Il vicepremier Luigi Di Maio ha annullato gli impegni in Sardegna perché teme una sconfitta elettorale (Foto Imagoeconomica)

Di Maio in fuga dalla Sardegna per ridurre lo choc di un M5s al 20 per cento

Valerio Valentini

Il vicepremier mette le mani avanti e annulla gli impegni sull’isola: “Non è un voto nazionale”. Il timore di una batosta elettorale

Roma. Quale sia la reale aspettativa sulle regionali sarde, lo dimostra la sollecitudine con cui, nei giorni scorsi, gli strateghi del M5s hanno deciso di annullare tutti gli appuntamenti di Luigi Di Maio sull’isola in vista del voto del 24 febbraio. Un cambio di strategia che, nello staff del vicepremier, ammettono peraltro con un certo candore, quando gli si fa notare che, di fatto, stanno disertando la campagna elettorale. “Sennò ci abbinate il fallimento a livello nazionale”, rispondono, secchi, confermando che la disfatta viene considerata ormai scontata. E d’altronde, i sondaggi che rimbalzano da ieri sulle chat dei parlamentari – M5s terzo, in bilico tra il 18 e il 21 per cento, a più di quindici punti da centrodestra e centrosinistra – sconsigliano qualsiasi slancio d’ottimismo.

 

Un anno fa, era stato trionfo. Più del 42 per cento dei sardi votò per il M5s; nove uninominali su nove. Ora, i pronostici più o meno ufficiali, dicono tutti di un calo inesorabile: a ottobre, in regione, si stimava un consenso che oscillava tra il 28 e il 30 per cento, a metà gennaio era diminuito già di cinque punti. Da ieri, la nuova linea di galleggiamento è, appunto, attorno al 20 per cento.

 

E così, proprio nel goffo tentativo di schermare la figura già ammaccata di Di Maio dal clamore della sconfitta che verrà sancita dalle urne sarde domenica prossima, si è resettata l’agenda del vicepremier, e insieme alla sua anche quella di molti dei volti più illustri del M5s. Perfino Alessandro Di Battista, che pure ha solcato i sette mari in presa diretta, ha rinunciato ad attraversare quella lingua di Tirreno che separa Civitavecchia da Olbia. A consigliare la sua relegazione nel ripostiglio degli arnesi rotti della propaganda, spiegano nello staff del M5s, è stato il disastro abruzzese, al quale proprio il “guerrigliero de Roma nord”, con le sue intemerate scombiccherate, ha contribuito non poco.

 

E però, proprio al paragone col trattamento riservato a Sara Marcozzi, ora gli attivisti sardi che si battono, nonostante tutto, per il loro candidato Francesco Desogus, esternano il loro malessere. Per la 41enne telegenica avvocatessa teatina – forse anche, si maligna, alla luce della sua vicinanza a Giorgio Sorial, il braccio destro di Di Maio al Mise – si mobilitò, in massa, l’intero fronte grillino del governo. Desogus, dimesso bibliotecario cagliaritano, classe ’59 senza alcuna esperienza politica pregressa, nessuno arriverà ad accompagnarlo negli ultimi giorni di battaglia.

 

In bilico, a quanto è stato riferito ai suoi collaboratori, resta perfino la presenza di Di Maio all’evento conclusivo della campagna, previsto per venerdì. “Siamo stati abbandonati”, sbuffavano ieri deputati e senatori sardi, dicendosi pronti a presentare le loro rimostranze al capo politico nell’imminente assemblea dei gruppi parlamentari. “Abbandonati, peraltro, non da oggi”, denunciano, ricordando le forzature fatte già la scorsa estate dai vertici, in spregio agli avvertimenti lanciati dalla base, per imporre di fatto la candidatura di Mario Puddu, sindaco di Assemini gradito a Di Maio e al suo fedelissimo Pietro Dettori, sardo di nascita e socio di Rousseau, cioè di Davide Casaleggio, nonostante quell’imputazione per abuso d’ufficio che, come previsto da molti, si trasformò in condanna a metà ottobre. E allora nuove consultazioni, l’esclusione d’ufficio, mai davvero giustificata dall’anonimo staff, di quel Luca Piras che era risultato il secondo classificato dietro a Puddu, un’attesa prolungata per il voto definitivo online, e la designazione di Desogus, a inizio dicembre, come male minore per gestire una sfida ormai proibitiva, anche a causa delle dimissioni di Andrea Mura, il senatore eletto nell’uninominale di Cagliari e rimasto, però, sulla sua barca a vela.

 

Per questo, ora, la diserzione appare il mezzo meno disonorevole per contenere la portata della sconfitta. Persino sulla questione più sentita, in Sardegna, Di Maio si è mostrato silente e distratto. “È che Salvini ha agito in maniera molto scorretta, intestandosi la questione dei pastori per poterci allestire sopra le sue pagliacciate a fini elettoralistici, prospettando soluzioni improbabili e di stampo sovietico come quella del prezzo fisso”, si lamenta Luciano Cadeddu, deputato grillino di Uras e pastore egli stesso, ci tiene a sottolinearlo, “da quattro generazioni”. E però la latitanza di Di Maio stride proprio con l’ipercinesia del ministro dell’Interno, che sull’isola si è praticamente trasferito in pianta stabile per l’ultima settimana prima del voto, e che punta – oltreché a scongiurare la rimonta del sindaco di Cagliari Massimo Zedda, che guida il centrosinistra – a replicare il successo abruzzese. Uno strattone dopo l’altro, insomma, pensando alle europee.