Sardinia infelix
La leadership di Di Maio contestata, i sospetti su Morra, i dubbi sul reddito. Il “nuovo” M5s è già in subbuglio
Roma. L’alba del giorno dopo, che del resto già s’annunciava tribolata, è così traumatica che le chat interne tacciono. Alle dieci di mattina, i parlamentari sardi assediati dalle chiamate dei giornalisti che chiedono un commento, domandano clemenza e anonimato: “Da Roma non ci hanno indicato alcuna linea, risentiamoci più tardi”. Più tardi, cioè a ora di pranzo, quando l’ennesima sconfitta nelle regionali comincia ad assumere i connotati della disfatta, ci prova Luigi Di Maio a indicare la strada, con dichiarazioni che perfino alle orecchie di chi gli sta intorno suonano surreali: “Siamo positivi perché per la prima volta in Sardegna entriamo con consiglieri regionali”, dice il vicepremier, col tono di chi neppure ci crede troppo. In ogni caso, a chi gli chiede di possibili ripercussioni sul governo, “non vedo nessun problema”, replica. Deve invece vederne, eccome, Emanuele Dessì – il senatore che prometteva di dimettersi e che è stato invece reintegrato nei ranghi del M5s, quello ripreso a ballare con Domenico Spada e pizzicato in una casa del comune a sette euro al mese – che in un corridoio del primo piano di Palazzo Madama, quando ormai è chiaro che in Sardegna il grillino Francesco Desogus veleggia intorno al 10 per cento, si sfoga col capogruppo Stefano Patuanelli: “Così perdiamo la nostra natura. Perché Salvini può dire ogni giorno una cosa contro di noi, e noi no?”. Pochi metri più in là, Nicola Morra, collettore di grossa parte del malcontento interno e per nulla insofferente per questa sua mansione, parla al telefono mentre passeggia nella Sala Garibaldi: “Dobbiamo prepararci alla spallata. E se vogliamo darla, bisogna che restiamo uniti”, dice a voce alta.
E in quell’istante, i senatori che lo ascoltano, non sanno dire se Morra si riferisca alla necessità di serrare i ranghi per difendersi da un’imboscata di Salvini, o se non chiami piuttosto a raccolta gli animatori del malessere intestino per provare a disarcionare Di Maio. Né, d’altronde, lui aiuta a fare chiarezza; e anzi, richiesto di una delucidazione, si chiude in un mutismo sornione: “Sulla Sardegna non commento. Non commento. Non commento”, ripete, come fosse una litania. Quello che accade poi, alla buvette, è un colloquio assai concitato tra lo stesso Morra e Ilaria Loquenzi, la grande capa della comunicazione al Senato, con tanto di indice brandito in aria da parte del presidente dell’Antimafia. D’altronde, è proprio sul rapporto con giornali e social network che molti parlamentari concentrano il loro disappunto. “Il problema è più politico che mediatico”, ammette, con franchezza, Patuanelli. “Nel senso che – prosegue, tra un tiro di sigaretta e l’altro – ci siamo prefissi obiettivi ardui, su cui è difficile riscuotere un consenso immediato. Il reddito di cittadinanza interessa il 30 per cento degli italiani. Urlare slogan sui porti chiusi è molto più facile e redditizio”. Ma allora sta nel programma, l’errore? “Ci vuole tempo. E noi abbiamo davanti ancora quattro anni e più di governo”, prosegue. A meno che, ovviamente, Salvini non si stanchi prima. “E perché dovrebbe? Se non fosse con noi, non sarebbe certo al 35 per cento”. E detta così, non sembra troppo lusinghiera per il M5s, come analisi. “Sono abituato a stare seduto sulla riva del fiume, e aspettare”, sorride Patuanelli, sibillino, prima di congedarsi. Chi di pazienza, invece, non sembra averne, è quella pattuglia vicina a Roberto Fico che chiede una nuova struttura e un nuovo organigramma interno. “A breve ci saranno importanti novità”, promette, non a caso, Di Maio. Ma la gestazione di questa annunciata biurokratia del popolo, con tanto di segreteria tematica e referenti territoriali, già si rivela come l’ennesimo motivo di scontro e maldicenze, almeno a giudicare dai sospetti di chi prefigura “nomine calate dall’alto, anche stavolta” e “la definitiva legittimazione formale dello strapotere dei capibastone che da anni spadroneggiano nelle varie regioni”. Come che sia, c’è chi l’efficacia della svolta vuole testarla subito, se è vero che Francesco Berti, deputato livornese, proporrà a Di Maio nelle prossime ore di partire proprio dal capoluogo toscano, dove si vota a maggio per le comunali, con l’esperimento di apertura ad alcune liste civiche, per lo più di stampo ambientalista, che dovrebbero sostenere la candidatura di Stella Sorgente, attuale vice del sindaco Filippo Nogarin, il quale invece tenterà fortuna alle europee. Sempreché, poi, la fortuna ci sarà.