La Lega sceglie la decrescita per il nord
Lega e M5s firmano la mozione “per ridiscutere integralmente” la Tav e prendono tempo fino al 31 marzo (deadline per i fondi europei). La rivolta in Piemonte e la confessione di un sottosegretario: “Tra poco sanciremo la fine definitiva della Tav”
Sprofondato su un divanetto del Transatlantico, dopo avere concluso l’ennesima telefonata del pomeriggio, Paolo Zangrillo sbuffa la sua frustrazione. “Vorremmo semplicemente che Salvini facesse pace col cervello”, dice il coordinatore piemontese di Forza Italia, appena tornato da Palazzo Grazioli. “Il leader della Lega non può andare a Chiomonte con la bandiera del Sì Tav e poi venire in Parlamento e sposare in pieno la linea dei grillini. Significa essere bipolari, questo”. Ce l’ha, Zangrillo, con la strategia adottata dal Carroccio a Montecitorio: bocciare la mozione proposta da Forza Italia e Pd, in sostegno dell’alta velocità tra Torino e Lione, e votare insieme al M5s un testo che invece ripropone i fumosi propositi già sanciti nel contratto di governo sulla necessità di “ridiscutere integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”.
“E’ una mozione, dai”, prova a minimizzare Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti alla Camera e fedelissimo del ministro dell’Interno. “Non sposta di una virgola la nostra posizione”, aggiunge, a metà tra l’allusivo e l’impacciato. La vostra posizione, gli si domanda, qual è? “Che la Tav va fatta”. Dunque è contraria alla mozione che oggi votate coi grillini? “Ma no, oggi ribadiamo solo che il progetto può essere ridiscusso, tutto qui”. La fa facile, insomma, Morelli, mentre intorno a lui, però, tutto s’ingarbuglia in una trafila di telefonate concitate, liti, ricatti interni al centrodestra. Succede, infatti, che Simone Baldelli, forzista romano, deposita un emendamento alla mozione grilloleghista che impegna la maggioranza a “far ripartire al più presto i lavori sul nuovo progetto”. Un’imboscata per la Lega, un innocente tranello che spingerebbe Salvini a uscire dalla sua ambiguità: o col M5s, e dunque contro la Tav, oppure con Forza Italia e Pd, a favore dell’alta velocità. Basta un attimo. I deputati del Carroccio fiutano il pericolo e avvertono il loro capogruppo, che guarda caso è pure il segretario piemontese. E forse non è a tutti gli effetti una minaccia, quella che Riccardo Molinari rivolge immediatamente allo stato maggiore di Forza Italia, ma è comunque un ultimatum che deve suonare estremamente convincente, se nel giro di pochi minuti Baldelli ritira l’emendamento. In ballo c’è la scelta del candidato governatore per il Piemonte, dove si vota a maggio per le regionali: lo sgarbo sulla Tav potrebbe costare a Forza Italia la possibilità di esprimere, come portabandiera del centrodestra unito, il suo europarlamentare Alberto Cirio. “L’unità della coalizione per noi ha un valore”, spiega allora Zangrillo, per giustificare il ripensamento di Baldelli. “Dopodiché, spero che ci si renda conto di quanto terreno stiamo regalando a Sergio Chiamparino, che sta cavalcando proprio il tema della Tav per ottenere una rielezione”.
A temere che questo rischio si faccia concreto, in effetti, non è solo Zangrillo. E basta parlare con Gianna Gancia, capogruppo della Lega in Consiglio regionale piemontese, per capirlo. “C’è assolutamente bisogno di uscire quanto prima da questa fase di ambiguità, passiamo dalle scartoffie delle mozioni parlamentari ai cantieri, se non vogliamo fare resuscitare il centrosinistra”, ci dice la Gancia, che nella Lega gode anche di quel certo prestigio che le dà l’essere la moglie di Roberto Calderoli. Su Facebook, poi, è ancora più esplicita. Parla di “teatro dell’assurdo”, invita Salvini alla risolutezza: “Basta tentennamenti, basta rinvii, finiamola con il mercato elettorale sulla pelle e con le tasche dei piemontesi”. Marzia Casolati è invece la senatrice della Lega che ha espugnato la Valsusa, presunta roccaforte No Tav, nella sfida uninominale del 4 marzo scorso. “E’ da giorni che sono massacrata dalle domande dei nostri elettori e dai rappresentanti di categoria delle mie zone”, racconta. “Certo che ci pesa – prosegue – non potere ribattere colpo su colpo alle dichiarazioni che Chiamparino e Zangrillo fanno sulla Tav”. Poi, però, anche la Casolati, come pure la Gancia, rinnova la sua fiducia in Salvini: “Per me fa fede il Matteo che è venuto a Chiomonte a promettere che l’opera verrà completata. Coi grillini serve la linea morbida: dopo il Tap e l’Ilva, anche sulla Tav prevarrà il buonsenso”.
Ma al di là della difficoltà con cui si registra il malumore interno, in un partito dove vige uno stalinismo rigoroso, da martedì il tatticismo esasperato, le ammuine a cui Salvini si presta docilmente per non mettere in eccessiva difficoltà il M5s, hanno ufficialmente un costo. La Commissione europea lo ha quantificato in 300 milioni: a tanto ammonterà la decurtazione di fondi comunitari (su un totale di 813) che scatterà il 31 marzo, se entro quella data non verranno lanciati i bandi di gara per la selezione delle imprese che dovranno lavorare al tunnel. “Quel pagamento non ci sarà”, garantisce, serafico, Morelli. Ma ecco che dietro di lui, nel cortile di Montecitorio, passa Michele Dell’Orco, il sottosegretario grillino alle Infrastrutture. E anche lui si dice “convinto che questa partita si chiuderà prima del 31 di marzo”, ma la sua certezza è antitetica rispetto a quella dei leghisti: “Si chiuderà prima – precisa – nel senso che si arriverà entro qualche settimana a sancire la fine definitiva della Tav”. E con la Lega, come la mettiamo? “Ci sono tante leggi in discussione, Salvini e Di Maio troveranno senz’altro una quadra insieme”, replica Dell’Orco, come a confermare le teorie di chi, in queste ore, parla di “baratti” e “voti di scambio”.
A chiarire quale sia il compromesso che il M5s proverà a offrire all’alleato di governo, nei giorni scorsi è stata Laura Castelli, piemontese pure lei e anche per questo delegata da Di Maio a sovrintendere alla grana dell’alta velocità. La proposta che la sottosegretaria all’Economia ha ventilato ai piani alti di Palazzo Chigi è stata quella di potenziare la linea storica tra Torino e Lione, convinta che in fondo Salvini s’accontenterebbe di aprire un cantiere in Valsusa, qualunque sia, pur di salvare la faccia. Ma i consiglieri di Giuseppe Conte non sembrano essere entusiasti di questa alternativa, che imporrebbe di ristrutturare una ferrovia che viaggia in molti tratti a senso unico alternato, e s’arrampica fino a 1.330 metri, sfruttando un traforo – quello del Frejus – che risale nientemeno che al 1871. Un po’ troppo, forse, per il governo del cambiamento.