Il menù della finta crisi. Salvini sospeso tra voto e pecorino sardo
Sveglia alle 6, primo selfie alle 9, ricotta e comizio. Non si cura del M5s, ma a tarda sera: “Ancora non hanno finito?”
Roma. Alle sei del mattino un rumore appuntito di sveglia è partito dal cellulare di Matteo Salvini forando le persiane della sua stanza d’albergo, al Baga Baga di Castelsardo, tre stelle con vista mare. “Ci siamo. E’ il d-day”, deve aver subito pensato il ministro dell’Interno – che chissà come ha dormito, non tanto per l’incertezza del voto atteso dei militanti grillini sul suo destino giudiziario, quanto forse per quel piattone di gnocchetti sardi funghi zafferano e salsiccia che s’era sparato come nulla fosse. Ma deve avere lo stomaco di un ventenne. Non passano infatti neanche un paio d’ore, che alle nove, indossato un giubbotto di pail blu scuro, il ministro parte con il primo selfie della giornata, il primo di una lunga serie. “Serenità a voi Amici”, e un sorriso largo come uno stadio. Dissimulare, prima di tutto.
Ma la serenità non è precisamente lo stato d’animo prevalente, né nel gruppo ristretto che lo circonda, né tra i parlamentari della Lega che intanto, a Roma, per tutto il giorno mantengono nel loro sguardo la stessa attesa inesprimibile che hanno i padri in sala parto. “E’ prudente disperarsi presto”, confessa a un certo punto Giancarlo Giorgetti ai suoi amici, con una punta d’ironia. “Sono tranquillissimo”, dice invece Salvini. “Gli italiani sanno che ho agito per il loro bene e la loro sicurezza”, ripete, dovunque, su Facebook e su Twitter, in piazza e in radio, ai quotidiani locali e a quelli nazionali. E questo mentre Giuseppe Conte, da Palazzo Chigi, inizia però a incrinare le certezze: “E’ stato un errore lasciar decidere ai militanti del M5s…”.
Così, mentre Salvini è circondato dalla folla acclamante di Otzieri, paesino sperduto nel sassarese, mentre è avvolto da un’intera comunità scesa in piazza di lunedì mattina per poterlo toccare come si fa con i semivip dell’“Isola dei famosi”, la verità è che tutti, probabilmente lui per primo, si agitano moltissimo arrivando a un alto grado di fermentazione. In tarda mattinata Luigi Di Maio viene infatti richiamato di prepotenza a Roma da Grillo e Casaleggio, annulla tutti gli impegni presi nel corso della giornata e da Napoli si fionda nella capitale – “qua stanno votando per autorizzare il processo”, gli dicono. E così per molte ore, girando la Sardegna, Salvini non sa bene se quella che sta conducendo è una campagna elettorale per le regionali o è invece già la campagna per le elezioni politiche. Nel dubbio, nel suo commendevole sforzo di mascherare l’attesa, fotografa su Instagram un piatto di ricotta sarda con il miele, poi si abbandona al pecorino e alla birra, come dire che l’unica crisi possibile per lui è q uella iperglicemica. Ma Giorgetti, dal primo giorno al governo, gli ha piazzato sulla scrivania una foto di Matteo Renzi. Non un consiglio dietetico. Un monito, piuttosto. Una foto che vale un apologo sulla caducità del successo, e sul capriccio degli elettori.
Per lui, fin qui, anche le critiche e le indagini delle procure sui porti e gli sbarchi negati sono state quasi un divertimento nel quale bearsi, come il lebbroso che si ficca le unghie nelle piaghe per sentirle meglio, “inquisitemi pure, gli italiani stanno con me”. E infatti il caso Diciotti – hanno indicato gli esperti di sondaggi – a un certo punto ha come rallentato un senso di stanchezza che da alcune settimane veniva registrato nell’elettorato. Salvini non ha subito nessun contraccolpo, tutto il contrario di ciò che succede a Di Maio, si è anzi gonfiato di consenso, ma per quanto potrà durare ancora? Dopo le europee di maggio, fatto il pieno di voti, processo o no, Salvini, come sembra voglia dire Giorgetti, si troverà nella stessa condizione di Renzi che prese il 40 per cento ma non riuscì a capitalizzarlo. E a quel punto Salvini dovrà fare il Def, poi forse una manovra correttiva, e poi ancora la manovra dell’anno nuovo e tutto questo con il pil in testacoda, l’export in calo, il deficit in aumento, la recessione, le clausole di salvaguardia, persino gli sbarchi dei clandestini che tutti gli indicatori segnalano stiano riprendendo... Che fare a quel punto?
Questo il rovello, fin qui sempre rinviato, in una corsa quotidiana, in una vita vissuta saltando sempre sul selfie fuggente, tra un panino al salame e una forma di pecorino, il vino rosso e gli gnocchetti, il Cannonau e la Ichnusa. Altro che sondaggio sul sito di Russeau. Che fare? Usare tutto il consenso per tenere in piedi la baracca del governo, rischiando i marosi della recessione e la schiuma disillusa degli elettori, o andare invece all’incasso? E quando andare all’incasso? Prima o dopo le europee? Dopo potrebbe essere troppo tardi. Ed eccolo allora Salvini, che ieri per tutto il giorno e gran parte della sera attende il risultato del voto grillino, adottando il rimedio classico per affrontare con finta serenità e autentica trepidazione qualsiasi inghippo che costringe a una scelta: fingere di non vedere il problema. “Banchieri, burocrati e barconi, sono queste le tre ‘b’ che voglio eliminare”. Calato il sole a Sassari, mentre ancora quelli della Casaleggio si attorcigliano con un sistema di voto in tilt, lui dice che “per qualcuno merito un processo per altri una medaglia. Però il governo non rischia. Non sono così importante”. Ma non è vero. In trattoria, poco prima di spararsi un piatto di interiora d’agnello avvolte nell’intestino e cotte con i piselli, s’informa: “Ma ancora non hanno finito?”. Sospeso. Anche lui cotto coi piselli.