“Sono innocente”, dice Alemanno
L'ex sindaco ci spiega in che senso il tribunale di Roma ha trasformato in un reato il mestiere della politica
Roma. Il day after di Gianni Alemanno è all’insegna del sovranismo. “Chi lo confonde per nazionalismo sbaglia”, dice al Foglio l’ex sindaco di Roma, neocondannato in primo grado per corruzione e finanziamento illecito in un filone di Mafia capitale, “Sovranismo significa battersi per il riconoscimento della identità dei popoli, senza antagonismo verso gli altri”. Alemanno non ci sta a vestire i panni del condannato preventivo. “E’ una sentenza ingiusta. Dimostrerò la mia innocenza in appello, per adesso cerco di stare vicino alla mia anziana madre e a mio figlio. L’onorabilità, per gente come noi, è tutto”.
Una condanna a sei anni, se confermata, spalancherebbe le porte del carcere. “Non sarebbe la prima volta che finisco dietro le sbarre. Da militante del Fronte della gioventù, nel 1982, fui arrestato per aver lanciato una molotov contro l’ambasciata sovietica, all’indomani del colpo di stato del generale Jaruzelski in Polonia. A 24 anni scontai otto mesi tra Regina Coeli e Rebibbia. In udienza il pm ha rispolverato i miei trascorsi giovanili per dipingermi come un pregiudicato riabilitato”. All’epoca degli scontri tra rossi e neri, la politica si nutriva di ideal: “Oggi osservo una banda di avventurieri al potere, gente improvvisata allevata dal nuovismo. Pur con i loro difetti, i partiti avevano il merito di formare una classe dirigente. La loro progressiva destrutturazione ci ha gettato in un disordine ingovernabile”. Secondo lei, le forze politiche al governo credono in qualcosa? “Esiste un’enorme differenza tra le due: il M5s si fonda sulla protesta populista, la Lega ha un progetto per il paese”. E’ noto che Matteo Salvini le piace, adesso però l’ipotesi di una sua candidatura alle Europee nelle file della Lega è destinata a sfumare. “Io, per primo, faccio due passi indietro. Per un uomo di destra l’onorabilità è tutto”.
Lo scorso novembre la sua ex moglie, Isabella Rauti, le ha indirizzato un tweet al vetriolo: “Non sei degno di ricordare mio padre”. “Non pretendo l’esclusiva ma nessuno può giudicare la mia storia. Io sono e resto un uomo di destra. La destra è stata la mia vita”. Veniamo alla condanna: sei anni, la procura ne aveva chiesti cinque. Stando all’ipotesi accusatoria, lei sarebbe stato il referente politico della mafia all’ombra del cupolone: “Nel processo principale ho trovato più convincente la sentenza di primo grado che ha escluso l’esistenza di una mafia autoctona capitolina. Non si è mai vista una mafia senza arsenali e senza violenza”. Il verdetto è stato ribaltato in appello. “Attendo di conoscere il giudizio della Cassazione. Sono cresciuto nel mito di Paolo Borsellino, per me la parola ‘mafia’ ha una valenza diversa”. Lei è stato prosciolto dall’accusa di associazione mafiosa, su richiesta degli stessi pm. “Esatto. Adesso, però, questa condanna si pone in contraddizione evidente: come posso essere il punto di riferimento di un’organizzazione di cui, per ammissione degli stessi magistrati, non ho mai fatto parte?”. Tra il 2012 e il 2014 la Fondazione Italia Nuova, da lei presieduta, ha incassato contributi da enti riconducibili a Salvatore Buzzi. Sono finiti nel mirino 75 mila euro per cene elettorali e 40 mila a titolo di finanziamento alla fondazione: “Siamo alla criminalizzazione del finanziamento privato della politica. Si tratta di versamenti regolarmente tracciati, Buzzi era una persona rispettata che finanziava destra e sinistra, nel nostro caso aveva usato sei sigle diverse, mai la cooperativa 29 giugno, la più nota. Io mi occupavo di politica, la gestione amministrativa era nelle mani del segretario generale Franco Panzironi. Mi sono fidato delle persone sbagliate, è vero, ma non ho mai commesso atti contrari ai doveri d’ufficio”.
Dal dibattimento è emerso che lei si sarebbe attivato per sbloccare i crediti vantati da Buzzi nei confronti della Pubblica amministrazione. “E dov’è il reato? Qual è il compito di un politico se non quello di curare gli interessi concreti di una comunità? Ho compiuto sempre e solo atti leciti e dovuti. Ho fatto delle telefonate, mai forzature o atti contrari alla legge. La verità è che, abolito il finanziamento pubblico, il sistema è sprofondato in una zona grigia in cui anche un gesto di cortesia, compiuto da un politico verso un imprenditore, è visto come preannuncio di corruzione”. Buzzi, sentito in aula, ha affermato di aver finanziato le campagne elettorali di tutti, da Francesco Rutelli in poi, 380 mila euro soltanto al Pd, e poi ha aggiunto: “Le tangenti le davo a Panzironi ma Alemanno non era da considerarsi ‘comprato’, lui lo avrò incontrato una o due volte”. “Mi conforta che lei ricordi questi passaggi”, dice Alemanno, “La pubblica accusa ha applicato nei miei confronti il teorema per cui non potevo non sapere, sono perciò chiamato a rispondere delle malefatte di un collaboratore, Panzironi, mentre esponenti della sinistra come Nicola Zingaretti vengono esentati da un simile trattamento”. Che intende? “Eravamo entrambi indagati per mafia nel filone principale: nel mio caso, la notizia è stata spiattellata subito sui giornali, nel caso del governatore invece si è appreso delle indagini a suo carico nel medesimo giorno dell’archiviazione. Casualità?”. Non lo chieda a me. “Maurizio Venafro e Luca Odevaine erano uomini suoi: il primo è stato il suo capo di gabinetto in Regione, il secondo gli deve la nomina a capo della polizia provinciale. Eppure nessuno glielo rinfaccia”. Non starà esagerando? “In tribunale esiste ancora una differenza tra destra e sinistra, c’è un’aura di inviolabilità che protegge alcuni e non altri. Per ulteriori valutazioni, mi riservo di conoscere le motivazioni dei giudici”.