
Quinto: Salvini non ha intenzione di rompere con Di Maio perché teme di finire all’opposizione di un governo Pd-M5s.
Sesto: Salvini sa che in caso di vittoria alle europee per capitalizzare il consenso basta chiedere al M5s ministri più pesanti, dalle Infrastrutture allo scorporo dello Sviluppo dal Lavoro, e andare avanti così, magari (settimo) aggiornando il contratto di governo con una mezza flat tax. Fino a quando?
Ottavo punto: la questione non è tanto come si arriva alle europee ma come si arriva alla primavera 2020 quando il governo dovrà decidere cosa fare con i vertici delle sue grandi partecipate, Enel, Eni, Poste, Leonardo.
Nono: Salvini non ha intenzione di andare alle elezioni alleato con il Cav. e più passerà il tempo e più aumenteranno le possibilità di far confluire pezzi di Forza Italia in una grande lista sovranista.
Il decimo punto riguarda l’economia: ci si può permettere di tornare a votare con un’Italia che nel 2019 entrerà in crisi? La risposta è no: con un paese in recessione, tornare a votare è un pericolo troppo grande. Ma il decimo punto nasconde un problema che sarà il vero tema da affrontare nei prossimi mesi: se i conti italiani dovessero esplodere a una velocità non così diversa rispetto a quella del 2011, l’amore tra Di Maio e Salvini potrà reggere l’urto di un paese a rischio default? La risposta a questa domanda l’ha data il ministro dell’Economia Giovanni Tria ad alcuni interlocutori che in questi giorni lo hanno stimolato al Mef sul tema dello spread. E la risposta onesta del ministro è stata che no, con uno spread sopra i 200 punti e vicino ai 300 punti “qui non reggiamo”. E’ il film della slavina. Ma di questo ne parleremo domani.