Foto LaPresse

Il libro come arma politica

Come capire che cosa si è esaurito e che cosa di nuovo si affaccia nei sentimenti delle nazioni

Professor Sabino Cassese, sono usciti molti libri di politici e sulla politica. Parliamone.

Questo fiorire di libri è un segno positivo, indica una maturazione della politica e un bisogno anche di comprendere e di articolare proposte.

 

Perché?

Perché si lamenta tanto il primitivismo della comunicazione tramite “social media”, mentre il libro consente di svolgere un pensiero, di elaborare proposte, di fare analisi, di cercare di convincere. Naturalmente, tutto dipende dalla “postura” di chi lo scrive. C’è chi scrive per capire e far capire, chi per convincere, chi per i due scopi insieme, chi per esporre programmi.

 

Cominciamo da questi ultimi.

Cioè da due ex presidenti del Consiglio, che negli stessi giorni hanno pubblicato due libri-programma e, nello stesso tempo, molto autobiografici. Matteo Renzi, Un’altra strada. Idee per l’Italia di domani, Venezia, Marsilio, con spirito ottimistico, non poca baldanza, molta energia, articola un programma dominato da sei parole: politica, futuro, cultura, lavoro, verità, Europa. Si contrappone, in sostanza all’attuale maggioranza e alla sua tendenza a livellare il paese verso il basso. Il libro di Enrico Letta, Ho imparato, Bologna, il Mulino, contiene idee e proposte concrete, che ruotano intorno all’Europa, alle aperture mondiali, all’immigrazione, alla scuola, alla classe dirigente, alla sostenibilità.

 

Ma a chi si rivolgono, questi libri?

Ai lettori di libri, che in Italia diminuiscono, ma costituiscono comunque una base di circa 23 milioni di persone, un quarto dei quali circa è costituito da “lettori forti” (quelli che leggono almeno un libro al mese). Poi, questi libri entrano nel circuito del dibattito politico, sono oggetto di recensioni, vengono riprodotti parzialmente dai quotidiani, sono presentati nelle librerie, entrano quindi in circolo. Insomma, sono un fatto estremamente positivo, benefico per la democrazia, specialmente in momenti come questo nel quale tacciono i grandi “educatori collettivi della politica”, i partiti.

 

Un nuovo modo di far politica?

Certamente. E un modo intelligente. Che alimenta riflessioni e analisi, suscita idee, può convincere. Alla fine, educa molto di più del chiacchiericcio quotidiano e delle foto che mostrano il ministro dell’Interno mentre mangia pane e Nutella. Questo modo di far politica andrebbe studiato dai sociologi, comparandolo al comizio, al dibattito nella sezione di partito, ai messaggi Facebook e Twitter.

 

Ma questo modo di far politica riguarda solo una parte dei politici italiani.

Certo, quelli che – come si diceva una volta – sanno tener la penna in mano. E questo costituisce un altro “cleavage” tra una parte e l’altra del mondo politico italiano. Ci sono quelli che si riferiscono all’opinione pubblica e dialogano con essa alla maniera decritta magistralmente nel 1922 dal giornalista e politologo americano Walter Lippmann. E ci sono quelli che – per dirla con Giuliano Da Empoli – fanno “politica quantistica”.

 

Ci sono, poi, i commenti, i libri di chi si chiede che cosa cambia e che cosa è già cambiato.

Qui bisogna distinguere. Vi sono libri di protagonisti che, usciti di scena, si interrogano sulle vicende che abbiamo alle spalle, che hanno preparato il presente. Un esempio è il libro di Achille Occhetto, La lunga eclissi. Passato e presente del dramma della sinistra, Palermo, Sellerio, un “campo lungo” sulla storia del comunismo nel XX secolo e sulla “svolta” italiana. Poi vi sono gli studiosi e commentatori. Gli esempi sono almeno quattro. Uno è Marco Revelli, La politica senza la politica. Perché la crisi ha fatto entrare il populismo nelle nostre vite, Torino, Einaudi, 2019, un allarmato libro sulla “emergenza democratica”. Più distaccato, ma non meno preoccupato, lo sguardo di Paolo Pombeni, La buona politica, Bologna, il Mulino, una apologia della politica, del bene comune e della comunità di destini, al centro della quale sono le colonne del sistema politico, rappresentanza, opinione pubblica, comunità e bene comune. Al centro del libro di Francesco Occhetta, Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo del populismo, Cinisello Balsamo, San Paolo, sono, invece, il populismo, la democrazia e il servizio pubblico, mentre nel libro di Massimo Salvadori, Le ingannevoli sirene. La sinistra tra populismi, sovranismi e partiti liquidi, Roma, Donzelli, l’analisi parte dalla storia dei grandi partiti, stranieri e italiani, per arrivare ai partiti liquidi e al populismo.

 

Quali sono i caratteri comuni a queste riflessioni?

Ruotano tutte intorno al problema del populismo, dello sfarinamento dei partiti, della necessità di trovare nuovi fini, nuove idealità. E questo è il nodo problematico più importante: capire che cosa si è esaurito e che cosa di nuovo si affaccia nei sentimenti delle nazioni.

Di più su questi argomenti: