A Londra è allegra follia: siamo messi male, ma non siamo i soli
Dalla Brexit all'éscile di Rachel Johnson. Machiavelli aveva previsto tutto, l’eccezione e la regola. Ma non questo
Non siamo soli. La storia infinita della Brexit, e i suoi modi, dimostra che in politica agisce un elemento spesso sottovalutato: la follia, una spensierata allegra e rischiosa follia. Non solo qui, non solo in Italia. Certe cose si fanno e si dicono quando siamo visitati dalla divina mania, da una forma bizzarra di demenza, molto rotonda e teatrale, spesso tutt’altro che inautentica. Come le tette della Rachel Johnson, la sorella del superbrexiteer Boris, che è invece una remainer, e ha deciso che per farsi sentire sul serio non aveva altro mezzo che sbottonarsi la blusetta ed esporre in tv il suo petto d’avorio. Non fu la prima: un’altra remainer si era denudata qualche giorno fa e aveva chiesto al compassato brexiteer Rees-Mogg, il solito britannico con l’ombrello, di accettare un faccia a faccia ma completamente nudi entrambi. E i giornali riferiscono il tutto compassati e sereni. Come dice il proverbio “There’ll always be an England”, ci sarà sempre un’Inghilterra per deliziarci con la pazzia. Se guardate in tv le sedute di Westminster, House of Commons, vedrete un presidente imbonitore, il fantastico John Bercow, che sorride maligno, grida “order!”, sfotticchia i deputati con fare cerimonioso, e ratifica giustamente voti a raffica in cui i Tories si tradiscono a ripetizione, votando contro il governo May che un minuto dopo sono pronti a sostenere con la fiducia, sul backstop e in genere sugli accordi per uscire dalla Ue senza troppi e catastrofici danni, che poi sono la scelta del popolo sovrano. La May, poi, incassa voti derisori che le negano l’accountability come primo ministro, ma va avanti tranquilla, nonostante le intemerate di Corbyn e le bucce di banana dei suoi, forte del ricatto: se volete il no deal, cioè un’uscita senza accordo che è ferita bestiale alla salute pubblica in Uk, ditelo, sennò votatemi, prima o poi, che io qui sto e resto. Teatro dell’assurdo, purissimo.
Il nostro John Bercow, o la nostra Rachel, si chiama Marco Ponti. E’ un professore economista liberista, un gran signore che adora il trasporto su gomma perché al contrario del ferroviario è e può restare in larga misura privato, di mercato, è flessibile, indipendente dall’invasività pesante dello stato infrastrutturale. E il suo liberismo sornione e spiritoso, autoironico e gentile, ma d’acciaio, lo mette al servizio di un governo di spietati nazionalizzatori, che tra gomma e ferro sceglie di ristatalizzare Alitalia, spendendo cifre pubbliche assai superiori a ogni investimento di buchi montagnosi, il buco dei cieli debitori che non si chiuderà mai (sempre di buchi si tratta). Dovevano abolire le accise sui carburanti, i seguaci del Truce giuravano in divisa che lo avrebbero fatto, e ora la Gigginomics del ministro Toninelli si avvale del calcolo delle accise, che con la Tav verrebbero meno e impoverirebbero lo stato, insieme ai mancati pedaggi: e la perizia la fa il prof. liberista. Tra un po’ si spogliano pure loro, altro che divise da pompiere, da secondino, da carabiniere, da forestale. Machiavelli aveva previsto tutto, l’eccezione e la regola, ma un’eccezionale irregolarità cosiffatta no, non poteva prevederla.
Equilibri istituzionali